Da Montale a Pasolini, il poeta e critico Machiedo apre le stanze dei ricordi
Si terrà mercoledì 18 settembre, a Pordenonelegge (alle 18 a Cinemazero, Sala Grande), la prima assoluta del documentario “Mladen Machiedo. La quotidianità non ordinaria di un italianista croato”.
Promosso dalla Comunità croata di Trieste e realizzato con il contributo della Regione Friuli Venezia Giulia il film, diretto da Matteo Prodan, è dedicato a uno dei più grandi intellettuali del Novecento.
In una lunga intervista con la giornalista Cristina Bonadei Machiedo si racconta aprendo la sua casa e le sue intime stanze della memoria dove troviamo Montale, Pasolini, Zigaina, Calvino, la sua vita romana, l’amore per la grafica e le relative mostre, la moglie scomparsa e amata, ma anche lo sguardo di chi ha vissuto le dinamiche storiche e politiche di quelle terre restando sempre fedele alla Cultura.
Ordinario di Italianistica all’Università di Zagabria, dove è nato nel 1938, poeta, critico e saggista, Machiedo rappresenta il paradigma dell’intellettuale mitteleuropeo senza confini.
Professor Machiedo, ha già visto il documentario?
«Ho visto la brutta copia, come si direbbe in letteratura. So che dopo sono state apportate delle modifiche, per cui sarà una sorpresa anche per me».
Anche l’idea di fare un documentario è stata una sorpresa?
«Senz’altro. La tv croata ha aumentato recentemente la quota della mia visibilità portandola da due a cinque minuti perché ho ottenuto il premio Vladimir Nazor (il più prestigioso Premio croato, attribuito per l’Opera omnia nel campo della letteratura, ndr). La mia quota nella prima delle mie due patrie è di cinque minuti e questa quota sarà battuta adesso da questo documentario che dura quasi un’ora».
Qual è la sua seconda patria?
«È l’Italia ovviamente».
Lei ha un cognome di origine portoghese.
«Esatto, ma sono stato in Portogallo una volta sola. Ho anche una laurea in francese e ho tradotto dallo spagnolo, questo per dire che sono una combinazione di origini neolatine e panslave».
Una combinazione che trova una sintesi a Trieste.
«Trieste sta diventando con l’andare del tempo una delle mie città. Compro sempre il Piccolo durante le mie puntate triestine. Questo film lo abbiamo girato anche a Trieste, oltre che a Spalato durante una conferenza alla Facoltà e a casa mia a Zagabria».
Lei ha tradotto Montale, lo ha conosciuto di persona?
«L’ho incontrato tre volte. Aveva l’abitudine di dare a tutti dei soprannomi, a partire da quello che aveva scelto per sé stesso, Eusebius. in Montale tutto aveva un doppio senso. La terza volta che sono andato da lui mi disse “Machiedo non è venuto?”. Non è che non mi avesse riconosciuto, ma voleva dire “è proprio sicuro di essere sé stesso?”».
È stato difficile tradurre la poesia di Montale in croato?
«Certo. La lingua degli Ossi di seppia è molto aspra, Montale ha trasformato l’italiano in una lingua consonantica, ma siccome il croato è già una lingua consonantica, ho dovuto raddoppiare il consonantismo in croato per renderlo un po’ insolito».
Montale in modo ironico ha detto che la poesia è un prodotto inutile ma quasi mai nocivo.
«Non sarei così duro. Credo nella poesia, non credo nei numeri, a volte gli autori sopravvivono grazie a pochissimi cultori che diffondono la loro opera».
Lei è poeta a sua volta. In una lirica del 2002 scriveva “la storia è un incubo da cui bisogna destarsi”.
«Un mio aforisma dice che la saggezza della storia sta nell’archeologia. La metastoria mi interessa più della storia. Dal momento che la storia ci porta delusioni quotidiane, forse il mondo si orienterà un po’più verso la metastoria e attraverso la metastoria verso la pace. Quando, a distanza di tempo, ci occupiamo occasionalmente, da storici o da cultori della storia, delle guerre passate, mettiamo in dubbio in grandissima parte la loro finalità».