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Sempre meno neve con il cambiamento climatico, lo studio: “Sulle Alpi -34% di nevicate in 100 anni”

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Nel 2023, sulle Alpi francesi e svizzere l’inverno fu talmente mite e avaro di neve che lo scorso settembre Italia e Svizzera dovettero rettificare un confine per l’ulteriore fusione di un ghiacciaio. Ora lo studio pubblicato a inizio dicembre sull’International Journal of Climatology, con la collaborazione dell’università di Trento e di Eurac Research (centro di ricerca privato di Bolzano), ha quantificato la riduzione delle precipitazioni nevose sulle Alpi in cent’anni (1920-2020): il 34 per cento.

“In particolare si è osservata una notevole diminuzione dopo il 1980, data che coincide anche con un netto aumento delle temperature”, commenta Michele Bozzoli, meteorologo ambientale all’Eurac Research e primo autore dello studio. Ma mentre il versante alpino settentrionale – Svizzera e Tirolo – ha registrato un calo del 23%, quello meridionale – Italia, Slovenia e parte dell’Austria – ha assistito a una riduzione di quasi il 50%, soprattutto sotto i 2000 metri, dove è più facile invece che piova.

Un problema globale – A gennaio uno studio pubblicato su Nature ha rilevato che nella maggior parte dell’emisfero settentrionale il manto nevoso si è ridotto negli ultimi 40 anni. Il calo più elevato (10-20%) si è verificato negli Stati Uniti sudoccidentali e nordorientali e nell’Europa centrale e orientale. Si potrebbe pensare che all’estremo nord le cose vadano meglio, ma non è così. Perfino la Lapponia finlandese ne risente. La scorsa estate tutte le stazioni meteorologiche hanno registrato temperature superiori di 2-3,5 °C rispetto alla media, mentre a ottobre e novembre alcune località hanno raggiunto gli 11 °C (contro una media di 2,8 °C). Con il risultato che a novembre lo strato nevoso era di un paio di centimetri (invece dei soliti 20-30) ed era limitato a poche zone. La pioggia ha fatto il resto. Così a inizio dicembre il tour operator tedesco Tui ha annullato i viaggi alla casa di Babbo Natale: di escursioni con slitte e motoslitte neanche a parlarne, meno che mai di safari con le renne, che dal canto loro non riescono a estrarre dal ghiaccio i licheni di cui si nutrono.

Un trend in peggioramento – Non si direbbe che in futuro le cose possano migliorare, visto che ogni anno si parla di caldo record e aumento delle temperature. A marzo uno studio uscito su PloS One stimava per i prossimi decenni una netta riduzione dell’innevamento nelle principali aree sciistiche, con qualsiasi scenario di cambiamento climatico. Gli studiosi prevedono che il 13% di tutte le attuali zone sciistiche perderà completamente il naturale innevamento annuale e che un quinto sperimenterà una riduzione di oltre il 50% nel 2071-2100. “Il cambiamento climatico in corso altera sostanzialmente il regime delle nevicate”, si legge nello studio.

Il fatto è che, anche se nevica, la neve non dura. “Il nostro dipartimento ha valutato in una ricerca che in dieci anni il periodo in cui la neve resta al suolo si è accorciato di 17 giorni. Possono sembrare pochi, ma in 20 anni sono un mese, da calcolare su quei pochi mesi all’anno in cui nevica e non su 12 mesi”, osserva la professoressa Antonella Senese, glaciologa e climatologa del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano (dipartimento che collabora con Unimont, il polo alpino dell’ateneo). Alcune ricerche stimano che tra vent’anni in Trentino ci saranno fino a 48 giorni in meno di neve a terra a 2000 metri.

L’impatto del clima in montagna – Trovare il colpevole di questa situazione non è difficile: è ovviamente il riscaldamento globale causato da cambiamento climatico. “Le nevicate sporadiche di ottobre-novembre non riescono a rimanere al suolo e ad allungare il periodo di innevamento. Quando poi arriva la pioggia, che ha una temperatura superiore, il calore e l’azione meccanica vanno a erodere lo strato di neve. È come mettere un bicchiere con la granita sotto un rubinetto aperto a filo: le gocce fanno fondere anche lo strato sottostante”, spiega Senese.

La neve artificiale, tra l’altro costosa (in Trentino, per esempio, si spendono 24 milioni di euro all’anno) non è la soluzione. “A prescindere dalla sua sostenibilità ambientale, perché funzioni ci vogliono le condizioni giuste di temperatura e umidità. Lo stesso vale per la tecnica di rallentamento della fusione della neve”. Meglio rimediare diversamente. “Per massimizzare la fruizione delle nostre montagne e delle loro bellezze culturali, naturalistiche e geomorfologiche, il nostro dipartimento ha partecipato al progetto internazionale E-bike, implementando una pista ciclabile che va dalla Val d’Aosta alla Svizzera”.

Risorse iridiche a rischio – La neve è una riserva idrica importantissima per la vitalità dei ghiacciai e dei corsi d’acqua. “Il periodo di maggiore fusione di neve e ghiacciai è anche quello più siccitoso. La riduzione della disponibilità idrica arriva in estate, quando serve più acqua per i campi”, spiega la professoressa. Senza il manto nevoso, che alimenta le falde freatiche, la pioggia aiuta poco. “Il regime delle precipitazioni non è più distribuito omogeneamente nel corso dell’anno. In poche ore arriva tanta pioggia che non è conservabile”. Ne risente anche la produzione di energia idroelettrica. “Uno studio del nostro dipartimento ha dimostrato che l’acqua di fusione dei ghiacciai contribuisce in minima parte agli impianti di energia idroelettrica, ma si tratta di una percentuale decisiva perché arriva nei periodi in cui è più indispensabile”, conclude Senese.

L'articolo Sempre meno neve con il cambiamento climatico, lo studio: “Sulle Alpi -34% di nevicate in 100 anni” proviene da Il Fatto Quotidiano.




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