Opera in tre Atti | I movimenti di Bologna-Empoli
Adagio
Parola d’ordine: moderazione. Un approccio al campionato diametralmente opposto rispetto a quello disastroso di un anno fa ma la stessa consapevolezza che il percorso è ancora lungo e tortuoso, tutto da definire. Gli azzurri di mister Roberto D’Aversa si presentano alla sosta per le nazionali da imbattuti e con cinque insospettabili punti nel carniere. Alle spalle una doppia trasferta proibitiva (Roma e Bologna) da cui l’Empoli è uscito a testa altissima, furoreggiando all’Olimpico e tenendo botta al Dall’Ara. Gli azzurri hanno messo in mostra due caratteristiche che, fuse insieme, vanno a comporre una precoce e imprevedibile alchimia per essere agli albori del torneo: forma e sostanza. La forma è quella già trasmessa ai suoi dal neo mister D’Aversa: una precisa identità tattica e una qualità di gioco che non si vedeva a queste latitudini da anni. La sostanza è la compattezza caratteriale di un gruppo che, seppur ampiamente rinnovato, è già sulla buona strada per affiatamento e unità di intenti.
Andante
Alla stesura del calendario, uno dei più frequenti ritornelli è quello secondo il quale si auspica di incrociare le squadre di qualità più elevata nelle battute iniziali del torneo, quando le medesime sono lontane dal top della condizione e non hanno ancora assimilato cambiamenti tattici e ultimato l’integrazione dei nuovi elementi dell’organico. La Roma di De Rossi e il Bologna del neo mister Italiano, fresco di approdo in Champions League, rispondevano esattamente a questo genere di caratteristiche. Eppure l’errore sarebbe quello di attribuire i sorprendenti risultati dell’Empoli a esclusivi demeriti degli avversari. La verità è che, anche contro i felsinei, il team azzurro ha dimostrato di possedere una chiara fisionomia al servizio del collettivo, mentre Orsolini e soci sono sembrati poco più di un’accozzaglia indefinita di buone individualità ancora alla ricerca dell’identità smarrita. Il vantaggio iniziale rossoblù di Fabbian, in tempi di vacche magre, avrebbe trasmesso insicurezze e generato fragilità. Oggi no. Il gol incassato a freddo ha fatto emergere il temperamento e la consapevolezza di un gruppo che, sull’asse Fazzini-Pezzella-Gyasi, ha avuto la forza di rimettere subito in ordine le cose, per poi gestire lucidamente e senza particolari affanni un preziosissimo punto fino alla fine.
Allegro
Nel migliore momento della sua carriera, raggiunto a 30 anni suonati, Emmanuel Gyasi si gode i frutti di un percorso fatto di impegno, umiltà, abnegazione e serietà professionale. Immune alle critiche di puristi, esteti e raffinati amanti della giocata sopraffina, l’ex spezzino si è guadagnato a poco a poco la stima dei propri tecnici, ritagliandosi uno spazio individuale di notevole importanza tattica. Gyasi è la classe operaia che, di tanto in tanto, va in Paradiso. Il viandante che, passando attraverso critiche e disappunti di varia natura, alla maniera di Dante all’Inferno si fortifica dicendo a sé stesso: “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. Se, nell’ordine, Zanetti, Andreazzoli e Nicola non hanno mai pensato di rinunciare a questa duttile figura di generoso faticatore e efficace equilbratore, D’Aversa sta riuscendo nell’impresa di valorizzarlo al meglio anche in termini di qualità, incisività offensiva e tempi di inserimento. Arriveranno anche momenti più bui ma, c’è da giurarci, Gyasi saprà uscirne con carattere, forza di volontà e attaccamento ai colori. Tutti aspetti che il ghanese di passaporto italiano detiene in dosi massicce.
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