I giornalisti minacciati incontrano gli studenti: “Non solo violenze verbali e fisiche, per zittire ora i boss usano anche le querele temerarie”
A Quarto, in provincia di Napoli, i giornalisti campani sotto scorta o vittime di minacce hanno incontrato alcuni studenti all’interno del bene confiscato ‘Casa Mehari’. L’incontro rientra nelle iniziative promosse dal Comune all’interno dell’ex villa di un boss del clan Polverino intitolata all’auto su cui fu ucciso il cronista de ‘Il Mattino’ Giancarlo Siani nel 1985. “È fondamentale – ha spiegato il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania Ottavio Lucarelli – raccontare soprattutto ai più giovani il valore della verità e i sacrifici di chi si è trovato sotto scorta solo per aver fatto il proprio lavoro ed è ancora più importante farlo in un bene confiscato alla camorra finalmente restituito alla collettività”.
Dal palco diversi cronisti hanno raccontato la propria vicenda personale. Da Rosaria Capacchione, sotto scorta dal 2008 per aver scritto degli affari del Clan dei Casalesi a Vincenzo Iurillo de ‘Il Fatto Quotidiano’, che da mesi vive sotto vigilanza in seguito ad un tentativo di aggressione. “La nostra è una professione sotto attacco – spiega Iurillo – solo nella provincia di Napoli ci sono una ventina di colleghi sottoposti a qualche misura di tutela. Un dato che dovrebbe far riflettere ma che invece passa nella totale indifferenza”. Un’indifferenza che spesso lascia soli i giornalisti.
“Chi fa questo mestiere sul territorio è particolarmente esposto – dice Mimmo Rubio, freelance sotto scorta dal 2020 – spesso ci troviamo a raccontare delle persone che poi incontriamo per strada, al bar. Siamo costantemente sorvegliati, io non faccio in tempo a scendere di casa che già trovo le sentinelle del clan che spesso usano i anche social network per minacce nemmeno troppo velate”.
Ma le aggressioni fisiche e verbali non sono l’unico modo per zittire i giornalisti. “Ci sono vari tipi di violenza – spiega il giornalista e deputato AVS Francesco Emilio Borrelli – c’è ormai una pratica diffusa, quella della querela temeraria che ha il solo obiettivo di scoraggiare o fermare chi si sta occupando di un determinato argomento. Ci sono stuoli di avvocati al soldo dei criminali – prosegue Borrelli – che hanno costruito un sistema che ha il solo obiettivo di rallentare o fermare l’attività di un cronista perché spesso questi processi durano anni e costano parecchi soldi”. Storie come quella del Direttore di ‘Terra Nostra News’ di Arzano (Na) Fernando Bocchetti che ha collezionato 50 querele in 8 anni. “Io ormai temo più le querele che le aggressioni – racconta Bocchetti – queste 50 denunce si sono trasformate in 30 processi tutti conclusi con l’assoluzione. L’ultima citazione in giudizio – prosegue – l’ho portata qui oggi come prova, l’ho ricevuta proprio nella serata di ieri. Sono stato denunciato dal figlio di un boss perché 8 anni fa il papà mi sfasciò la macchina e sono finito io a processo perché lo avrei insultato”.
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