Accoltellamento a Treviso, la mamma del ferito: «Mio figlio tradito dagli amici»
Non può fare altro che pregare per tenere acceso il lume della speranza la madre del 22enne rimasto vittima della brutale aggressione di giovedì sera, in via Castelmenardo a Treviso. La donna trova la forza di raccontarsi mentre veglia al capezzale del figlio nel reparto di terapia intensiva.
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La speranza appesa a un filo
«Non si sveglia, è come morto, le incisioni del vetro sono state tragiche, non ci risponde e noi non sappiamo niente» dice con la voce spezzata.
Frasi sommesse, si inseguono una dopo l’altra nello sfogo disperato di una madre impotente di fronte al destino del figlio. Sullo sfondo un contesto familiare problematico, i servizi sociali, la droga e le compagnie sbagliate.
«Lo bacio, lo abbraccio, ma lui non mi risponde», racconta stravolta da ore di veglia fra i corridoi dell’unità critica del Ca’ Foncello. È da giovedì sera che il suo ragazzo si trova lì, dopo essere stato soccorso in extremis fra i sampietrini di via Castelmenardo.
Profondissima la ferita infertagli con un coccio di bottiglia che l’ha raggiunto al collo lasciandolo a terra in un bagno di sangue. Troppo presto per sciogliere la prognosi: i medici lo hanno tenuto attaccato alla vita per miracolo e ora si tratta di scongiurare la possibilità, concreta, di danni permanenti.
Nella disperazione la donna riesce a trovare la forza per lanciare un appello ai ragazzi, che come il suo, hanno preferito la strada e la droga alla famiglia.
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«La droga è un mostro»
«Ai giovani dico, prima di fare certe cose o di ribellarsi ai genitori, pensate che la vostra vita è già spezzata. Quando ci si ribella alla famiglia vi trovate là fuori dove c’è un mostro che vi aspetta».
Il mostro è l’abisso della droga in cui suo figlio è scivolato lentamente, e in modo inesorabile, sotto i suoi occhi. Ecco le ore interminabili di veglia al capezzale lasciano spazio al tormento e a tutte quelle domande che lacerano la coscienza di una madre. Avrò fatto abbastanza per salvare mio figlio? Una domanda che rimbomba a vuoto nei corridoi sterili dell’ospedale.
«Ho lottato in tutte le maniere, ho sempre lavorato per tenerlo con me, e quando non c’ero chiedevo aiuto agli altri. Ma lui era stanco di questa vita, e in strada ha trovato dell’altro. I genitori, quando i figli sono così, non sanno cosa fare».
Non sanno come strapparli dalle grinfie del mostro «che ti ruba l’amore, ti ruba il corpo, e poi la vita».
Poche parole che restituiscono un ritratto vivido dell’esistenza di un ragazzo che ha cercato nel posto sbagliato il lenitivo alla rabbia, il rifugio da un vuoto esistenziale, la forza per mascherare la fragilità. «Non si possono strappare i figli dalla droga se loro non vogliono. Lui mi diceva: “Mamma provo una gioia che non ho mai avuto”, ma lui non sapeva che quella gioia era un abisso».
Cattive compagnie
Nel buco nero non ci finisci da solo. Accanto al 22enne che ora paga il prezzo più alto delle sue scelte sbagliate, ci sono ragazzi, e ragazze, che si erano spacciati per amici, ma che in realtà non lo erano.
«Sono passati tutti per casa mia e l’hanno resa un inferno – racconta dando quasi l’impressione di sapere chi sono gli aggressori del figlio – Sono spariti soldi, telefoni, portafogli».
Al mosaico si aggiunge una relazione tossica. «Mio figlio era succube di una ragazza. La mia unica gioia era vederlo tornare a casa» e poi ancora un appello disperato. «Ragazzi non ribellatevi, fuori dalla famiglia c’è la morte».
Sono riflessioni, domande. Quel che conta ora è che il ragazzo riapra gli occhi. «Pregate per lui e per tutti i ragazzi».