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Al Trieste Film Festival la Serbia esplora il rimosso degli anni ’90

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TRIESTE Una telefonata che irrompe in quello che pareva un venerdì qualsiasi, ore 10.36 del mattino, anno 1992, e che invece cambierà radicalmente l’esistenza della giovanissima protagonista che alzerà la cornetta. «È accaduto in un Paese che non esiste più se non nei libri, nei film o nei ricordi di chi è nato prima del 1995», mette in guardia la voce off nell’incipit: nella mente dell’undicenne che risponde, quella chiamata, la prima di una lunga serie, cancellerà l’intero suo Paese, la sua storia, la sua identità. Temi cardine del Trieste Film Festival sin dalle origini, e che da quattro anni si declinano specificamente al femminile nella sezione Wild Roses. Dopo aver rivolto lo sguardo verso la Polonia, la Georgia, l’Ucraina e la Germania, la nuova edizione – dal 16 al 24 gennaio 2025 – del festival triestino leader nello scandagliare le cinematografie dell’Europa centro orientale punterà sulla Serbia e sulle sue registe. A iniziare da Iva Radivojević e dal suo “When the phone rang (Kada je zazvonio telefon)” , menzione speciale all’ultimo Festival di Locarno come una delle opere che meglio interpretano la questione identitaria: quell’undicenne, infatti, è lei che, dopo la telefonata che annuncia la guerra in Jugoslavia, sarà costretta ad emigrare con la famiglia. È lo «strazio dello sradicamento», come lo chiama la regista e sceneggiatrice, tradotto in un film molto personale, che arriva vivido e potente.

Saranno undici le opere selezionate, tra film, documentari e cortometraggi. Undici film per undici autrici, alcune già affermate, come appunto Radivojević, grazie alle loro partecipazioni a festival internazionali, altre che attendono di poter stupire il pubblico coi nuovi lavori. Come nel caso di Emilija Gašić e del suo premiato esordio “78 days (78 dana)” , presentato in anteprima mondiale a Rotterdam: anche qui ritroviamo ricordi d’infanzia, stavolta sotto forma di diario visivo di tre sorelle che filmano le loro giornate, tra primi baci e prime delusioni. Ma si tratta un diario molto particolare, tenuto com’è durante la primavera del 1999 in Serbia, sotto le bombe della campagna Nato.

Il radar di Wild Roses, comunque, scandaglia sempre ad ampio raggio, portando uno spettro di voci e ottiche il più possibile diverse ed eterogenee. Per la prima volta a curare la sezione è il regista Stefan Ivančić, produttore e selezionatore del Festival di Locarno; il focus sarà inoltre realizzato con il contributo del Film Center Serbia.

Vedremo storie personali, racconti intimi capaci di essere politici e documenti di un mondo in continuo cambiamento. Storie da cui emerge, però, un minimo comune denominatore. «Il cinema delle autrici serbe – sottolinea Nicoletta Romeo, direttrice artistica del festival – torna a raccontare gli anni Novanta: sia coloro che ancora abitano in Serbia sia le registe delle diaspora cercano di fare i conti definitivamente con quel periodo, rievocando alcuni eventi cruciali dell’epoca per interpretare il presente e i traumi collettivi di un Paese».

Le anticipazioni non finiscono qui: il Trieste Film Festival intercetta ancora uno sguardo femminile per la forza con cui interpreta un territorio: è quello della fotografa Monika Bulaj, autrice del manifesto dell’edizione. «Ci siamo subito innamorati – fanno sapere dal festival – dell’immagine di Monika Bulaj per la sua capacità di coniugare modernità e tradizione: uno scatto sul Caucaso di pietra e senza più alberi, una sorta di Tempi moderni a oltre 2000 metri di altezza». —




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