La Deluge: il film reazionario e affascinante (prodotto da Sorrentino) sui rivoluzionari che tagliano la testa al re di Francia
Disseppellire rarefatti brandelli di storia monarchica privata anche quando risulta un insulto alla sacrosanta democrazia popolare. C’è qualcosa di politicamente e rohmerianamente scorretto in Le deluge, il secondo lungometraggio “francese” del regista italiano Gianluca Jodice. Gli ultimi angusti mesi di vita, e la fine dignitosa, degli abietti sovrani di Francia, Luigi XVI (Guillaume Canet) e Maria Antonietta (Melanie Laurent), ricevono un trattamento partigiano – l’angolazione documentale sono i diari del valletto del re, Jean-Baptiste Clery – umanamente prossimo, esteticamente raffinato, culturalmente reazionario.
Un “la rivoluzione non è un pranzo di gala” ricollocato a margine di una specie di anticamera della morte nobile. Il 13 agosto del 1792 i sovrani di Francia oramai detronizzati, nonché arrestati dopo una ridicola fuga, vengono rinchiusi nella Torre del Tempio, alle porte di Parigi. Le deluge inizia proprio dall’arrivo della carrozza reale sulla scalinata del sontuoso edificio prigione, dall’impaccio di un giovane procuratore rivoluzionario che balbetta generici diritti universali, dalla superbia regale e un filo annoiata di Luigi, consorte, figli e ristrettissima corte al seguito. Dapprima il piccolo gruppo reale viene isolato, proprio con delle corde, in una porzione minuta di un ampio salone rettangolare con mobili ammonticchiati e guardato a vista dai soldati. Successivamente verrà deprivato di mobilio, abiti, stemmi, agi e rinchiuso nelle buie stanze della torre. Infine Luigi XVI verrà informato della sua condanna a morte e portato alla ghigliottina. Tre atti (Gli dei, Gli uomini, I morti) che Jodice e lo sceneggiatore Filippo Gravino isolano spazialmente in maniera antispettacolare (non vediamo mai sequenze di esterni e/o di battaglia o massa), armonizzano in calare come una cupa metaforica restringente dissolvenza sul potere e sulla storia, come fosse una traiettoria speculare del rosselliniano La prese di potere di Luigi XIV.
Insomma, nell’esplorare la fulminante e violenta defenestrazione della monarchia regnante da parte del rozzo, sporco e affamato popolo rivoluzionario, emerge il lato reale umanamente intimo, perfino straziato e vittimistico di re e regina. Tanto che il dileggio sadico dei soldati verso i cosiddetti poteri taumaturgici di Luigi XVI o la vecchia popolana vessata che consegna lurida e sguaiata la sanguinante testa decapitata di una dama di corte vicina alla regina (La nobildonna e il duca, si diceva) diventano segno oscuro da leggere in contrapposizione ad un manipolo monarchico che pare, nella sua religiosa sicumera, involontariamente fuori dal tempo e dalla storia. In questo Jodice osa la lettura di un passato cruciale (il sangue e la violenza della Rivoluzione Francese da cui nacquero tutti i sistemi democratici occidentali contemporanei) con gli occhi di un oggi vagamente provocatore e lealista che spiazza e impressiona. Complice un impeccabile impianto scenografico (Tonino Zera), fotografico (Daniele Ciprì) e di costumi (Massimo Cantini Parrini) da mega produzioni internazionali, radiosi tagli kubrickiani dell’inquadratura e una finemente misurata distanza dagli attori, da La deluge non si staccano mai gli occhi e si fatica ad applicare il sistema morale della giusta causa dell’oppresso contro l’oppressore. Canet/Luigi XVI sotto quintali di trucco avanza dapprima tracotante poi si squaglia davanti alla morte imminente come una statua museale di cera. Mentre Maria Antonietta viene dipinta tignosa e superba, nonché unico vero elemento di resistenza attiva e urlante alle prevaricazioni sempre più invadenti e squallide dei carcerieri. Distribuisce Bim. Film d’apertura dell’ultima Locarno. Produttore associato è Paolo Sorrentino.
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