Quel gasometro dismesso del Broletto che garantiva l’illuminazione pubblica a Trieste
Il distretto industriale di Simmering, a Vienna, presenta quattro gasometri costruiti a inizi Novecento che, recuperati nella loro interezza, oggigiorno ospitano un’eterogenea collezione di appartamenti e negozi di alto lusso. Il gasometro del Broletto, presente nella zona di Chiarbola inferiore, rappresenta il fratello dimenticato di questa grande famiglia industriale caratteristica dei Paesi centro europei a cavallo del secolo.
La valle del Broletto conobbe già dalla metà dell’Ottocento un intenso sviluppo in senso industriale, con gli impianti dello Stabilimento Tecnico Triestino e dell’Arsenale del Lloyd. La prima Usina Comunale del Gas, realizzata da una società privata, sorse nel 1864 su un fondo di 20 mila metri quadri onde supplire all’illuminazione pubblica e ai consumi crescenti della città. Un primo gasometro, con una capacità di 8 mila metri cubi, fu poi realizzato negli anni successivi, giungendo infine nel 1901 alla decisione di erigere l’odierna struttura.
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Progettato dall’ingegnere Francesco Buonaffi dietro incarico dell’Azienda Comunale Elettricità Gas Acqua di Trieste, il gasometro era all’epoca una struttura moderna ed efficiente: un unicum nel panorama italiano dove il discorso sul recupero dei gasometri considera di solito le strutture di ferro globulari e non di muratura.
Il modello afferiva infatti ai gasometri viennesi e berlinesi: una lanterna con ballatoio decorato rappresenta il “cappello” di una grande cupola reticolare su modello Schwedler (1866). Quest’ultima era un’importante innovazione ingegneristica inaugurata a Berlino che utilizzava una volta in acciaio curvo senza supporti. La sommità discende poi con un tamburo con tante minuscole finestrelle, saldate a 15 diverse lesene che a propria volta sorgono dalle 14 grandi vetrate.
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Il gigantismo tipico di queste strutture industriali in realtà è appena una membrana di pietra e vetro, perché il muro è spesso solo 90 centimetri, elevandosi però per 90 metri di altezza.
La pietra, in questo contesto, maschera bene l’interno costituito dal deposito originario di gas. Dalla capacità di 20 mila metri cubi, il deposito era una campana metallica che scorreva all’interno dell’edificio: la parte sottostante, aperta, dava su una vasca piena d’acqua di 10 metri di profondità. Il gas si raccoglieva nella parte alta, venendo aspirato con tubature posizionate nell’acqua della parte sottostante. A seconda del consumo di gas la campana saliva o scendeva; il meccanismo non è diverso dai gasometri novecenteschi, di solito ricordati proprio per il lento movimento della cupola. Il gasometro triestino, essendo anteriore, nasconde il suo reale funzionamento in una calotta di pietra.
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Sopravvissuto ai bombardamenti del 1916 e del 1944-45, il Gasometro rientrò in funzione nel 1947 e fu in parte modificato nel 1950 e 1952, venendo infine dismesso alle soglie degli anni Sessanta.
La protezione quale “bene di interesse culturale” nel 1988 aprì gli interrogativi su cosa farne: cattedrale industriale nel senso letterale del termine, il gasometro condensa il gigantismo caratteristico di queste strutture. Troppo grande per essere distrutto e nel contempo troppo grande per essere recuperato con fondi pubblici. La posizione in un’intersezione trafficata e lontana dal centro, per altro sovraffollata di edifici e strutture sensibili, rende arduo pensare al gasometro come un luogo raggiungibile dai cittadini.
Un lungo elenco di ipotesi di trasformazione che tutt’oggi tengono banco: planetario, sede per i giovani, discoteca, cinema tridimensionale e, in tempi più recenti, palestra di arrampicata. Guardando alla Germania il gasometro di Duisburg è oggigiorno il centro di immersioni con il più grande bacino in Europa, mentre il Fichte-Bunker di Berlino del 1874, con l’identica cupola di Trieste, è ora un complesso residenziale di lusso. —