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Mufasa: Il re leone, Barry Jenkins non basta - Recensione

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La Disney lo fa ancora. Prende il suo storico passato di storie amate, diventate cult e nuove mitologie che scaldano il cuore, e lo spolpa e sbrandella in remake, sequel e prequel. Lo aveva fatto nel 2019, quando Il re leone del 1994, adorato classico animato, era stato riproposto in animazione computerizzata fotorealistica. Il risultato? Un copia incolla dell’originale, ma senza magia. Il botteghino però ha arriso: il 2º maggior incasso di sempre per un film d'animazione. Sono stati ben 1.662.020.819 ad oggi i motivi, in dollari, che ora hanno spinto gli studios a scarnificare ancora. Sulle tracce del padre di Simba e leader perfetto, ecco Mufasa: Il re leone, il prequel, dal 19 dicembre 2024 al cinema. Una nuova vecchia storia tiepida e con poco cuore.

Barry Jenkins, perché?

Abbinare i termini «Il re leone» e «franchise» fa quasi male. Ma purtroppo così è: il 32° classico della casa di produzione di Topolino, quinto film del Rinascimento Disney e capolavoro educativo emozionante, è ormai diventato capostipite di una sequela di film e serie animate.

Leggi però che alla regia di Mufasa: Il re leone c’è Barry Jenkins, regista afroamericano attento e impegnato, autore del premio Oscar Moonlight, e speri allora che venga demolito ogni tuo pregiudizio verso i film nati solo per business. Ma così non è. Mufasa: Il re leone è anzi la conferma che non basta un buon regista alla guida se la scintilla produttiva non parte dall’urgenza di raccontare ma dalla fretta di guadagnare.

Ciononostante, il racconto di formazione sul futuro re delle Terre del Branco probabilmente sarà un successo al boxoffice. Quello che la Disney vuole.
Target del film? I bambini, senz’altro, che potranno ridere – almeno loro – dei lazzi di puzzette e puzze del suricato Timon e del socio facocero Pumbaa. Gli adulti, soprattutto quelli che hanno amato il classico del 1994, sono destinati alla nostalgia.

Immagine del film "Mufasa: Il re leone" (Credits: Disney)

Una storia disorganica e veloce

La nostalgia inizia subito con la dedica commemorativa, a inizio film, a James Earl Jones, attore e doppiatore morto a settembre all'età di 93 anni, voce storica di Mufasa ne Il re leone del 1994 e nel sequel e nel remake (nella versione in lingua originale).

Mufasa: Il re leone racconta come Mufasa, il padre di Simba, capo saggio e rispettato, sia diventato il re delle Terre del Branco. Per farlo, però, inserisce la storia nella narrazione che fa il mandrillo Rafiki a Kiara, leonessa figlia di Simba, con gli elementi di disturbo Timon e Pumbaa. Peccato che, invece che rivelarsi divertenti, i due animaletti rumorosi abbiano l’effetto di un’unghia sulla lavagna.
Il rimpiattino frequente tra racconto passato e contesto presente, oltre che essere tutt’altro che fluido, diventa quindi anche fastidioso.

Immagine del film "Mufasa: Il re leone" (Credits: Disney)

Non è priva di difetti neanche l’epopea di Mufasa, inquadrato sin da cucciolo, in un’odissea che lo vedrà perdere i suoi genitori, trovare una nuova famiglia, avventurarsi in una fuga dai crudeli leoni bianchi, leader di un gruppo di disadattati alla ricerca del loro destino e di un paradiso immaginario (o forse no). Al suo fianco, sempre, il fratello acquisito Taka.

La narrazione, troppo piena e veloce, è disorganica e spesso sembra soprattutto pretestuosa. C’è poca anima. Il coinvolgimento suscitato? Moderato.
E poi, nel gran finale, il discorso populista e quasi casuale di Mufasa, che chiama a unirsi nella lotta animali mai incontrati prima, in un luogo in cui è appena sbucato.

«Non conta ciò che eri ma quello che sei diventato», dice il savio Rafiki. Noi teniamo stretto quello che Il re leone era, non quello che è diventato.

Immagine del film "Mufasa: Il re leone" (Credits: Disney)

Fastidiose spalle comiche

I momenti più belli di Mufasa: Il re leone? Le scene di formazione di Mufasa. C’è freschezza nei giochi tra lui e Taka, con primi piani sui loro musi complici. C’è una connessione amabile tra Mufasa e la mamma acquisita Eshe, un rapporto che lo eleverà portandolo a essere il leone illuminato e dai sensi affinati che sarà.

Falliscono il loro intento comico, invece, sia Timon e Pumbaa che Zazu, il bucero dal becco rosso, guardia del corpo della leonessa Sarabi. Non sempre funziona la regola dei film d’animazione, ormai abusata, di inserire animaletti strambi e blateranti come intermezzo spassoso a spalla dei protagonisti.

Immagine del film "Mufasa: Il re leone" (Credits: Disney)

La meraviglia del paesaggio africano

Se non fa centro la parte emotiva e narrativa di Mufasa: Il re leone, è senz’altro notevole invece il paesaggio africano ricreato dagli animatori e artisti digitali della Moving Picture Company, che per la terza volta danno vita a un cast di personaggi animali Disney dopo Il libro della giungla del 2016 – che invece fu un risultato convincente - e Il re leone del 2019.

Mescolando tecniche di ripresa dal vivo con immagini generate al computer fotorealistiche, con influenze provenienti da ricollocazioni in tutta l'Africa, ecco dischiudersi natura a perdita d’occhio, una tavolozza di colori scintillante tra pianure, canyon e foreste, un popolo animale vario e intento.

Collaborando con i tecnici di MPC, Jenkins ha lavorato in realtà virtuale digitale per individuare location, pianificare e girare il film.

Immagine del film "Mufasa: Il re leone" (Credits: Disney)

Le canzoni originali e nel doppiaggio italiano

A proposito delle canzoni che percorrono Mufasa: Il re leone, la produttrice Adele Romanski ha detto: «OK, siamo onesti, le canzoni originali de Il re leone sono delle hit. Ma Lin-Manuel Miranda è un genio della musica e penso che non appena la gente ascolterà le nuove canzoni scritte per il film, si uniranno alle jam di Elton John e Tim Rice del film del ’94, nel canone musicale del Re Leone».

Miranda ha scritto le canzoni originali di Mufasa: Il re leone, prodotte da Mark Mancina e Miranda, con musica e performance aggiuntive di Lebo M, compositore sudafricano già dietro Il re leone del 1994.
La colonna sonora originale è stata composta da Dave Metzger. Nicholas Britell ha contribuito alla canzone I always wanted a brother e a diversi temi.

Noi abbiamo visto la versione italiana del film, quindi non possiamo giudicare le canzoni originali. Certo è che la trasposizione italiana è tutt’altro che efficace e memorabile, con rime facili e rari motivetti destinati a rimanere addosso.

Le voci italiane sono di Luca Marinelli per Mufasa da adulto (da cucciolo invece di Mattia Moresco nei dialoghi e di Adriano Trio nelle canzoni). Nella versione originale, invece, c’è Aaron Pierre (da cucciolo Braelyn Rankins). Elodie fa parlare e cantare Sarabi (in inglese affidata a Tiffany Boone), Alberto Malanchino invece Taka da adulto (in versione originale Kelvin Harrison Jr.).

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