Dieci Dicembre: iniziative in tutta Italia per la giornata dei diritti umani
Dieci Dicembre; Iniziative in tutta Italia per la Giornata dei Diritti Umani: ridurre le spese militari e costruire ora una vera Pace.
I pacifisti non si arrendono, ma rilanciano, alla grande, la loro “battaglia” di civiltà.
A darne conto, con la consueta e meritoria puntualità, è Rete italiana pace e disarmo (Ripd).
“Una partecipata e gioiosa celebrazione della Pace e un chiaro rifiuto della guerra è quanto si concretizza oggi in tutta Italia, nella Giornata Internazionale dei Diritti Umani scelta dalla società civile come ulteriore tappa di mobilitazione per la Pace. L’iniziativa diffusa giunge al culmine di quasi tre anni di mobilitazione continua con Manifestazioni e Giornate nazionali di azione, e dopo il momento collettivo del 26 ottobre scorso (con oltre 80.000 persone coinvolte in 7 piazze arcobaleno).
Già nei giorni scorsi è iniziata da Nord a Sud la serie di eventi che – con varie modalità e focalizzandosi su diverse tematiche – ripropone all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica la necessità di cambiare rotta: perché il tempo della Pace è ora! Ormai è chiaro: non sarà certo con riarmo e scelte di violenza che si potranno ridurre le guerre.
Da Milano a Napoli, da Padova a Firenze, da Brescia a Verona… sono tanti e significativi i momenti organizzati dalle aderenti di Rete Pace Disarmo e delle altre reti promotrici di questa giornata (Sbilanciamoci, Europe for Peace, Assisi Pace Giusta, Fondazione PerugiAssisi).
Il cuore della iniziativa è ancora una volta la costruzione di percorsi di Pace a partire dal riconoscimento e dalla protezione, con scelte politiche concrete, dei Diritti Umani. Cessate il fuoco. Aiuti. Diritto internazionale. Fine dei “doppi standard”. E Nazioni Unite di nuovo in grado di arbitrare e ricostruire la giustizia, indispensabile per la sicurezza. da qui parte un forte «appello per mobilitare il Paese a difesa dell’Articolo 11 della nostra Costituzione contro la politica, la cultura, l’economia di guerra. Scelte che invece sia il governo italiano che l’Unione Europea (ed altri Stati Membri) hanno intrapreso e stanno imponendo, facendoci scivolare progressivamente verso il baratro di una guerra globale». Perché «vogliamo rendere evidente l’alternativa di Pace che tante persone invece chiedono: contro la loro complicità, inazione e ignavia nei confronti dei conflitti, dei massacri, degli stermini, dei genocidi, delle violazioni del diritto internazionale e umanitario».
Il tempo della pace è ora. Non possiamo più rinviare, non siamo più disponibili ad accettare violazioni eclatanti del diritto internazionale che fanno aumentare ogni giorno il pericolo di un confronto armato generalizzato, anche nucleare.
Per tali motivi tra i momenti più significativi di questo 10 dicembre 2024 va evidenziato il presidio a Roma della campagna “Ferma il riarmo” he ha deciso di attivarsi per una iniziativa diretta nei confronti del Parlamento in procinto di votare una Legge di Bilancio con una spesa militare complessiva per il 2025 in forte aumento a 32 miliardi di euro (ben 13 miliardi per nuove armi!). Una decisione insensata che alimenta scelte di guerra mentre tutti noi abbiamo bisogno di politiche di pace e solidarietà, e dobbiamo mobilitarci per questo.
Importante anche l’appuntamento a Bari, in cui verrà illustrata l’adesione del capoluogo pugliese all’Appello delle città Ican per il Disarmo Nucleare e il sostegno al Trattato Tpnw. Sono ormai oltre 100 i Comuni italiani ad aver approvato un documento di sostegno alla mobilitazione “Italia, ripensaci contro le armi nucleari ed è significativo che una città importante come Bari illustri la propria scelta nel giorno della Cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace all’organizzazione di sopravvissuti giapponesi (gli hibakusha) Nihon Hidankyo. Proprio per i loro sforzi di decenni nel tentativo di mettere le armi nucleari fuori dalla storia”.
Il Parlamento ascolti bene
“Si è svolto oggi pomeriggio a Roma, in piazza Capranica, il presidio promosso dalla Campagna “Ferma il riarmo per esplicitare la contrarietà della maggior parte degli italiani e delle italiane al continuo e pericoloso aumento delle spese militari.
L’evento organizzato a Roma dalle organizzazioni che promuovono la campagna “Ferma il riarmo” (Fondazione PerugiAssisi, Greenpeace Italia, Rete Italiana Pace Disarmo, Campagna Sbilanciamoci!) è stato il perno di questa giornata di mobilitazione collettiva, come convergenza simbolica di una richiesta chiara nei confronti del Parlamento: rigettare una Legge di bilancio che vedrà un ulteriore, importante aumento delle spese militari.
I dati dimostrano che negli ultimi dieci anni tale spesa è aumentata del 132%, mentre gli investimenti per la sanità, l’educazione e la protezione ambientale sono rimasti quasi invariati, lasciando indietro sempre più persone. Tutto questo mentre nel mondo crescono vittime e rifugiati a causa di conflitti, e la crisi ambientale peggiora drasticamente. Anche per il 2025 il Governo italiano vuole aumentare del 12% le spese militari e ha già confermato 40 miliardi di euro per l’acquisto di nuovi sistemi d’arma nei prossimi anni.
La campagna “Ferma il riarmo” ritiene dunque che sia venuto il momento di rilanciare una mobilitazione collettiva forte contro le spese militari, perché il loro aumento (sia in termini quantitativi che qualitativi) è una minaccia per il futuro di tutti oltre a costituire un “gap democratico” rispetto al volere della maggioranza dell’opinione pubblica. Un recente sondaggio promosso da Greenpeace Italia – confermato anche dagli ultimi dati del Censis – ribadisce per l’ennesima volta che la maggioranza di cittadine e cittadini italiani si oppone all’impiego di risorse verso ambiti militari e vorrebbe invece un aumento degli investimenti a favore delle priorità sociali e ambientali del Paese. È ciò che propone la Controfinanziaria di Sbilanciamoci recentemente presentata, con focus particolare proprio sugli investimenti per la difesa) e la campagna “Ferma il riarmo”, che continuerà a mobilitarsi nei prossimi mesi per ribadire che bisogna smettere di investire nelle armi e aumentare i fondi per sanità, lavoro, ambiente, sostegno alle persone.
Lo abbiamo detto oggi a Roma, lo continueremo a dire domani raccogliendo il sostegno di moltissime organizzazioni, associazioni, sindacati, gruppi territoriali che sostengono le nostre proposte”. Così una nota di Ripd.
Ferma il riarmo. Si può. Si deve.
Sempre da Ripd: “Come facciamo a difendere il nostro diritto alla salute, a salvare il nostro sistema sanitario, ad affrontare le emergenze climatiche e i disastri ambientali, a investire sui giovani, sulla scuola e sul diritto ad un lavoro dignitoso, a contrastare la povertà e le disuguaglianze sociali che stanno esplodendo, a sviluppare la solidarietà e la cooperazione internazionale se non riduciamo le spese militari?
La risposta è evidente. Eppure, alcune lobby politico-mediatiche, militari e industriali vorrebbero continuare ad aumentare le spese per le armi e gli eserciti, togliendo altre preziose risorse alla cura dei nostri bisogni vitali. Una autentica follia! Mentre le sanguinose guerre in corso e la totale assenza di politiche di pace ci stanno impoverendo a vista d’occhio, mentre si sta distruggendo il tessuto produttivo italiano ed europeo aumentando la disoccupazione, il lavoro povero, precario e sfruttato, i signori della guerra e i mercanti d’armi vogliono alimentare la più pericolosa corsa al riarmo della storia.
È tempo di intervenire, tutte e tutti, sulla politica, sui media, sulla nostra stessa società, per stimolare una riflessione su queste nostre proposte di alternativa alle spese militari, e su cosa davvero sia necessario per ridurre l’insicurezza armata globale e ridare fiducia nel futuro, in particolare alle nuove generazioni.
Riduzione nazionale ed internazionale della spesa militare, con creazione di nuovi percorsi di disarmo
L’umanità si trova a un bivio in cui le decisioni politiche sui bilanci della difesa determineranno la traiettoria delle molteplici crisi in cui siamo immersi. Disgraziatamente, in questo momento, i Governi stanno scegliendo di aumentare drasticamente i fondi armati (l’aumento del 6,8 percento nel 2023 è stato il maggiore su base annua dal 2009, spingendo il totale al livello più alto mai registrato dal SIPRI) e, di conseguenza, anche il pericolo di una guerra globale. La strada da seguire è un’altra: chiediamo che il governo italiano, l’UE e tutti gli Stati riducano i propri bilanci armati. Il raggiungimento del 2% del PIL in spesa militare è un feticcio (senza nemmeno motivazioni militari) utile solo a far crescere i guadagni del complesso militare-industriale-finanziario (non a caso si chiede che un quarto di tali fondi sia usato per comprare nuove armi). L’aumento di risorse per le aziende militari a livello UE non porterà ad una difesa comune (che è una scelta politica), a vantaggi economici ed industriali (il passato lo dimostra) o a maggiore sicurezza: il raddoppio della spesa militare globale dall’inizio del Millennio è coinciso con un drastico aumento delle guerre e delle vittime civili.
Con una prospettiva radicalmente opposta noi chiediamo – insieme a tutte le campagne globali su questo tema, di cui siamo parte – sforzi reali per il disarmo globale e la riduzione del commercio di armi. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite deve convocare una quarta sessione speciale sul disarmo (l’ultima è stata realizzata oltre 35 anni fa): tutti gli Stati hanno trascurato la responsabilità e il dovere di perseguire il disarmo nel quadro delle Nazioni Unite.
Utilizzo delle risorse liberate dalla spesa militare per spese sociali, ambientali e per il rafforzamento degli strumenti di pace
In questi anni sono aumentate la povertà e le diseguaglianze. Il servizio sanitario nazionale è stato definanziato e 4 milioni di italiani rinunciano all’assistenza sanitaria perché non in grado di pagarsi le cure. La lotta al cambiamento climatico segna il passo mentre il Paese è sconvolto – contemporaneamente – da alluvioni e siccità. Il sistema dell’istruzione è in grave crisi, sia per quanto riguarda le strutture e le infrastrutture scolastiche sia per le condizioni sempre meno incentivanti del lavoro del personale, docente e non docente. Di fronte a questa situazione utilizzare una parte dei risparmi delle spese militari per dare risposta ai veri bisogni del Paese è una priorità sempre più impellente. Con il taglio del 20% delle spese militari potremmo mettere in sicurezza 700 scuole, tagliare del 30% le liste d’attesa per le visite mediche, finanziare interventi per la lotta al cambiamento climatico e la riduzione della povertà energetica, e sostenere gli impegni presi in sede internazionale per aumentare i fondi per la cooperazione allo sviluppo. Potremmo raddoppiare i fondi per la non autosufficienza, garantire un’accoglienza dignitosa e l’integrazione a 40mila migranti, ripristinare i fondi tagliati alle università solo qualche mese fa. Investire sui diritti delle persone significa investire sulla pace, sulla solidarietà, sulla coesione sociale, su un’economia di pace e non su un’economia di guerra. Non bisogna portare le spese militari al 2% del PIL – come vuole la NATO- ma portare all’8% del PIL le spese per la sanità, al 5% quelle per l’istruzione, al 5% quelle per l’ambiente.
Tassare gli extra profitti dell’industria militare
Il forte aumento delle spese militari ha portato profitti record all’industria bellica. Nel 2023, le prime 10 aziende italiane esportatrici di armi hanno incassato utili netti per oltre 1 miliardo di euro, con un aumento del 45% rispetto all’anno precedente l’invasione dell’Ucraina. Un incremento che si aggiunge a quello registrato nel 2022: +68. In due anni di escalation bellica, il settore ha accumulato 830 milioni di euro di “maggiori profitti”, con un trend che va ben oltre l’ordinario funzionamento del mercato. Tutto questo nonostante la spesa pubblica per le armi abbia un impatto economico e occupazionale più basso rispetto a un pari investimento in settori come la sanità, l’educazione e la protezione ambientale. Per restituire alla collettività parte dei finanziamenti pubblici dirottati sulle armi, chiediamo che il governo istituisca una tassa sugli extra profitti del settore. Perché nessuno possa beneficiare, anche solo indirettamente, delle stragi di civili.
Diminuire i fondi destinati alle missioni militari all’estero
Dal Mar Rosso al Golfo di Guinea, l’Italia è sempre più impegnata in missioni militari a protezione delle rotte e degli interessi del gas e del petrolio. Quest’anno, il governo spenderà circa 840 milioni di euro (pari al 60 per cento del budget per le missioni militari italiane) in nome della “sicurezza energetica”. Una militarizzazione delle fonti fossili e delle aree di crisi che aggrava l’emergenza climatica e aumenta il rischio di escalation. Chiediamo di ridurre i fondi per le missioni militari, tagliando in particolare le operazioni a tutela degli interessi fossili e quelle che non hanno una effettiva finalità di peacekeeping.
Aumentare controlli su influenza indebita dell’industria militare su bilancio ed export militare
I settori della difesa e della sicurezza sono un terreno fertile per influenze illecite. Con budget enormi e stretti legami con la politica, accompagnati da alti livelli di segretezza e complessità, questi settori risultano essere particolarmente permeabili alla corruzione, ma nonostante gli evidenti fattori di rischio le normative di controllo risultano essere inadeguate.
Occorre dunque definire un processo chiaro e regolare di pubblicazione e revisione di una strategia di difesa nazionale con la partecipazione di tutti i soggetti interessati (compresa la società civile). Inoltre, serve regolamentare le attività di lobby, ampliare l’ambito di applicazione delle norme che disciplinano il cosiddetto fenomeno delle “porte girevoli” (così prevenendo i conflitti di interesse e riducendo le possibilità di influenze illecite), aumentare, e non rendere più opaca come sta invece facendo il Governo cercando di cambiare la Legge 18/90, la trasparenza sul processo di autorizzazione dell’export militare”.
Denuncia e proposta. Per un mondo più sicuro e giusto. Un mondo disarmato. Un mondo arcobaleno.
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