Presidenziali in Romania, la Consulta: «Si ricontino le schede»
Proteste di piazza sempre più accese contro l’ultradestra, timori per la tenuta dello Stato, sospetti su “cyber-minacce” provenienti da potenze straniere e altri non meglio precisati attori non statuali, il tutto mentre si avvicinano le elezioni parlamentari, in programma domenica – e sulle quali potrebbe pesare un “effetto contagio” a favore dell’estrema destra – senza dimenticare il secondo turno delle presidenziali, una settimana dopo.
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Infine, l’ultima bomba: la decisione della Consulta di Bucarest di ordinare il riconteggio delle schede proprio delle presidenziali. È sempre più caotica la situazione in Romania, Paese che rimane sotto choc dopo la vittoria a sorpresa al primo turno delle presidenziali di Calin Georgescu, outsider di destra, considerato un filorusso, anti-Ue e anti-Nato, che ha spazzato via i leader più quotati provenienti dai partiti tradizionali. Vittoria che sta generando un terremoto, a Bucarest. «Meglio morti che fascisti», «il giorno in cui ci arrenderemo, sarà quello in cui moriremo», i cupi slogan che vengono gridati in piazza da giorni da una folla sempre più folta, composta soprattutto da giovani, in strada a protestare contro il trionfo inaspettato di Georgescu, visto da molti come un cavallo di Troia di Mosca in un Paese-chiave per il mantenimento della solidità di Ue e Nato. E una minaccia per stabilità e sviluppo della Romania.
Paure fondate? Non la pensa così Georgescu, che in un videomessaggio diffuso sui social – gli stessi social che hanno spinto il quasi sconosciuto esponente di destra verso la vittoria – ha cercato di calmare le acque. Ma difficilmente ci riuscirà. «Non voglio uscire dalla Nato, né dall’Unione europea», ha giurato, specificando però poi di desiderare solo di poter essere «libero di prendere una mia posizione». La Romania, ha aggiunto, non deve più «inginocchiarsi» davanti a potenze straniere, leggi l’Occidente, né deve «accettare tutto quello che ci viene servito».
Ma ci sono anche altri che non riescono a digerire quanto gli elettori stanno servendo, alla Romania. Uno di essi è Klaus Iohannis, stimato presidente uscente, moderato, filo-Ue e pro-Nato, che ha convocato ieri nientemeno che il Consiglio per la sicurezza nazionale per discutere, è stato reso noto, sui «possibili rischi» alla sicurezza nazionale «provocati dalle azioni di attori statuali e non statuali» alle urne romene.
Iohannis ha poi confermato ieri che Bucarest ha individuato «cyberattacchi pensati per influenzare il processo elettorale», suggerendo che le autorità romene avrebbero verificato anche un «crescente interesse» da parte di Mosca a «influenzare l’agenda politica nella società romena». Come? Forse anche usando social come TikTok, chiave del trionfo di Georgescu, che avrebbe conquistato quasi il 23% dei consensi solamente grazie a una massiccia campagna virale attraverso quel network, che avrebbe concesso a Georgescu un «trattamento preferenziale».
C’è stata una “manina”, ad aiutare Georgescu? Lo chiarirà forse un’inchiesta condotta da Bruxelles e sollecitata dalle autorità di Bucarest, per fare luce sul ruolo giocato dai social «nei processi elettorali». Nel frattempo, la Romania ribolle. Lo fa ancora di più dopo la decisione-choc della Corte costituzionale romena, che ha deciso ieri il riconteggio delle schede delle presidenziali, accogliendo una richiesta in questo senso presentata da due candidati minori, che avevano denunciato presunti brogli. —
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