Добавить новость
ru24.net
World News
Октябрь
2024

I lampioni di Trieste, una tradizione che continua dal gas all’elettricità

0

Uno dei primi gesti di recupero del Porto Vecchio di Trieste, nel 2020, era stata l’installazione di 71 lampioni “a goccia”, dalle forme volutamente retrò. L’attenzione all’elemento ornamentale dell’illuminazione pubblica non deve sorprendere: dal 1700 ad oggi Trieste ha conosciuto l’avvicendarsi di molteplici lampioni e fanali, spesso dismessi e trasformati in monumenti. Le prime tracce furono, nella città seicentesca, i lumi posti di fronte alle cappelle e alle immagini sacre sotto i capitelli cittadini.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730092]]

I lampareti

Quando la città, nella prima metà del Settecento, iniziò la fulminea trasformazione in un grande centro mercantile erano popolari i “lampareti”. Povera gente, munita di fanale, il cui compito consisteva nell’illuminare la strada ai patrizi e ai mercanti che, concluso lo spettacolo al Teatro di San Pietro, dovevano rincasare. Nonostante fosse l’epoca dei Lumi, Trieste era all’epoca una città considerata dai viaggiatori buia e pericolosa: l’assassinio di Winckelmann era riverberato in tutta Europa e, per i rampolli inglesi del Grand Tour, la città rientrava nello stesso immaginario gotico del castello di Otranto di Walpole.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730139]]

I primi fanali a olio

Dal 1769 in poi, all’epoca di Maria Teresa, la città iniziò ad attrezzarsi per i primi fanali ad olio: l’installazione era a carico dei mercanti nella città nuova, oggigiorno corrispondente al quartiere Teresiano e a spese invece dell’amministrazione comunale tra le viuzze e gli androni della Città vecchia. Le squadre dei “lampareti” rimasero però a disposizione a lungo, testimoniando una transizione ancora difficile.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730093]]

L’arrivo tardivo del gas

Lo storico Alfieri Seri osservava che Trieste è una delle poche città in Europa dove il passaggio dai lumi ad olio al gas sia avvenuta senza la tappa intermedia del petrolio. E l’illuminazione a gas giunse in effetti molto tardi, appena il 20 novembre 1846, quando si sperimentò l’illuminazione del Corso e di via Nuova. L’incarico era stato affidato all’imprenditore francese Pietro Prix Franquet che edificò il primo gasometro in via Molingrande e attrezzò i primi lampioni. I fanali di prima classe costavano al Comune 43 fiorini e di seconda 30; il passaggio dai lumi ad olio fu graduale, specie nelle zone di periferia, perdurando fino al 1864.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730090]]

Opere d’arte

Incapsulati dentro crisalidi di vetro, adorni di alabarde, volti femminili e fiori di ferro, i lampioni a gas costituirono l’apogeo dell’arte applicata. Molti scomparvero nel Novecento, ma altri ancora appaiono tutt’oggi disseminati per le vie di Trieste, purtroppo negletti tanto dai privati nel restauro delle facciate, quanto dal pubblico. L’esempio paradigmatico è il “fanale artistico” di casa Leitenburg, all’angolo tra via Giulia e via Rossetti: catafalco di ferro e vetro tutt’oggi rugginoso e pendente nonostante il recupero dell’edificio di Ruggero Berlam del 1887.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730091]]

I lampioni demoliti

Risulta in migliori condizioni il fanale dell’ex bar Cattaruzza, all’angolo di palazzo Adese: i due bracci sorreggono tre lampade a goccia in buon stato. Innumerevoli, in quest’ambito, i lampioni di grandi dimensioni demoliti nel Novecento: in piazza dell’Unità, un tempo piazza Grande, Trieste aveva infatti un grande fanale di ghisa a otto fiamme, poi eliminato col passaggio all’energia elettrica. Oggigiorno versioni identiche ai fanali triestini sono ancora ammirabili a Praga dove sono stati conservati nel centro storico. All’ingresso del Municipio erano un tempo presenti due statue tedofore in bronzo che sorreggevano ciascuna un fanale a gas: soprannominate Tinza e Marianza quale equivalente femminile di Mikeze e Jakeze, le due statue rimasero presenti fino alla fine degli anni Trenta, quando se ne perdono le tracce.

L’urlo muto della statua della Dedizione

Spostandosi verso il Canal grande e nello specifico il Ponte Rosso, è possibile ammirare dei lampioni di grandi dimensioni: inusuali a confronto con quelli, seppur storici, cittadini. Erano un tempo posizionati agli angoli della ringhiera che delimitava, davanti alla stazione dei treni, la statua della Dedizione di Trieste all’Austria del 1882, smembrata col passaggio all’Italia nel 1919. Oggigiorno la testa conserva ancora un urlo muto al secondo piano del Museo Diego De Henriquez.

Illuminati uno a uno dagli “impizaferai”, i lampioni a gas conobbero diverse fogge nel corso di quasi mezzo secolo di attività, rintracciabili dalle pubblicità sui giornali: dapprima con fiamma a ventaglio, poi con fiamma concentrata, infine con la famosa “retina Auser”.

[[ge:gnn:ilpiccolo:14730089]]

L’arrivo dell’elettricità

Il passaggio alla luce elettrica, come avvenuto in precedenza con il gas, non fu rapido con la sopravvivenza di fanali a gas fino al 1930, quando ne risultavano ancora ben 168 in tutta la città. Il primo test avvenne nel 1898: il 19 ottobre Il Piccolo scrisse che “alle 11 improvvisamente, la piazza della Legna, il Corso, la piazza della Borsa, le Rive si illuminarono come per incanto d’una luce bianca, brillante, intensissima: era la prima prova notturna dell’illuminazione elettrica”.

Le edicole cilindriche

Non erano state invece ancora illuminate piazza dell’Unità, riva del Mandracchio e piazza Verdi. I “lampareti” utilizzavano cabine di distribuzione simili a grandi cilindri, di solito tappezzate di manifesti e pubblicità, definite “edicole”. Vi erano poi, nel 1898, due locali ad hoc al Municipio e al Teatro Verdi.

Se uno di questi cilindri dovrebbe tutt’oggi essere presente nel deposito De Henriquez, l’esempio dei Paesi centro europei torna utile: ritroviamo infatti identici “monoliti” a Budapest e Praga. L’accensione, nei primi decenni, era ancora manuale con appositi interruttori dentro le cabine elettriche o nelle nicchie vicino ai diversi fanali.

Il restyling degli anni Trenta

I superstiti lampioni a gas erano ancora menzionati nelle cronache cittadine nei tardi anni Trenta, quando la città conobbe un generale restyling dell’impianto elettrico. Un cronista, per l’edizione serale sempre del quotidiano Il Piccolo, scriveva il 28 dicembre 1938 che “da due o tre anni in qua, i rari lampioni a gas ancora esistenti hanno cessato di funzionare; la città, insomma, è completamente illuminata elettricamente con lampade a serie”. Con una punta di attualità il cronista osservava come fosse un sistema “che concede un risparmio notevole sui consumi di una volta”. Infatti “oggi si vuole qualcosa di più della luce elettrica, ovvero che questa sia capace di fare una luce pari a quella meridiana”.

Ai giorni nostri

A partire dagli anni Novanta e proseguendo fino ai primi del Duemila, Trieste ha sostituito gran parte dei fanali “appesi” ai cavi con esemplari tradizionali o fanali al muro, restaurando inoltre i lampioni storici delle Rive e di viale XX Settembre. Tuttavia, come con il passaggio al gas e all’elettricità, permangono in periferia o nelle strade più trafficate i “vecchi” modelli. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA




Moscow.media
Частные объявления сегодня





Rss.plus




Спорт в России и мире

Новости спорта


Новости тенниса
WTA

Соболенко заявила, что хотела бы видеть флаг Белоруссии на турнирах WTA






Креативные индустрии в России как новый локомотив развития экономики

Депутат ГД Гурулев назвал критической ситуацию в забайкальской медицине

В Бронницкий автопарк поступили новые автобусы

Тахограф СПб официальный сайт