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Ноябрь
2024

«Volevo far male agli psichiatri»: la confessione choc dell’aggressore dell’ospedale

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Non era il personale del Pronto soccorso il suo obiettivo, ma i medici del Centro di salute mentale e del reparto di Psichiatria. Per loro fortuna, nessuna risposta quando Riccardo Velo aveva suonato il campanello nel tentativo di entrare nelle due strutture. E così, per puro caso, quel rancore che l’uomo covava dentro, è stato indirizzato altrove, contro il personale del Pronto soccorso.

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«Non ho ucciso il carabiniere, vero?» si è subito preoccupato ieri, appena iniziato l’interrogatorio per la convalida dell’arresto. «Non volevo uccidere... Ho solo dentro di me del rancore nei confronti degli psichiatri che mi hanno sottomesso a cure obbligatorie... Dopo 15 anni di maltrattamenti psichiatrici mi hanno obbligato a prendere farmaci... Ho suonato al Centro di salute mentale (Csm)per vedere se ci fosse qualcuno per fargli del male e nessuno ha aperto... Avevo anche cercato in Psichiatria. Poi sono andato al Pronto soccorso, non conoscevo i medici e l’infermiere che ho aggredito. Mi pento... Ho cercato di ferire il carabiniere, non di ucciderlo. Mi pento. E mi scuso» ha insistito nel faccia a faccia con il giudice Domenica Gambardella.

È la confessione choc del 34enne di Cittadella, protagonista di una vera e propria mezz’ora di follia in ospedale dove ha aggredito un medico, un infermiere e due carabinieri (di cui uno in modo serio), fronteggiando altri quattro militari dell’Arma prima di essere bloccato con alcune scariche di taser. Una follia (forse) nel vero senso della parola perché l’odissea di Velo, da anni in cura, non può che far pensare a una seria problematica mentale. Ma tant’è.

Destinazione carcere, almeno per ora, come richiesto dalla procura. Lo ha stabilito il gip che ha convalidato l’arresto per tentato omicidio, tre episodi di lesioni aggravate, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamenti, minacce e infine porto in luogo pubblico di un coltello da cucina con una lama lunga ben 25 centimetri.

Gip che ha sottolineato l’incapacità di autocontrollo da parte dell’indagato e l’aggressione prolungata e violenta che potrebbe essere reiterata. Misura cautelare massima, dunque, mentre il difensore – il penalista Jacopo Al Jundi che aveva sollecitato gli arresti al domicilio o in una struttura psichiatrica – ha formalizzato la richiesta di una perizia per valutare la capacità di intendere e di volere e pure quella di stare in giudizio del suo assistito attraverso un incidente probatorio, meccanismo di anticipazione della prova processuale.

Nella sala colloqui della casa circondariale Due palazzi, dove si trova rinchiuso, martedì Riccardo Velo ha ripercorso le tappe della mattinata fuori controllo di sabato scorso, iniziata verso le sette e 50, l’ora in cui si è presentato in ospedale.

Ha ammesso che, a causa di quel rancore (parola riferita con insistenza), era andato per strada a piedi nudi. E poi in ospedale. In mano aveva il coltello e il bersaglio era «qualcuno al Csm o in Psichiatria per fargli del male».

Non trovando nessuno, la decisione di sfogare la sua rabbia nel reparto di Emergenza: «Ho cercato qualche dottore, ne è uscito uno. L’ho colpito e ferito. Dopo ho ferito un infermiere». Fuggi fuggi generale, quindi l’arrivo di una pattuglia di carabinieri raggiunti da altri quattro colleghi. È uno dei due (il vicebrigadiere Denis Ceccato) che s’infila tra Velo e un’infermiera, per proteggere quest’ultima, prima di inciampare ed essere colpito da due fendenti alla guancia e al collo.

È ancora il caos, in quattro lo fronteggiano fino a bloccarlo con il taser. Mesi fa, ha sempre raccontato il 34enne, gli psichiatri gli avrebbero detto che stava meglio. E lui non avrebbe seguito più alcuna cura. Triste la sua storia: un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) e tre tentativi di suicidio. Ora il carcere. «Mi stanno dando botte tutti i giorni» si sarebbe lamentato. Chissà se è vero.

Il giudice ha sottolineato la furia aggressiva dimostrata da Velo e l’odio generalizzato verso medici e forze dell’ordine. Tutto confermato dai verbali, certo. Tanto che il magistrato ha accolto la richiesta del pm Francesco Lazzeri, titolare dell’indagine, disponendo la misura cautelare estrema. Resta la domanda: è il carcere il posto giusto?

Persone come Riccardo Velo – senza un lavoro («ero operaio in una falegnameria ma ho lasciato quel posto per le mie condizioni di salute») e senza una famiglia («mio padre non so dove sia, ho un cugino e una zia che sento ogni tanto») – rischiano di finire dietro le sbarre perché mancano strutture alternative di accoglienza.

Vita disperata in solitudine o, se sgarri, carcere. Nessun’altra alternativa. Significativa del suo malessere la frase urlata ai carabinieri intervenuti la scorsa estate durante l’ennesima giornata di ordinaria follia: «Mi dovete arrestare, ho tante denunce... Devo essere punito perché solo così il mondo potrà essere salvato».




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