Casalesi di Eraclea, testimonianza shock al processo: «Donadio mi vuole vedere morto»
Il colpo di scena, in aula bunker, si è avuto all’ingresso del collaboratore di giustizia Girolamo Arena, teste dell’accusa al processo di appello ai “Casalesi di Eraclea”: ha chiesto di sedersi di spalle, di non essere visto dagli imputati. Le difese protestano. L’avvocato Campanel, difensore di Arena, prende la parola: «C’è stata minaccia da parte di Donadio che ha promesso una somma rilevante per farlo uccidere. Questo lo spaventa molto».
Le difese degli imputati si agitano, il Tribunale conferma l’esame “protetto” e Arena (che è in programma di protezione) parla: «Una ragazza è testimone di una riunione in cui ha sentito Donadio offrire a Ivan Giantin 100 mia euro per ammazzarmi... a quel punto mi hanno incrementato la scorta e spostato di località», «quando sono stato informato ho chiamato il mio referente territoriale, ha controllato verificato e hanno messo una pattuglia fissa e poi trasferito in un'altra località... A quando risale? Non me lo ricordo bene...a quest'estate».
Querela per calunnia
Al di là della replica in aula, la reazione di Luciano Donadio arriva a stretto giro, nel pomeriggio: gli avvocati difensori Renato Alberini e Giovanni Gentilini hanno confezionato una denuncia nei confronti di Arena, accusandolo di calunnia.
Querela che lo stesso Donadio firma e presenta ai carabinieri di Eraclea: «Il sottoscritto, che non ha mai incontrato il nominato Giantin Ivan né lo conosce, si professa vittima del delitto di calunnia. La dichiarazione del collaboratore Arena è tanto grave quanto fumosa, del tutto sguarnita di fondamento (come molte delle dichiarazioni di questo coimputato) e priva di qualsiasi contorno fattuale in grado di essere verificato. È evidente l’intento di danneggiare il sottoscritto nell’ambito di un così delicato passaggio processuale».
Le altre dichiarazioni
In aula bunker è in corso il processo d’appello al “clan dei casalesi di Eraclea”, guidati da Luciano Donadio e Raffele Buonanno. Per la Procura antimafia di Venezia una vera mafia locale collegata alla camorra di Casal di Principe. Così come deciso in Cassazione per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, mentre per il Tribunale di Venezia che ha giudicato Donadio &Co si tratterebbe di un’organizzazione criminale, sì, responsabile di pesanti reati, dall’estorsione alle false fatture, ma non una mafia.
Nella sua testimonianza, il collaboratore di giustizia Arena ha poi raccontato «di aver conosciuto Donadio per un recupero credito... si è presentato come appartenente ai casalesi. Anche io avevo le spalle abbastanza coperte...», dice, «mi sono messo a sua disposizione completa, qualsiasi cosa chiedesse sia dal un punto di vista professionale con la mia società, sia se c'era da pestare qualcuno, da recuperare dei crediti(....) Donadio era lui che comandava tutto e tutti, nessuno faceva un passo senza che lui lo dicesse, insieme a lui c'era Buonanno. (...) Poi lui in base a cosa c'era da fare si organizzava, chi aveva problemi si rivolgeva a lui e lui si organizzava di conseguenza diceva cosa fare e come farla. Donadio era il referente dei casalesi: appena arrivato a San Donà, mi disse che Cesare Bianco gli aveva sottoscritto un foglio in bianco. Diceva che era il referente dei casalesi per il Veneto». E ancora: «Donadio decideva autonomamente su certe cose, su altre si confrontava con Buonanno, imparentato con i Bianco».
Incalzato dalle domande della Pg, Arena risponde: «Per la protezione giustamente gli devi riconoscere il prezzo della protezione. Una percentuale di estorsioni, false fatturazioni, soldi falsi...Facendo un pentolone di tutto, se era 1000, 200 -300 andava alle famiglie giù». Estorsione sui crediti? «Il 50% andava a quello che aveva chiesto l'aiuto, l'altro 50 a chi aveva fatto il recupero, il referente di zona quindi Donadio e le famiglie giù». In aula, le difese ricordano che Arena è stato arrestato ad agosto per violazione delle norme sulla protezione.