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Sempre più giocatori usano il protected ranking, ma non è detto che sia una cosa buona

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Di norma, in un tabellone principale di un torneo del Grande Slam, su centoventotto giocatori, i primi centoquattro del ranking entrano direttamente, lasciando liberi ventiquattro slot che saranno aggiudicati da chi supera le qualificazioni o da chi riceve una wildcard. Questo formato, con cui si delinea lo standard per un torneo di questo livello, può però venire leggermente scombussolato da chi usa il ranking protetto. Con “protected ranking” si intende chi, fuori per infortunio per almeno sei mesi, riceve il permesso di accedere ai tornei utilizzando la classifica che aveva durante i primi tre mesi dell’infortunio (senza, comunque, la possibilità di tornare come testa di serie o per le ATP Finals). Il protected ranking è applicabile per nove tornei o nove mesi, oppure, in caso di stop superiore a 12 mesi, per 12 tornei o 12 mesi, a partire dal primo evento giocato.

Il crescente numero di giocatori che sfruttano il ranking protetto diventa una spina nel fianco per coloro che sarebbero stati ammessi al tabellone principale per il rotto della cuffia.
Se vogliamo fornire un esempio vicino a noi, è facile pensare a Mattia Bellucci: il 2001 italiano è attualmente 103 del ranking ATP, quindi dovrebbe essere, per un pelo, dentro al tabellone principale dell’Australian Open 2025, ma partirà dalle qualificazioni (al momento è quarto degli alternates) in quanto il ranking minimo per entrare è al numero 99 della classifica, occupato da Jacob Fearnley (grazie al ritiro di Sebastian Ofner, altrimenti l’asticella sarebbe fissata alla posizione numero 98). Il protected ranking non è un male, anzi, serve parecchio ai giocatori che tornano dopo un infortunio o, per la WTA, dopo una gravidanza. Per la maggior parte dei fan, inoltre, è estremamente positivo, siccome permette loro di vedere giocatori più famosi senza che il torneo debba bruciare una wildcard. Il problema del protected ranking, adesso, è che non dà più la certezza nemmeno a chi rientra nei primi 100 della classifica di disputare un torneo dello Slam, e dieci anni fa non era affatto così. Questo è dovuto in parte all’aumento molto più marcato dei montepremi degli Slam rispetto a quelli degli altri tornei del tour, quindi i giocatori inevitabilmente scelgono di utilizzare il ranking protetto in quei tornei più remunerativi in termini di denaro e punti per la classifica. Nel 2010, tuttavia, si registrava una media di 3,75 entry con il Protected Ranking ai vari tornei dello slam per gli uomini, mentre per le donne la media era di 1,75. Durante gli anni questo dato è cresciuto notevolmente, specialmente per le donne (simbolo anche di una tutela maggiore per i diritti delle giocatrici), fino a raggiungere dei valori record nel 2024, dove abbiamo avuto in media 4,75 entry con questo metodo dal lato ATP e addirittura 7,5 dal lato WTA. Questi dati, raccolti e analizzati dal giornalista Ben Rothenberg, ci fanno capire come, se frutto di un semplice miglioramento del circuito, si stiano facendo dei grandi passi avanti, anche se a scapito di promettenti giocatori che vogliono proporsi su un palcoscenico maggiore. Se invece c’è del dolo e quindi, in virtù del fatto che con il protected ranking puoi stare fuori parecchio prima di tornare in attività (sempre grazie alle condizioni migliori del circuito di cui parlavamo prima), qualcuno se la prendesse comoda e scalzasse via un giocatore che ha lottato tutta la stagione per garantirsi un posto in uno slam, ci sarebbe poco da discutere. Se per qualcuno la questione possa essere ritenuta di poco valore (d’altronde, stiamo parlando se far giocare, prendendo come esempio gli Australian Open 2025, Nick Kyrgios, con protected ranking al numero 21 o Dominic Koepfer, numero 102 della classifica ATP, dove il primo porta più pubblico, e anche più soldi), è importante che nello sport rimanga un lato di correttezza e meritocrazia, contro chi abusa di un sistema con una tutela così potente. L’altro lato della medaglia del protected ranking va di sicuro tenuto d’occhio, perché, come nel tennis spesso accade, c’è una linea sottilissima tra essere nella ragione ed essere nel torto (con tanto di danno arrecato agli altri).

Francesco Maconi




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