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Ноябрь
2024

Il commissario Andrea Nutta in pensione dopo 38 anni: una vita nella Stradale

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Trentotto anni nella polizia stradale, con impegno e passione. Tra emergenze, soccorsi, scorte, eventi sportivi, controlli e tante conferenze nelle scuole e non solo. Perché la prevenzione «è l’unica arma a disposizione per cercare di far diminuire il numero degli incidenti». Il Commissario Capo della Polizia di Stato Andrea Nutta, friulano doc, dirigente della sezione di Udine della Polstrada, va in pensione. A sessant’anni appena compiuti, saluta i colleghi e gli uffici di viale Venezia, portandosi dietro una valigia piena di ricordi ed emozioni.

Commissario, com’è cominciata “l’avventura” nella polizia?

«Nel 1986, quando ho fatto il servizio militare in polizia, come agente ausiliario. Dopo il primo anno, ho deciso di fare anche il secondo, all’epoca facoltativo. Successivamente, al termine dei corsi previsti, sono entrato nel Corpo e sono stato assegnato alle Volanti di Udine. Il primo incarico per me è stato entusiasmante, mi sembrava di essere stato catapultato in un altro mondo, tra controlli e richieste d’intervento che arrivavano dai cittadini».

Qual è l’aspetto più difficile del suo lavoro?

«Il fatto di essere sempre a contatto con la gente impone un elevato livello di professionalità. Ricordo che ci veniva insegnato, in appositi corsi, anche il modo giusto di porsi nei confronti dei cittadini. Perché noi siamo al loro servizio. E il solo fatto di avvicinarsi a ciascuno in maniera rispettosa e cortese, pone già le basi per un rapporto corretto».

È cambiata nel tempo la polizia stradale?

«Per certi versi ci sono stati mutamenti importanti, ma la nostra missione rimane sempre la stessa. Cercare di prevenire situazioni pericolose e incidenti, naturalmente anche applicando le sanzioni previste dalla legge. Sempre con il buon senso».

I momenti che non dimenticherà?

«Erano i primi anni 2000 quando arrivai sul luogo di un incidente, lungo lo stradone per Lignano. Dopo una notte di divertimento, erano morti tre giovani, di cui uno minorenne. Provai rabbia, pensai che cose del genere non avrebbero più dovuto accadere e, successivamente, presi sempre parte ai servizi ministeriali volti appunto a prevenire le cosiddette “stragi del sabato sera”».

Come si svolgono questi servizi?

«Oggi possiamo contare su un laboratorio forense mobile e sulla presenza di un medico. Così, nel giro di poco tempo, riusciamo a stabilire se un conducente ha assunto stupefacenti. Notiamo che ogni giorno i giovani diventano sempre più responsabili. Accanto al problema dell’alcool c’è quello dell’utilizzo di droghe da parte di chi si mette poi al volante. Un fenomeno che va sicuramente ostacolato per le gravissime conseguenze che può avere».

Il giorno più difficile?

«Forse quel 1 agosto del 2017 quando un auto si fermò davanti al nostro cancello, a Palmanova, e il conducente, un 36enne, ci disse che aveva ucciso la sua ex ragazza e che aveva vagato in macchina per ore con lei, ormai esanime, seduta accanto. La vittima, una ragazza di Dignano che aveva solo 21 anni».

L’intervento più curioso?

«Senza dubbio quando, controllando un furgone con targa bulgara in un’area di servizio nella zona di Latisana, trovammo un bellissimo cucciolo di leone, trasportato illegalmente. Era il 2012. L’animale fu poi accolto dallo zoo di Bologna».

Se potesse dare un solo consiglio a chi si mette al volante, quale sarebbe?

«Direi che quando ci si mette in strada, bisogna prendere la guida come un lavoro, un’attività che esclude tutte le altre. Sempre pensando che, dopo ogni partenza, c’è qualcuno che ci aspetta. E che anche nelle altre macchine ci sono persone, famiglie e vite».

Quale eredità lascia ai giovani cui ha ceduto il testimone?

«Saluto persone molto preparate e auguro loro di poter sempre vivere la professione con impegno e passione. E, per qualsiasi cosa, resto a loro disposizione, anche perché un po’ mi dispiace di dover andare in pensione, visto che provo ancora lo stesso entusiasmo di quando ero giovane».




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