Jack Draper: “Guido una Polo di seconda mano, non sono un materialista. Mia nonna è la mia eroina”
Il tennis mondiale, e più da vicino quello British, nel 2024 hanno accolto la definitiva esplosione di Jack Draper, che per la prima volta in carriera ha raggiunto le semifinali in una prova del Grande Slam arrendendosi solamente dinanzi al futuro campione Jannik Sinner. Nell’intera stagione, i premi in denaro raccolti grazie ai risultati conseguiti sul campo hanno fruttato al mancino di Sutton oltre 2 milioni di sterline di incasso dai soli montepremi dei tornei a cui ha preso parte.
Proprio sulla gestione delle sue finanze, si è incentrata una parte dell’interessante intervista che Jack ha rilasciato The Athletic e che in un certo senso riprende spunti giù emersi nella chiacchierata che Draper ebbe nel 2020 con Simon Briggs del Telegraph, quando era solo un diciottenne che cominciava ad affacciarsi nel circuito pro partecipando ai primi eventi Futures. L’intervista odierna, ancora concessa a Briggs, ci conferma infatti nuovamente le qualità umane del ragazzo inglese, appurando di come l’ego di uno spavaldo ventitreenne non ha subito minimamente l’influenza che l’impennata in classifica dell’ultimo anno avrebbe potuto sortire e che anzi l’umiltà del classe 2001 – attualmente n. 1 del suo Paese – rappresenta un bel esempio per i suoi coetanei.
Tuttavia, sarebbe fuorviante non affermare che tante cose sono diametralmente cambiate, ed in meglio, da quando il simpatico Jack ha iniziato a muovere i primi passi da professionista. E’ inevitabilmente maturato come uomo e di conseguenza come tennista da quando vinse il suo primo match a livello ATP proprio contro quel Sinner che lo ha fermato a New York, nel lussureggiante palcoscenico dei prati del Queen’s dove ironia della sorte nel 2024 ha ottenuto uno dei successi più prestigiosi dell’anno ai danni di Carlos Alcaraz. Una sana crescita personale e professionale, ma allo stesso una radicata affezione ai propri principi che affonda le radici nei valori trasmessi dall’educazione familiare, soprattutto dalla madre Nicky che gli ha trasferito la passione per il tennis instillandogli buoni propositi per vivere e affrontare al meglio la vita.
L’ascesa di Jack sarebbe potuta essere anche più repentina, ma la concatenazione di infortuni è stata spesso la causa dominante per bloccare la sua ruggente affermazioni ai più alti livelli del tennis mondiale: anca, spalla con alcuni vecchi fantasmi che ogni tanto ritornano a tormentarlo. Ad un certo punto dell’intervista, tuttavia, c’è un momento di stacco dove il ragazzone britannico lascia andare le sue corde emotive al ricordo dell’amata nonna Brenda: colpita da oltre un decennio dal morbo di Alzheimer e sua prima allenatrice in tenera età.
Nonna Breda, un obiettivo più grande
“Guardi quella persona che ami senza sapere chi sei e non riuscendo a comprendere cosa stia succedendo. Ci sono molte fasi nell’Alzheimer. All’inizio, inizi a faticare a pensare correttamente poi repentinamente cominci a perdere la memoria. Ed ecco che lì si assiste alla fase peggiore della malattia, quando sei fisicamente cosciente e capace ma mentalmente smarrisci tutte le tue certezze. Ci sono diversi gradi del male che l’ha colpita e che ho dovuto malauguratamente vedere con i mei occhi attraversarla, come non voler più entrare nella doccia senza un reale motivo apparente per poi chiedermi: ‘Come fai a far entrare questa donna così forte sotto la doccia ogni giorno?’ È impossibile. E chi si prenderà d’ora in poi cura me come solo lei sapeva fare. Lei per me è un’assoluta eroina per come riesce ad andare avanti, a continuare a vivere mettendo sempre un piede davanti all’altro“.
E proprio in questo senso, con lo sguardo mentale rivolto ai suoi nonni che Jack dichiara di avere una missione più importante di quella di giocare a tennis: “Ora avverto di avere un obiettivo ed uno scopo che è molto più grande di me. I miei nonni sono stati una parte molto importante del mio sviluppo come essere umano. Perciò adesso sento di dover perseguire uno scopo che avverto dentro di me, di dover restituire loro qualcosa tenendo presente tutto il bene che mi hanno dato. Mi sento, dunque, come se non fossi unicamente un giocatore di tennis, ma qualcosa di molto più importante per quelle persone che ricoprono un ruolo vitale nella mia esistenza“.
L’intervistato prosegue su questo filone, elogiando l’operato di tutte quelle associazioni che si occupano di raccogliere fondi per la ricerca contro le malattie che provocano regressione mentale negli anziani – demenza senile, Alzheimer ecc. – “Il tennis è uno sport individuale: siamo sempre concentrati solamente su noi stessi. Per me però è estremamente importante avere un obiettivo che vada oltre a quello della mia carriera tennistica, uno scopo di vita più ampio. Sinceramente non trovo quello che faccio particolarmente impressionante. So che può sembrare strano perché sono il 15esimo tennista del mondo, ma se esco e incontro le persone non gli parlo di tennis. Non penso che ciò che faccio sia eccezionale e non mi piace vantarmi, guido un Volkswagen Polo di seconda mano poiché non mi considero un materialista“.
Tali convinzioni, il semifinalista dello US Open le ha maturate come conseguenza di un certo senso di colpa, di rimorso che prova ogni volta che parte per per lunghi blocchi di stagione lontano da casa – come succederà molto presto volando l’Australia – perché è consapevole che i suoi affetti più cari non saranno lì per sempre ad attenderlo con gioia, che bisogna godersi i momenti che la vita ti concede prima che sia troppo tardi e prima che possano trasformarsi in un mero rimpianto: “Vedi quella persona che ami, vedi quella persona che è sempre stata una figura così importante per te, e ti rendi conto di cosa voglia dire incominciare a perderla quando non ti riconosce più“.
Il click che ha fatto la differenza: accettare la complessità del suo tennis
Tornando a parlare di tennis, Jack appare comunque molto voglioso di ricominciare e si sente super carico in vista del 2025. L’ultimo anno ha mostrato perfettamente i progressi compiuti sotto l’aspetto della condizione fisica che ha portato eccezionali benefici al suo grado di performance. Prestazioni che tuttavia sono anche migliorate grazie ad un piccolo click psicologico: modificando la sua iniziale rotta, accettando i suoi limiti senza però smettere di provare a superarli ma soprattutto accettando la complessità del proprio tennis. E da questo punto di vista è stato fondamentale osservare e studiare quello che ritiene essere il suo mentore, il suo punto di riferimento sotto questa precisa caratterizzazione del proprio gioco: “Quando guardi il tennis in televisione, quando guardi giocatori come Daniil Medvedev e noti la sua tecnica sul diritto, che è abbastanza particolare come nel mio caso; ti rendi conto che la cosa più importante nel tennis non è la perfezione stilistica con la riproposizione del gesto classico, bensì l’efficacia del colpo ed ecco che allora comprendi che quello è il suo stile, unico e fantastico“
A siglare il punto esclamativo dell’intervista, non poteva non giungere la domanda sul connazionale di racchetta più iconico dell’ultimo ventennio: il barone Andy Murray passato nelle nuove vesti di coach, al fianco di un certo Nole Djokovic. Draper si è così espresso sul sodalizio più intrigante del 2025: “Penso che Andy sarà un allenatore incredibile, la sua intelligenza tennistica è impressionante. Per lui, conoscendolo, la sfida tattica di allenare Novak sarà super divertente e stimolante. Capisco che voglia continuare a sentire quell’adrenalina che per anni lo ha accompagnato in campo e il ruolo di allenatore gli permetterà di proseguire a vivere certe emozioni che soltanto lo sport è in grado di generare. Avrà sicuramente voglia di compire qualcosa di grande“.