Trieste, riemergono due pellicole di cinema dimenticato dagli anni del Gma
TRIESTE Settant’anni anni fa Trieste ritrovava l’Italia dopo la parentesi delle tre occupazioni (nazista, titina, anglo-americana). Ma l’avventura insieme tragica e unica di quegli anni, in apparenza lontani, continua oggi a suscitare interesse e a muovere riflessioni e storie (pensiamo al romanzo “Bambino” di Marco Balzano). E così, sul fronte del cinema, oggi e domani la Cappella Underground e l’associazione Anno Uno organizzano al Teatro dei Fabbri due giornate di proiezioni e incontri dedicati al nostro 1954 e dintorni.
Oggi la Cappella presenta tre docu-film: alle 17.30 “I nostri giorni americani” (2014), scritto e diretto da Chiara Barbo con Andrea Magnani, alle 18.30 “Vola colomba, Trieste 1954” (2024) di Renzo Carbonera, con il giornalista Toni Capuozzo, e alle 20.30 “Trieste 1954 – Aspettando l’Italia” (2004) di Giampaolo Penco.
Domani invece l’associazione Anno Uno - con la Cineteca del Friuli, la Casa del Cinema, l’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata, il Centro Studi Cinematografici e Magnifica Ossessione – presenta i restauri di due film chiave ritrovati. Alle 18.30 viene proiettato “Trieste mia!” (1951), diretto dal “regista degli incassi” Mario Costa, che racconta la città dall’8 settembre 1943 all’occupazione jugoslava. Alle 21 è la volta di “La campana di San Giusto” (1954), scritto e diretto da Mario Amendola e Ruggero Maccari (poi sceneggiatori fra i più popolari in Italia), ambientato durante la guerra del 1914-18 ma allusivo al secondo conflitto. Precede dalle 16 una tavola rotonda con interventi del presidente di Anno Uno, Sergio M. Grmek Germani, dello storico Roberto Spazzali, del giornalista e scrittore Roberto Curci e dello storico ed esperto di location Carlo Gaberscek.
Poco valutati e studiati finora nelle storie del cinema, in quanto considerati film di propaganda indiretta e opere minori di genere dei loro autori, “La campana di San Giusto” e “Trieste mia!” contengono invece più di un motivo di interesse, e non solo storico legato a quei delicati anni della città.
Intanto entrambi furono campioni di incasso all’epoca (rispettivamente 200 e 600 milioni di lire), risultando i due di maggior successo nel gruppo degli instant-movies di varia estrazione (spionistici, noir, mélo, patriottici) che il cinema italiano di allora dedicò alla fatidica “questione di Trieste”. Perché il pubblico della penisola corse a vederli? Innanzitutto erano film ricchi di canzoni (diverse dedicate a Trieste) eseguite rispettivamente da Achille Togliani (solo voce) e Luciano Tajoli, di quel filone canoro che allora spopolava. Come scrisse Vittorio Spinazzola, “dopo il 25 aprile buona parte degli spettatori italiani si riaccostò agli schermi cantando”.
Poi, “La campana di San Giusto” rappresentò simbolicamente proprio il “film della liberazione” dal GMA. Girato fra il dicembre 1953 e il marzo 1954, fu distribuito strategicamente nelle sale in autunno, in coincidenza col cambio di governo in città. A Trieste uscì al cinema Impero di via Battisti il 4 novembre, giorno dell’arrivo del presidente Einaudi. Interpretato da Andrea Checchi e dalla francese Gaby André (madre della “perla di Labuan” Carol André) racconta di un irredentista clandestino (Checchi) in lotta contro gli austriaci in attesa dell'esercito italiano (chiara l’assonanza all’atmosfera del 1954).
Il successo nazionale di “Trieste mia!” (sesto posto della stagione 1951-52) si deve senz’altro alla presenza del divo della radio Luciano Tajoli. Inoltre proprio il regista Mario Costa era stato nel dopoguerra l’inventore del film-opera con “Il barbiere di Siviglia”, e aveva portato per la prima volta sullo schermo Claudio Villa e lo stesso Tajoli. Le riprese del film in città, molto seguite dal “Piccolo”, iniziarono l’8 settembre 1951 e coinvolsero non a caso i monumenti triestini più simbolici. Tajoli si esibì al “Piccolo mondo” a favore dei poliomielitici. Ma una coda di riprese a Roma vide proprio dopo l’ultimo ciak la fine tragica, il 1° novembre, del coprotagonista Ermanno Randi, ucciso per gelosia nella notte a colpi di pistola dal compagno Giuseppe Maggiore.
Forse anche per l’eco di questo fatto di cronaca, le prime proiezioni triestine dal 15 gennaio 1952 al cinema Alabarda furono talmente affollate, che venne chiamata la polizia. Ma dopo tre giorni (almeno così spiegò “Il Piccolo”), pressioni titine intervennero sul GMA per bloccare un film che “gettava fango su fango sulla figura di un partigiano sloveno”. E le proiezio