Così la Turchia di Erdogan farà valere la vittoria a Damasco
Il crollo del regime trasforma la Siria in un protettorato turco. Il Sultano ora può consolidare i suoi rapporti con Gerusalemme e trasformare il Paese in un hub delle materie prime con l’Europa. Attuando un piano di sviluppo già pronto sui prossimi 30 anni.
A godere economicamente della guerra in Ucraina è stata la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Con un piede saldamente nella Nato è riuscita a diventare il polo delle triangolazioni dell’energia, il mediatore politico con mezzo Oriente e ovviamente con il Paese innominabile: l’Iran. Con la cacciata di Bashar Al Assad e l’arrivo a Damasco degli jihadisti (rivestiti a nuovo) di Hayat Tahrir Al Sham (Hts) e guidati da Abu Mohammed Al Jolani, la Turchia fa un ulteriore salto di qualità. Di potere e controllo di un’area destinata probabilmente a diventare sempre più ampia.
Innanzitutto, Turchia e Iran sembrano allontanarsi separate da una nuova trincea che si è venuta a formare dopo i bombardamenti israeliani. Tanto più che Erdogan sta incassando tutti i dividendi dopo aver investito le sue energie proprio su Hts. Il gruppo ha interagito tatticamente soprattutto con la Turchia, sfruttando le regioni di confine condivise per facilitare accordi reciproci. I convogli militari turchi transitano frequentemente attraverso i territori controllati da Hts a Idlib, una pratica consentita da accordi taciti che garantiscono un passaggio sicuro. In cambio, Hts beneficia delle tariffe di transito, che secondo quanto riferito da fonti di intelligence generano milioni di dollari all’anno. L’espansione del 2024 delle operazioni logistiche turche nella Siria settentrionale ha ulteriormente stretto queste interazioni, con Hts che ha cominciato a utilizzare i ricavi per finanziare progetti infrastrutturali e consolidare il suo apparato di governance. Mettendo in atto un progetto di pulizia di immagine che mira a conquistare i cuori dell’Europa e l’ok delle cancellerie per farsi togliere dalla lista nera dei gruppi terroristici. In questo processo di make up Erdogan ha sicuramente avuto un ruolo importante. «La Turchia ha difeso fino all’ultimo l’integrità territoriale della Siria e ora chiede alla comunità internazionale di lavorare per una transizione che porti il Paese alla pace e alla serenità», ha detto ieri Erdogan al termine del Consiglio dei ministri. «Abbiamo sempre denunciato la violenza e ora l’unica cosa che conta è il sostegno a una transizione pacifica, che faccia prevalere il dialogo sull’odio», ha concluso con fare papale.
D’altronde qualunque sia la forma di governo che attende Damasco la linea telefonica con Ankara sarà diretta. Erdogan approfitterà del nuovo protettorato per consolidare di nuovo i rapporti con Israele e per cercare di eliminare le resistenze dei curdi con un obiettivo geografici preciso. La Turchia mira a diventare un Paese in grado di proiettarsi non solo nel Mediterraneo ma anche in profondità nell’autostrada caucasica che porta agli ex Paesi sovietici dell’Uzbekistan, Kazakhstan fino all’Azerbaigian. È chiaro che noi europei siamo abituati a ragionare nel breve termine. E questo livello di strategia ci sembra fantapolitica. Per la Turchia i criteri temporali sono diversi. Il 31 dicembre 2023 l’Assemblea nazionale della Turchia ha approvato il dodicesimo piano di sviluppo nazionale. Sono 263 pagine divise in due macro capitoli. Il primo si occupa di previsioni fino al 2028. Il secondo fino al 2053. Significa che Erdogan ha scritto un migliaio di punti programmatici per una Turchia più potente. Ora, visto quanto ha fatto negli ultimi dieci anni, c’è da pensare che i turchi facciano sul serio. Hanno già calcolato quanti impiegati dovranno esserci nel settore difesa, in quello dello sport, della salute. Quali tecnologie desiderano sviluppare e su quali infrastrutture è meglio puntare. Uno dei paragrafi è dedicato alle materie prime. Ankara già dal 2026 punterà a diventare l’hub delle materie prime sensibili, dal litio al tungsteno. L’obiettivo è applicare nuove tecnologie di tracciabilità, acquisire all’estero miniere e poi rivendere a chi non ha la capacità di approvvigionarsi da solo. Cioè l’Europa.
Nel documento non si cita espressamente il nome delle nazioni dove Ankara vorrebbe investire in miniere o stringere accordi. ma è chiaro che si tratta dei Paesi ex sovietici e per arrivare a quell’obiettivo il controllo della Siria è un passaggio imprescindibile.
Come è imprescindibile per la Turchia trovare un accordo militare con la Russia. Con l’ok di Israele che intanto ha avviato il controllo delle alture del Golan come nel 1973, Erdogan sta mediando con Vladimir Putin. L’obiettivo dei russi è mantenere un piede nel Mediterraneo. La base di Tartus insomma deve essere difesa anche dai turchi in modo da consentire alla flotta russa di muoversi dentro e fuori dal Mar Nero. Non si può non notare però il ridimensionamento di Mosca che a sua volta si prepara a trattare con gli Usa di Donald Trump per mantenere la maggior parte dei territori conquistati in Ucraina. Quando si parla di causa effetto il Medio Oriente è proprio un caso di letteratura. Si toglie un peso e si fa leva immediatamente. La Turchia ha dimostrato di muovere le leve benissimo e di essere pronta a diventare un impero.
Nota positiva, con il governo Meloni il dialogo con Ankara è ripreso e questo pericoloso cambio di scenario sembra destinato a infittirlo.