La street art si amplia nei rioni di Trieste: nuovi progetti di rigenerazione
La bellezza porta benessere non solo a chi la crea, ma soprattutto a chi la fruisce. E l’arte urbana o street art è una di queste. Nasce nei sobborghi, di nascosto, lontano dagli occhi del centro città, negli spazi abbandonati, come fabbriche, edifici dismessi, pareti abbandonate a se stesse.
I graffiti sono i primi segni che gli artisti urbani iniziano a tracciare per evolversi poi in veri e propri disegni di grandi dimensioni in pittura, simbolo di una creatività riconosciuta oggi al pari di tutte le altre arti.
Trieste non ha tardato, rispetto ad altre realtà, a dare spazio all’espressione della street art, offrendo spazi, luoghi e progetti culturali che potessero accogliere gli artisti desiderosi di esprimersi. Questo non solo ha permesso un’apertura verso nuove forme d’arte in evoluzione, ma la rigenerazione di luoghi, oltre all’abbellimento di alcuni rioni che ne hanno tratto beneficio.
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Il primo murale accolto in città è stato “What if I lose everything? What if I lose everyone” nel 2015 in via Cumano su un edificio di proprietà dell’Ater. A crearlo in grandi dimensioni è stato l’artista Mattia Campo Dall’Orto che ha rigenerato l’intera facciata del palazzo, grazie ad Ater e a un progetto nazionale dell’Unar, nell’ambito della Giornata mondiale del rifugiato.
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Occhi di varie nazionalità rappresentano uno sguardo universale che dall’alto del palazzo guarda il resto della città. Un messaggio politico, ma anche antropologico che sottolinea come l’arte di Campo Dall’Orto non sia finalizzata solo alla bellezza di una decorazione, ma al simbolo che può tracciare una parte della storia di tutti noi.
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Non è molto diverso l’approccio che hanno adottato i fratelli Davide e Sara Comelli per il murale sull’edificio cosiddetto dei “Puffi” a Borgo San Sergio, nel quale una donna in procinto di spiccare il volo rappresenta la speranza di una rinascita continua, così come a Ponziana, a Giarizzole e a Servola, dove altre opere d’arte di diversa entità e diversi artisti hanno racchiuso un messaggio di protesta tanto quanto di speranza, ma soprattutto di attenzione a chi non c’è più, a chi c’è ancora, a chi potrebbe arrivare.
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Quest’anno si conclude il progetto Chromopolis - La città del futuro, promosso dal Comune di Trieste e curato dal Progetto Area Giovani nel 2017 per dare voce agli artisti urbani e rivitalizzare molti luoghi della città.
Valmaura è sicuramente il rione cittadino che più accoglie una culla di disegni lungo tutti i muri dello stadio Nereo Rocco, sui quali molti artisti di fama locale e nazionale hanno raccontato un pezzo della storia cittadina, traducendo l’asfalto di un muro in memoria perenne. Dal ritratto di Stefano Furlan, il tifoso della Triestina morto all’esterno dello stadio Grezar colpito alla testa da un poliziotto, fino ai “refoli” di bora, le pagine dell’Ulisse di Joyce e l’amore collettivo per il basket.
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Ma l’arte urbana a Trieste non è relegata solo ai rioni di periferia: tra i tanti, molti murales si possono ammirare sulle pareti dello stabilimento balneare del Pedocin, dove il mare è il protagonista che occupa i 74 metri del muro esterno. In un antro della città vecchia, troviamo anche un’opera di Gabriele Bonato che ha dipinto frammenti di vita quotidiana della Cavana di un tempo.
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Le future iniziative
I progetti in ballo però non finiscono con Chromopolis. Il Comune sta ultimando un’iniziativa in fase di studio dal titolo “hall of fame – muro libero” con il quale «si mette a disposizione – spiega Maurizio De Blasio, assessore alle Politiche dell’Educazione – uno spazio per opere in costante evoluzione. L’individuazione dell’area è in fase di ricerca perché deve soddisfare i requisiti di sicurezza e i vincoli culturali e paesaggistici».
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Allo stesso modo, anche Ater organizza insieme all’associazione culturale Melart delle gite scolastiche per poter conoscere i grandi murales di Melara, luogo storico che ha segnato la nascita di molti grandi artisti urbani che oggi rappresentano il tessuto contemporaneo della città. L’arte urbana non si ferma. —
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