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Декабрь
2024

Nozze forzate, i dati della Questura: a Monfalcone due casi in dieci anni

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In 10 anni «i casi di minori costretti o indotti a contrarre matrimonio, anche all’estero, da cittadino italiano o da straniero residenti dell’Isontino», sono stati «due».

E in entrambe le vicende, relative ad adolescenti con dimora a Monfalcone, «le parti offese sono state collocate in strutture protette».

La statistica sulle unioni combinate si azzera, invece, contemplando maggiorenni. Due casi dal 2015, dunque.

Un dato ufficiale, poiché a riferirlo è, su carta intestata della Divisione Polizia anticrimine, 4ª Sezione – Minori e vittime vulnerabili, il questore di Gorizia Luigi Di Ruscio. Chiamato a rispondere a un preciso interrogativo, sollevato il 5 novembre dal consigliere regionale del Patto Enrico Bullian.

Interrogativo posto sulla scia dell’ultima campagna elettorale, dei contenziosi in atto sui centri islamici di Monfalcone e della linea perseguita dalla Lega sul piano locale e nazionale. Che ha spinto Bullian a fare la cosa più logica e semplice per quanto nelle sue facoltà: un accesso agli atti.

E il 2 dicembre Di Ruscio gli ha formalmente risposto (la firma digitale apposta sul documento è, per amor di precisione, del 3 alle 12). Una risposta su tre punti, nei termini già riportati, rivolta al gruppo consiliare del Patto per l’autonomia, che all’ultimo quesito consegna anche i provvedimenti preventivi e di protezione emessi a tutela dei soggetti, appunto il ricovero in strutture dedicate.

Bullian commenta: «Ringrazio la Questura per i dati forniti. I matrimoni forzati sono una violazione grave della dignità e dei diritti della persona, che colpiscono spesso i più vulnerabili, come i minori. I dati evidenziano un numero limitato di casi nell’Isontino, ma è necessario mantenere alta l’attenzione sul tema, a tutela delle libertà individuali. L’identificazione dei responsabili e la protezione delle vittime devono essere una priorità delle istituzioni. Tuttavia non è accettabile subire una continua opera di propaganda da chi riveste incarichi istituzionali di rilievo: Anna Cisint ha un brutto vizio, che appare paradossale per chi ha dimestichezza ragionieristica coi numeri. Non citare dati e fonti da cui attinge per le sue teorie politiche sull’islamizzazione che staremmo subendo a Monfalcone».

La posizione di Bullian

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Bullian cita il precedente delle donne musulmane al lavoro, «non 7-8 bengalesi, ma almeno 11 volte tanto», dato emerso con un altro accesso agli atti.

«Ora – sempre il consigliere regionale – ha più volte citato la questione delle “spose bambine” quasi fosse qui un fenomeno ormai endemico. Fortunatamente, stando alla risposta ufficiale della Questura, non è così: due casi isolati in 10 anni. Ciò non significa che per questi non vadano perseguiti i responsabili e supportate le vittime, ma che stiamo parlando di situazioni puntuali su cui stanno già intervenendo le autorità preposte e non di un fenomeno di massa o ampiamente diffuso».

«Capiamo – rileva – che ciò è utile da far credere per fini di propaganda, ma chiediamo che l’elettorato e i monfalconesi aprano gli occhi: l’ex sindaca non ha chiuso alcuna moschea come lei sostiene, perché non sono mai esistite in città. Parla di mancato rispetto della legalità, ma sulla vertenza dei due centri culturali siamo in attesa del verdetto del Consiglio di Stato e al Tar la parte soccombente è stata la sua: il Comune. M’accusa d’esser succube dell’islamismo, quando tutti sanno che sono laico e credo nel dialogo fra ogni culto».

La posizione di Cisint

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Cisint si dice «allibita». E per lei quanto dichiara il consigliere «è falso poiché non ci sono dati italiani sul fenomeno, dato che i matrimoni combinati vengono contratti all’estero: studi di più». Le unioni contro volontà sono comunque illegali pure in Bangladesh (e l’eurodeputata conviene). Cisint afferma però d’aver parlato negli anni «almeno con 15 ragazze di età scolare, iscritte alle medie, e davanti a testimoni».

Riferisce di situazioni «molto difficili» riportate dalle assistenti sociali, cita il caso di «una ragazza riportata in patria con la scusa di una visita a parenti, vestita a festa e celebrata con un anello, che poi è stata lasciata a casa di un uomo più grande di lei di 25 anni per 12 giorni: dalle mie parti si chiama stupro».

Dice di mettersi a disposizione di chiunque viva situazioni di abusi: «Che ci chiamino e le aiutiamo». «Grave – conclude – minimizzare le sofferenze, pur se comprendo le difficoltà di Bullian, che una volta stimavo: era la sinistra, un tempo, a fare queste battaglie e quelle contro il caporalato, che lui nega. In Afghanistan le donne non possono parlare in pubblico, in Iran vige la Polizia morale e in Bangladesh le unioni sottostanno alla sharia. Alla donna viene perfino dato un prezzo: ma di cosa stiamo parlando?».—

© RIPRODUZIONE RISERVATA




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