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L’arcobaleno di Ornella Vanoni: la versione remix creata in Friuli

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Il remix di un brano di Ornella Vanoni è solo il più recente dei successi collezionati da Mattia Del Moro (in arte Delmoro per la parte cantautorale e Demur come dj e produttore). Nato a Tolmezzo nel 1985, laureato in architettura a Venezia, ha vissuto a Lisbona, Copenaghen, Londra e da cinque anni è a Milano, dove si dedica alla musica a tempo pieno. Il suo viaggio musicale l’ha portato dall’esordio da cantautore folk con Brown and the Leaves (l’album di debutto nel 2009) alla svolta pop dance, con l’ep “Balìa” e l’album “Rendez-Vous” usciti per la Carosello Records, la hit “Filippiche” in rotazione su Radio Deejay, collaborazioni come quella con Johnson Righeira. Su Instagram e TikTok delmoro_dumar, pubblica dei video in cui analizza retroscena e meccanismi della musica; conduce un programma su Radio Raheem e fa ballare con il suo format “Ritmo! Ritmo!”.

Del Moro, come è arrivato a remixare “Arcobaleno” per il nuovo album di Ornella Vanoni?

«Al mio collaboratore Stefano Protopapa, dj, direttore creativo e attivista, è giunta la richiesta di sviluppare un remix - ma io lo chiamo rework, perché è una riformulazione totale del brano, di cui riceviamo solo la voce dell’originale - di un pezzo da inserire nella raccolta di successi della Vanoni “Diverse” che ha coinvolto giovani produttori».

L’incontro con la Vanoni?

«Eravamo davvero gasati di lavorare con la sua voce ed è stato un onore conoscerla. È una forza della natura, sorprendente, ancora adesso che ha compiuto novant’anni. Riesce ad essere un tutt’uno con la realtà in cui si muove. Ha sempre la battuta pronta, il savoir-faire di una diva vera. Pensare a tutto quello che ha potuto vedere e vivere, mi ha emozionato».

Per lei partito dall’inglese, l’italiano quando arriva?

«È stato un processo ampio e graduale. Da ragazzo ero esterofilo, amavo Nick Drake, poi l’elettronica. Solo andando via dall’Italia è esploso l’amore per la musica italiana, Lucio Dalla è stato una folgorazione. Poi Battiato, Battisti e tutto il mondo un po’ sbilenco, ma unico e genuino, della disco italiana».

Il periodo della pandemia ha fatto un po’ da spartiacque?

«Sì, in quel momento di stop ho messo a fuoco quello che volevo veramente fare: concentrarmi sul lato produzioni e autore, scrivendo anche per altri. Amo la tecnica dietro l’arte, questo mi ha aperto a tante collaborazioni».

Sente le sue radici carniche?

«Oggi amo più l’aspetto naturalistico della Carnia. È un luogo complicato. Provo rammarico per il mancato sviluppo culturale: quando ero ragazzo abbiamo beneficiato di un clima migliore, c’erano una quindicina di band ognuna nel suo binario».

Ha girato a Lignano il videoclip di “Aria”.

«Un posto a cui sono molto legato, ci ho passato l’infanzia. Ha dei gioielli architettonici pazzeschi che ho voluto valorizzare come Villa Mainardis dell’architetto D’Olivo. Il video ha suscitato interesse extramusicale».

In questi anni ha suonato in regione al No Borders, a Blessound… Date in arrivo?

«Spero di tornare in Friuli con il mio progetto Ritmo! Ritmo! che porto il 14 dicembre al DumBO di Bologna».




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