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La buona politica di Tina Anselmi: dopo 40 anni una lezione ancora valida

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Era il 12 luglio di 40 anni fa quando, in un’aula di Montecitorio semideserta, la relazione finale di maggioranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 veniva illustrata al Parlamento e agli italiani. Due giorni dopo il “boss dei due mondi” Tommaso Buscetta volerà dal Brasile all’Italia per svelare a Giovanni Falcone i segreti della mafia: dalle sue dichiarazioni scaturiranno 366 mandati di cattura e prenderà il via il maxiprocesso a Cosa Nostra. A settembre sarà inoltre estradata, questa volta dagli Usa, un’altra vecchia conoscenza della magistratura italiana: il bancarottiere piduista Michele Sindona, mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli.

Un anno terrificante quel 1984, che si concluderà nel peggiore dei modi il 23 dicembre con la “strage di Natale” sul treno Rapido 904 organizzata dal boss palermitano Pippo Calò e dai suoi complici campani e romani. L’esordio di un terrorismo “non solo mafioso” che collega la stagione del terrorismo nero con le bombe del 1992 e del 1993, anch’esse caratterizzate da un intreccio operativo di elementi mafiosi (spesso iscritti a logge massoniche), esponenti della destra eversiva e servizi segreti infedeli. Salvo poi scoprire in anni successivi che tra i protagonisti ricorrenti in molte di queste vicende c’è un assassino fascista originario di Reggio Emilia: si chiama Paolo Bellini e ha avuto tra i suoi protettori politici anche alcuni parlamentari del Msi.

Oggi, a pochi giorni dal 2025, ci troviamo a vivere in un Paese sempre più simile a quello progettato nel Piano di rinascita democratica, il programma politico della P2 vergato negli anni Settanta dai vertici della loggia massonica guidata da Licio Gelli (e parzialmente smascherata nel 1981). Un paese dove “la cosa privata la si compra e la cosa pubblica la si occupa”. Se i partiti italiani, da allora, non avessero fatto l’esatto contrario di quanto raccomandato da Tina Anselmi – isolata e a lungo dimenticata, in primis dalla sua Democrazia Cristiana – oggi proveremmo orgoglio anziché nostalgia per le parole che l’ex staffetta partigiana di Castelfranco Veneto, scomparsa nel 2016, pronunciò in Parlamento a metà degli anni Ottanta. A questo link, per esempio, è possibile ascoltare dalla sua viva voce l’intervento del 9 gennaio 1986 alla Camera dei Deputati di cui, qui di seguito, riporto un passaggio estratto dalla incisiva parte conclusiva.

Che la loggia P2 abbia cercato ed ottenuto connivenze e complicità nel mondo politico, questa è realtà di tale evidenza che semmai sarebbe da stupirsi del contrario. (…) L’indubbio trasformismo del personaggio [Licio Gelli] e soprattutto della realtà che in lui si incarna io credo costituisca il maggior pericolo di questo fenomeno. Perché è appunto la sua presenza, reale o comunque attendibile, negli ambienti più diversi che sta alla base della tecnica di potere di un’organizzazione occulta delle ambizioni e del peso della loggia P2. Una tecnica che eleva a suo cardine l’arma squallida del ricatto. Ricatto, onorevoli colleghi, che naturalmente tanto più è esteso e generalizzato, tanto più è funzionale; e, soprattutto, tanto più si garantisce.

Ma allora, di fronte a questa realtà, non è logico chiedersi se chi sta un po’ con tutti in fondo non sta con nessuno? Non è lecito ritenere che chi sta o potrebbe stare al di dentro di tante parti, in realtà sta al di fuori di tutte ed a nessuna di esse è intrinseco? E che chi è in grado di assumere tante connotazioni, con nessuna veramente si identifica? Questa, onorevoli colleghi, non è una conclusione di comodo, per tagliare il nodo gordiano delle responsabilità politiche. Essa costituisce al contrario un’amara verità che chiede di superare schemi consolidati e scontati di ragionamento. Ma è anche la scelta che consente di spezzare la spirale dell’inquinamento. Prova ne sono, consentitemi di dire, i memoriali che Gelli si affanna ad inviare dalla uscita della prerelazione sino ad oggi. È sulla scorta di questa linea di ragionamento e sul riscontro di questa complessa realtà che la Commissione è pervenuta a definire l’intreccio di relazioni intessute con il potere politico come un rapporto contrassegnato dalle connotazioni della subalternità e della strumentalizzazione. (…)

Noi tutti che sediamo in questo emiciclo poniamo a premessa indeclinabile del nostro impegno la pubblica dichiarazione del nostro credo politico, sulla base del quale cerchiamo il consenso e il voto degli elettori. Questo è il sistema democratico che in quarant’anni abbiamo voluto e abbiamo costruito con il nostro impegno quotidiano. In questo sistema non vi è e non vi può essere posto per nicchie nascoste o burattinai di sorta, perché il sistema che ci siamo dati – e nel quale i cittadini hanno vissuto con grande tolleranza verso ogni forma di opinioni e di costumi – è tale che in questo Paese chi ha idee da affermare o interessi da difendere è libero di farlo. E se qualcuno si nasconde è di certo perché ha qualcosa da nascondere. Questi sono i valori che la Commissione che ho avuto l’onore di presiedere ha indicato come trasparenza della democrazia, individuando in essi un bene da tutelare e da proteggere al massimo grado. Io non credo, onorevoli colleghi, che la difesa di questi valori possa essere appannaggio di una sola forza politica perché essa non può non essere interesse primario di tutti i partiti democratici.

Qui, infine, trovate il testo integrale della “relazione Anselmi”. Uno dei documenti essenziali per comprendere la logica del potere nell’Italia di ieri e di oggi.

L'articolo La buona politica di Tina Anselmi: dopo 40 anni una lezione ancora valida proviene da Il Fatto Quotidiano.




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