La sentenza su cui si basa la richiesta a Google di vendere Chrome
Era lo scorso 5 agosto quando un’importante sentenza di un tribunale americano metteva il primo tassello su ciò che potrebbe accadere nell’immediato futuro. Parte proprio da quel giorno l’ipotesi – sempre più concreta, ma non certa – dell’obbligo che potrebbe essere imposto a Google (in realtà alla sua controllante Alphabet) di vendere il suo prodotto di punta. Ovvero il suo motore di ricerca, quello più utilizzato al mondo. Una sentenza che parla di abuso di posizione dominante e di soffocamento della concorrenza che, stando alla richiesta del Dipartimento di Giustizia a stelle e strisce, potrebbe portare a una svolta epocale nel mondo del Tech. Perché se Google vende (o venderà) Chrome, dando seguito a un possibile obbligo giudiziario, l’ecosistema digitale e di Internet è destinato a cambiare.
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Dunque, per parlare delle voci – non smentite – che si stanno rincorrendo in questi giorni, occorre fare un piccolo passo indietro e tornare all’inizio dello scorso mese di agosto. All’epoca, infatti, il giudice distrettuale Amit Mehta (qui il testo della sentenza) – dopo aver raccolto testimonianze e analizzato i documenti inviati dal Dipartimento di Giustizia che aveva intentato questa causa per abuso di posizione dominante sul mercato dei motori di ricerca – ha sentenziato:
«Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il suo monopolio».
Le accuse, dunque, sono state confermate. Da quel momento in poi, il silenzio. Almeno fino alla giornata di martedì 19 novembre, quando l’agenzia di stampa americana Bloomberg ha rilanciato la notizia dell’imminente richiesta – sempre allo stesso giudice – di ordinare ad Alphabet (la holding che controlla Google) di procedere con la vendita del suo motore di ricerca. L’azienda Big Tech ha provato a difendersi in tribunale e dopo questa sentenza aveva annunciato il suo ricorso.
Google vende Chrome? Cosa dice la sentenza di agosto
Ma questa vicenda ha origini lontane nel tempo. La prima denuncia del Dipartimento di Giustizia americano risale al primo mandato di Trump alla Casa Bianca, ma tutto si era fermato con un’archiviazione del caso. Poi, però, si è proseguito sulla stessa strada tracciata sotto l’amministrazione Biden. E ora che la palla tornerà nelle mani dell’appena ri-eletto Presidente americano, l’intenzione sembra essere quella già palesata nel corso degli anni precedenti. Le accuse, infatti, erano molto pesanti.
Il giudice ha dato ragione al Dipartimento di Giustizia (e all’Antitrust americana) che aveva consegnato documenti in cui si evinceva questo abuso di posizione dominante. In particolare, ci si è concentrati sui miliardi di dollari versati da Alphabet nelle casse di Apple e Samsung affinché il motore di ricerca di Big G fosse quello utilizzo di default nelle ricerche sui dispositivi prodotti da queste due aziende che, storicamente, rappresentano i maggiori produttori di smartphone al mondo e che occupano la fetta principale del mercato.
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