Sesso estremo tra Daniel Craig e Drew Starkey nell’ultimo film di Luca Guadagnino: le rivelazioni del regista di “Queer” al Festival di Venezia
Luca Guadagnino, uno dei registi italiani più acclamati a livello internazionale, torna alla Mostra del Cinema di Venezia con “Queer“, il suo film più ambizioso e atteso. Questa volta, Guadagnino ci conduce in un viaggio sospeso tra la realtà e l’allucinazione, in una narrazione che sfida le convenzioni e abbraccia l’audacia. Sì, perché la pellicola si annuncia ad alto tasso erotico, con scene di sesso orale (e non solo) tra i due protagonisti, Daniel Craig e Drew Starkey. Ma guai a definire questo film scandaloso, come sottolinea lo stesso regista: “A parte che è una parola che non mi piace e non mi corrisponde. Lo scandalo ha a che fare con qualcosa che irrompe in un universo di cui si vuol far parte. Io sono me stesso, a prescindere da quello che gli altri si aspettano”, ha detto durante la conferenza stampa.
“Queer” vede come protagonista Daniel Craig, l’ex James Bond, in un ruolo completamente diverso da quelli che lo hanno reso famoso. Craig interpreta William Lee, un uomo che vive una vita tra il cupo e l’allucinatorio, esplorando temi di desiderio, passione e perdita. Insieme a lui, Drew Starkey nel ruolo di Eugene Allerton, in un rapporto che sfida le aspettative tradizionali del pubblico. “Non posso controllare le reazioni dei fan di James Bond”, ha commentato Craig con una calma invidiabile. “Mi era già capitato circa 25 anni fa un ruolo gay, in Love is The Devil di John Mayburry sulla vita del pittore Francis Bacon, faccio film da tanto tempo e di questo sono particolarmente orgoglioso. È una storia d’amore, di passione, di desiderio e di sentimenti perduti“.
Guadagnino, parlando di Craig, ha espresso il suo profondo apprezzamento per l’attore: “L’ho sempre amato come attore, dai tempi di Love is the Devil, è un’icona totale che cerca di scoprire sempre cose nuove. Abbiamo parlato tanto della fragilità e del candore di William Lee”. Il film è tratto dal romanzo semiautobiografico di William S. Burroughs, un’opera censurata all’epoca della sua scrittura e pubblicata solo 35 anni dopo. Ambientato nel 1950, il film segue William Lee, un americano espatriato a Città del Messico, che vive una vita di solitudine e dipendenza dagli oppiacei. L’incontro con un giovane studente appena arrivato in città scatena una serie di eventi che conducono i protagonisti in un viaggio picaresco attraverso il Sud America, esplorando il realismo magico e lo spiritismo nella giungla amazzonica: “Cerca il modo in cui può esistere con la sua solitudine, quando incontra la solitudine di un’altra persona”, ha spiegato Guadagnino parlando del suo protagonista.
Il film è permeato da una disperata vitalità, con scene che ricordano i quadri di Hopper, e un’immersione nel mondo dell’ayahuasca, una pianta dagli effetti psicoattivi usata per esplorare la mente e la telepatia. Quando gli viene chiesto se Hollywood avrebbe avuto il coraggio di produrre un film simile, Guadagnino risponde con la sua solita prontezza: “Hollywood non è un indirizzo, Hollywood è contaminazione, è un diffuso senso di immaginazione in un mondo immaginifico, non è chiusa tra quattro mura. Questo film è hollywoodiano nel senso di una profonda italianità e internazionalità, ci sono Fremantle, io, Lucky Red che lo distribuirà in Italia”.
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