Frode in commercio, San Gabriele nei guai per il succo d’uva biologico adulterato
Vai a comprare il succo di frutto biologico certificato, per avere la garanzia di una bevanda di qualità e salutare, lo paghi almeno tre volte in più rispetto a un prodotto ordinario (nel linguaggio tecnico, convenzionale) e poi scopri che il succo d’uva impiegato per realizzarlo (e dolcificarlo) è stato adulterato con sostanze che, con il bio, non c’entrano nulla.
È un esempio per raccontare l’indagine avviata cinque anni fa dalla procura di Padova nei confronti di San Gabriele spa, un’azienda alimentare del ramo enologico con sede a Trebaseleghe in via Venezia, tra i principali produttori europei di succo d’uva e mosto.
Indagine rimasta segreta fino a il 4 dicembre, quando i vertici dell’impresa sono finiti a processo davanti al giudice monocratico padovano Valentina Verduci.
Sul banco degli imputati il fondatore Adriano Tombacco, 88 anni, con i figli Matteo, 42enne direttore di produzione, e Gabriele, 51enne consigliere e amministratore delegato, tutti di Trebaseleghe, presenti in aula e accusati di concorso in frode nel commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine aggravati.
Secondo il capo d’imputazione la società specializzata nella produzione e vendita di succo d’uva (sia biologico che convenzionale) – nata nel 1972, una cinquantina di dipendenti e un fatturato passato in pochi anni da due milioni a sette milioni di euro – avrebbe messo in commercio succo d’uva certificato come biologico e, in realtà, adulterato con l’aggiunta di prodotti non consentiti come acqua, acido malico, fosetyl alluminio (principio attivo di diverse formulazioni di pesticidi), clormequat (un altro pesticida) e folpet (fungicida impiegato nelle colture di vite).
L’inchiesta
La segnalazione arriva da alcuni Paesi europei (Francia, Germania e Olanda) dove l’azienda padovana vende un succo d’uva biologico realizzato da mosto di uva da tavola che può essere impiegato solo nei succhi di frutta (non nel vino).
Nel corso di diversi controlli e una perquisizione in azienda, gli inquirenti avrebbero scoperto una doppia rete di tracciabilità, una ufficiale da esibire in caso di ispezioni e una reale oscurabile grazie a un programma gestionale attivabile tramite un’icona sul desk del pc.
Attraverso quella rete con l’impiego di barcode, il laboratorio chimico aziendale (all’avanguardia) attivava degli ordini (chiamati dagli investigatori pizzini in quanto recuperati su foglietti stampati) destinati a contenere le ricette per il cantiniere (l’addetto alle vasche contenenti il succo d’uva) incaricato di aggiungere acqua (denominata in codice “agosto” e poi anche “bassa acidità” dopo un accesso degli ispettori dell’Antifrode) e acido malico (prodotto naturale ma il cui dosaggio non può essere casuale soprattutto se ingerito da neonati).
Ricette destinate a personalizzare il succo d’uva in base alle richieste del cliente, sempre a detta della pubblica accusa.
Il processo
«Hanno usato prodotti non idonei al mercato del biologico. In pratica è stato fatto passare per biologico un succo d’uva convenzionale con un additivo come l’acido malico (in azienda ne erano stati trovati 125 chili nel corso di un accesso) utilizzabile solo nel succo d’ananas in base alle normative comunitarie» ha spiegato in aula l’ispettore Stefano Brescacin del Icqrf Veneto (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari).
Non solo, nel succo d’uva biologico sarebbero state rinvenute altre sostanze (come l’anticrittogamico Fosetyl) che non avrebbero dovuto esserci o, almeno, in quelle quantità.
Sotto sequestro erano finiti 27 mila ettolitri di succo d’uva nel 2019 e poi 180 mila nel 2020, tanto che l’organismo di controllo Ccpb (incaricato e pagato dalla stessa azienda come avviene nel mercato del bio) aveva sospeso la certificazione biologica dei prodotti.
Tuttavia nel luglio 2020 un Decreto del Ministero delle Politiche agricole (firmato dall’allora ministro Teresa Bellanova) alza il limite, aumentando di 100 volte la soglia di fosetyl alluminio trovata nel succo d’uva sequestrato, giustificando la decisione con la possibilità di falsi positivi da contaminazioni accidentali.
«I quantitativi di succo d’uva sono stati dissequestrati perché ritornati entro i limiti di legge» ha puntualizzato l’ispettore. E sul punto hanno insistito i difensori (l’avvocato Fabrizio Mignano e Luisa Pesce del foto di Asti) rilevando come tutto fosse tornato regolare. Di nuovo in aula il prossimo 22 gennaio con altri testimoni della pubblica accusa.