“Si può fare buon cinema e buona cultura anche quando le risorse sono poche”: ad Atreju usa parole chiare il ministro della Cultura Alessandro Giuli, a dispetto del personaggio che gli è stato costruito addosso del retore critptico.
Lo fa nel corso del suo intervento al panel ‘Per un nuovo immaginario italiano, la via italiana per la rinascita del settore cinematografico’ che ha riunito una serie di addetti ai lavori, tra cui l’Ad della Rai Giampaolo Rossi e i registi Fausto Brizzi e Federico Moccia. Nel rispondere alle critiche che sono piovute sul nuovo sistema per erogare risorse al cinema Giuli sottolinea che “la destra è sicurezza e legalità, è ordine anche nei conti pubblici ed è meritocrazia. Quindi dopo anni di disordine in cui si mescolava un cinema stellare a posizioni di rendita – prosegue – il governo di destra e centro si è incaricato di mettere ordine, dicendo ‘noi partecipiamo al rischio di impresa ma con ordine, creando selezioni e norme rigorose'”. Un discorso questo che “riguarda il tax credit e tutto il complesso” precisa.
Giuli ad Atreju: serve dare un segno identitario anche sulle fiction
Del resto, precisa Giuli, “è evidente che c’è bisogno di dare anche un segno identitario: vi siete mai chiesti perché non c’è mai stata una fiction su Fabrizio Quattrocchi?“, è il quesito che il ministro rivolge alla platea, ricordando che con ogni probabilità ce ne sarà una presto su Nicola Calipari. Perché è giusto incoraggiare “a patto che sia rappresentata una realtà plurale, è un diritto? È un dovere per chi amministra la cultura” afferma Giuli per il quale “dovrebbe esistere un tax credit più incoraggiante per opere che hanno meno disponibilità come quelle dei giovani”. Insomma “bisogna saper spendere bene”.
Inoltre in tema di creazione di un immaginario “questo significa creare sfere di autoriconoscimento, non il film iraniano con la cinepresa fissa sull’erba che cresce. Occorre riattivare le nostre radici, attingere a quelle profonde e rappresentarle. Occuparsi di cosa? Rappresentare le periferie, rappresentare gli immigrati di prima e seconda generazione, raccontare la guerra e i conflitti sociali. Bisogna essere meno ombelicali, accorciare le distanze tra centro e periferia che è la verità” spiega Giuli che mette in guardia dal politicamente corretto declinato nella cultura woke. “Oggi alcune cose non rientrano nei codici della nostra società, di cultura woke si muore perché quello che produce non è la censura, è l’autocensura. Alla fine morirà per autofagia, a forza di negare negherà se stessa: allora saremo più liberi e potremo rappresentare la nostra società senza paura” conclude tra gli applausi della platea di Atreju. Più chiaro di così…
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