Il libro. Il barone Evola dove non l’avete mai visto (e letto): viaggio al termine dei locali notturni
1974-2024: sono trascorsi cinquant’anni dalla morte di Julius Evola, autore che rimane tra i più frequentati dai lettori di destra. In questo cinquantenario si sono pubblicati e presentati diversi libri, fatte conferenze, scritti articoli commemorativi, e senz’altro il più significativo evento editoriale è stato la pubblicazione, per le Edizioni Bietti, della prima vera biografia del filosofo ed esoterista, ma anche artista, romano: Vita avventurosa di Julius Evola di Andrea Scarabelli. Ora, sempre a Scarabelli, ma in coppia con Adriano Scianca, da cui è nata l’idea, si deve quella che è la più originale e meno scontata delle antologie di scritti evoliani uscite negli ultimi anni: Notturno europeo. Serate sull’orlo della catastrofe (Altaforte Edizioni, pp. 158, € 16,00).
Il titolo potrebbe fare pensare a un “notturno” esoterico, ma in questa antologia la cultura esoterica di Evola fa capolino assai raramente (nella visita al castello “infestato” di Campo Tures, in Tirolo, ad esempio), poiché nei diciassette testi in essa raccolti il “Barone” racconta soprattutto i suoi viaggi in varie capitali europee, con prevalente attenzione verso i locali notturni, dove l’autore di Rivolta contro il mondo moderno si mostra perfettamente a suo agio, parlandone da autentico connaisseur. L’Evola che qui incontriamo infatti assomiglia, più che a quello che nel 1941 viene ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia per vedersi consacrato il suo “razzismo spirituale”, a quello che nei rapporti della polizia politica fascista così viene ritratto: “Assiduo frequentatore di tabarins e di ritrovi notturni l’Evola si è fatto spesso notare pel suo tenore di vita libertino e per certe sue tendenze degenerative”; “Una volta Evola frequentava le famose Grotte dell’Augusteo e vi si distingueva come eclettico ballerino di shimmy e charleston. È sempre circondato da donne, sue amanti” (dall’Appendice documentaria).
Disposti in ordine geografico, e solo subordinatamente cronologico, questi scritti, in cui Evola si mostra uno scrittore veramente magistrale, dalla prosa raffinata, evocativa e coinvolgente, nascono in parte come corrispondenze giornalistiche che coprono un arco di tempo tra il 1929 e il 1940, ma con prevalenza degli anni ’30, e in parte come recuperi memoriali che l’Evola ormai “fisso” nella sua abitazione romana a causa della paralisi affida alla terza pagina del quotidiano Roma negli anni ’50.
Le città esplorate da Evola, permanentemente alla ricerca dei tabarin, riguardano soprattutto l’Europa centrale, danubiana e balcanica: Vienna e Berlino, Budapest, Bucarest e Belgrado. Ma ci sono anche Parigi e Amsterdam e, al di fuori del mondo urbano, la Carinzia e il Tirolo, nonché le isole mediterranee Capri e Île de Levant. Gli articoli viennesi confermano l’amore evoliano per la capitale asburgica: amore fatale, visto che nel 1945 sarà il teatro dell’incidente che ne determinerà la paralisi che lo accompagnerà per i suoi restanti ventinove anni. La Vienna declassata del primo dopoguerra (1929), in cui si palesano torme di cittadini ridotti in povertà, ispira al nostro “filosofo prestato al giornalismo” (Scarabelli) un rimpianto per i passati fasti della città danubiana: “Il grande inverno dell’‘età oscura’ occidentale ha sommerso anche te. Non sei più la Vienna regale ed imperiale, la splendida Vienna dell’ultima delle grandi monarchie pre-moderne”. Nel 1938, testimone diretto dell’Anschluss, si chiede, con riferimento alla vita notturna, se la città ex asburgica che “presentava più di ogni altra un ritmo di vita non stereotipo e ‘pariginizzato’, ma ancora improntato da una certa spontaneità”, potrà mai conservarlo una volta annessa al Terzo Reich. Nella capitale di quest’ultimo, Berlino, sempre nel 1938, annota che: “La vita notturna è interamente ‘normalizzata’ – quel poco che resta assume forme clandestine spesso comiche”, come è il caso di una apparente clinica in cui si imbatte, presto scoprendo che “le infermiere sono più numerose, più carine e più truccate di quel che, per il loro ufficio, fosse necessario: finché una carta degli champagne che ci viene presentata, e dei suoni di grammofono dal piano superiore dei locali dei presunti ‘pazienti’, si incaricano di toglierci ogni dubbio”.
Se Parigi (1938) “è all’altezza della sua fama e, forse, resta ancora l’unica città del mondo in cui si può avere tutto quel che si vuole, il soddisfacimento di ogni specie di istinto normale o anormale, sempreché si versi un onorario corrispondente”, è però Bucarest (sempre 1938) che offre al futuro autore di Metafisica del Sesso l’esperienza dionisiaca del coinvolgimento in una danza di zingari, in cui, col denudarsi di una affascinante gitana, gli si rivela “l’evidenza di ciò che, per Weininger, è l’essenza della forza che si manifesta nella ‘donna assoluta’: distruggere ed essere distrutta”. Ma l’epifania di una femminilità misteriosa si affaccia anche in un locale notturno di Amsterdam (1938), dove la danza di una coppia femminile probabilmente lesbica si blocca con un “grido d’orrore”, seguito dall’apparizione di “una nuova figura, un’altra giovane donna, alta in piedi, in una elegantissima pelliccia leggera da sera”, che suscita in Evola questo commento: “Raramente abbiamo visto un volto con tratti di pari nobiltà, di una finezza quasi inverosimile di linee, frutto di una selezione forse secolare, congiunta tuttavia a qualcosa di duro, di lontano”.
A Capri Evola dedicherà più scritti (due nel 1933, uno nel 1955). Capri è “l’Isola Pagana”, che l’esoterista romano riconosce come “centro di uno speciale sottile magnetismo”, ma di cui assiste, gia nel ’33, al progressivo sfaldarsi in un turismo che diventerà perfino tipicamente matrimoniale: “E se Capri è stata fatta ufficialmente uno dei luoghi, partendo per i quali le coppie legittime degli sposi novelli di ogni parte del mondo possono godere del beneficio di un viaggio quasi gratuito – ciò può valere come un indice assai significativo per l’‘addomesticamento’ avvenuto o in via d’avvenire nell’Isola Pagana”. A Capri, sappiamo oggi dalla biografia opera di Scarabelli, Evola acquistò una casa in comproprietà con un amico, ed è perlomeno curioso che proprio scrivendo di quest’isola, in cui l’eccentrico e trasgressivo barone Fersen nella sua villa aveva celebrato i suoi riti omoerotici con il suo giovane amante Nino, il nostro filosofo esprimerà la sua teoria, di radice weiningeriana, sull’omosessualità: non si è completamente uomini o completamente donna, ed il proprio quantum di mascolinità o femminilità determinerà “un’attrazione vera e profonda” solo incontrando un partner con cui “sommando la parte uomo e la parte donna presenti in ciascuno, si abbia per totale un uomo puro e una donna pura”: l’omosessualità sorge “quando, in ciascuno, le due parti hanno un minimo scarto: chi è per il cinquantadue per cento donna sarebbe attirata da chi è per il quarantotto per cento donna e per il cinquantadue per cento uomo, ossia quasi uomo (…). In questi casi l’attrazione non avrebbe un carattere ‘perverso’: deriverebbe da quella legge naturale, nel presupposto della determinata costituzione di tipi sessualmente intermedi”.
Come se ciò non ci stupisse già abbastanza, Evola non si fa mancare neanche una visita alla comunità nudista dell’Île de Levant, ma da qui “avendone avuto abbastanza, dopo due giorni in tutto ho lasciato l’isola”: come poi dirà in altri suoi scritti (quello sull’isola della Costa Azzurra è del ’59, ma non ci offre una data del viaggio, ovviamente prebellico), il nudismo per lui non ha nulla di attrattivo, è anzi proprio il segno ultimo di una moderna depolarizzazione del magnetismo tra i sessi.
Non si può, infine, tralasciare di segnalare i testi che introducono e poi chiudono questa bella antologia: gli scritti dei due curatori, Andrea Scarabelli e Adriano Scianca, che si confermano tra le più belle intelligenze della cultura italiana di destra del nuovo secolo. Scarabelli, col suo Canone notturno. Reportage dalla fine di Europa, ci offre una efficace contestualizzazione storica degli articoli antologizzati, relativi a un Evola che, mentre esplora la vita notturna o gaudente d’Europa scrivendone per i quotidiani italiani (Il Tevere, il Corriere Padano, il Roma, Il Regime Fascista), lavora, soprattutto a Vienna, per realizzare quella “internazionale dei rivoluzionario-conservatori” che, in comunione con personalità come Othmar Spann e Walter Heinrich, sarà il più autentico e profondo progetto politico del filosofo tradizionalista. Adriano Scianca, dal canto suo, ci offre un vero e proprio saggio in cui vengono brillantemente delineate le “convergenze parallele” (ma Scianca non usa questa espressione) tra Evola e Guy Debord, il filosofo del Situazionismo, autore di quel testo epocale che è La Société du spectacle, già da tempo oggetto dell’interesse del direttore del Primato Nazionale e giornalista culturale de La Verità (si veda in proposito l’intervista fattagli da Lorenzo Cafarchio per Il Secolo d’Italia). Senza tentare superficiali fagocitazioni da destra di una corrente fortemente influenzata dal Marx dialettico e teorico della natura della “merce” quale è stata quella situazionista, né creando “inciuci” tra l’autore di Rivolta contro il mondo moderno e l’autore de La Società dello spettacolo (il 30 novembre di quest’anno è caduto il trentennale del suo suicidio, ma in pochi se ne sono accorti), Scianca individua nell’Evola “notturno” dei testi del libro curato con Scarabelli gli elementi che ricordano Debord e possono portare a una nuova visione della critica del presente: il rifiuto dell’esistenza borghese e della centralità del lavoro, la flânerie urbana come apertura all’epifania di qualcosa, il pur diverso ma significativo richiamo al mito del Graal, oggetto di una queste che in fondo è quella di un mondo in cui l’uomo realizzi sé stesso, da sé stesso, facendo libero dono agli altri della propria libertà conquistata.
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