Isacco Costa sogna Mondiali e Olimpiadi «Il titolo italiano ripaga il lavoro di anni»
Isacco Costa ha portato il tricolore ai piedi del Pelmo. E ora fa sogni iridati. E anche – perché no? – sogni a cinque cerchi. Il ragazzo zoldano che abita in quel meraviglioso paesino ai piedi del Pelmo che si chiama proprio Costa, domenica scorsa a Casnigo, sulle montagne bergamasche, si è laureato campione italiano di corsa in montagna, raggiungendo il più importante risultato ottenuto sin qui dalla dinastia dei Costa.
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Correva in montagna il papà Antonio, corrono tuttora i fratelli Eris ed Elia.
E Isacco ha avuto anche il merito di riportare la corsa in montagna bellunese ai vertici italiani, rinverdendo i fasti di atleti come Dino Tadello, Luigino Bortoluzzi e Marco Gaiardo.
Lo “scudetto” conquistato domenica al termine delle due prove del Campionato italiano (Lanzada a inizio maggio, Casnigo domenica scorsa) è, sin qui, il punto più alto della carriera di Isacco che, è bene ricordarlo, lo scorso anno seppe comunque imporsi in una delle gare di maggior tradizione della corsa in montagna internazionale, la Snowdon Race, in Galles.
E che ha abbinato lo sport a una carriera scolastica di prim’ordine: è ingegnere e da un paio di settimane lavora, come ricercatore, al Cerism di Rovereto (Centro di ricerca Sport, Montagna e Salute ).
Isacco, che cosa significa questo titolo italiano per te?
«Vuol dire moltissimo. Vuol dire che il lavoro svolto in questi due anni, sotto la guida del mio allenatore Jacopo Brasi, ha pagato. Nelle ultime due stagioni mi sono avvicinato e poi ho raggiunto i vertici della corsa in montagna italiana, aumentando in maniera graduale i carichi di lavoro. Ma non solo. Abbiamo fatto volume e qualità negli allenamenti, ponendo anche molta attenzione agli aspetti complementari come il recupero, il sonno l’alimentazione, l’idratazione, i massaggi».
Diamo allora qualche numero relativo agli allenamenti.
«Nei periodi di carico estivo facevo anche dodici ore di corsa a settimana, vale a dire 140, 150 chilometri di corsa in montagna, per circa 4 mila metri di dislivello. Durante il periodo invernale, chiaramente, meno dislivello e più chilometri, diciamo senz’altro sopra i 150 a settimana».
Con carichi di lavoro così importanti, i tendini soffrono.
«Per ridurre al minimo i rischi ai tendini abbiamo introdotto il lavoro in bicicletta, un mezzo complementare alla corsa che ti permette di aumentare carichi e volumi senza pregiudicare tendini e articolazioni».
Ora come prosegue la stagione?
«Adesso per un po’ niente montagna. Il mirino è puntato sulla mezza maratona di Valencia di fine ottobre. L’obiettivo sulle strade spagnole è quello di migliore il personale sui 21,0975 chilometri stabilito due anni fa nell’unica mezza che ho corso, quella di Palmanova, la gara nella quale, al debutto appunto, fermai il cronometro sul tempo di 1h05’38” e che mi ha dato grande consapevolezza delle mie potenzialità. Mi piacerebbe correre attorno a 1h04. La preparazione di base c’è, ora si tratta di affinare la biomeccanica».
Per il futuro in che ambito ti vedi correre: strada, cross o montagna?
«Io ho tanto a cuore la famiglia della corsa in montagna, ci tengo a tenere alta la bandiera di questa specialità nel mondo. Io poi sono convinto che si può andare forte in montagna ma andare forte anche su altri terreni. Mi piacerebbe dimostrarlo».
Potrà mai la corsa in montagna diventare sport olimpico?
«Io credo che abbia tutte le carte in regola per diventare una disciplina a cinque cerchi. Spero che non lo diventi troppo tardi, in modo da cercare di vestire l’azzurro ai Giochi. Nel frattempo, cercherò di conquistare una maglia della nazionale per i Mondiali che saranno a fine estate 2025».