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Migranti in Albania, il governo sposta le convalide in Corte d’Appello. Ma ci troverà le stesse “toghe rosse” che voleva esautorare

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Il governo voleva liberarsene, seguendo il diktat di Elon Musk: These judges need to go“, “Questi giudici devono andarsene”, twittava il miliardario amico di Donald Trump, dopo le ordinanze della Sezione immigrazione del Tribunale di Roma che avevano bloccato i trattenimenti di migranti in Albania. Il giorno successivo, la maggioranza aveva già provveduto: con un emendamento al decreto Flussi (subito ribattezzato “emendamento Musk”) toglieva alle Sezioni specializzate dei Tribunali la competenza a decidere sulle convalide dei trattenimenti, affidandola alle Corti d’Appello. Una mossa ispirata da un solo scopo, quello di esautorare i giudici dell’immigrazione, considerati ideologizzati. Come anticipato da Repubblica, però, il piano è già fallito, anzi è finito in una beffa: a Roma, l’ufficio che regola le questioni sui centri al di là dell’Adriatico, a occuparsi delle convalide in Corte d’Appello saranno in gran parte gli stessi magistrati che lo facevano in primo grado. E una di loro, Antonella Marrone, è addirittura tra i giudici che hanno già fermato il progetto Albania, sospendendo i trattenimenti per dubbia compatibilità col diritto Ue (e finendo attaccata dalla stampa di destra per una sua vecchia “storia” di Whatsapp). Insomma, le “toghe rosse” che il centrodestra voleva cacciare dalla porta sono rientrate dalla finestra: una notizia ferale per la premier Giorgia Meloni, che per riempire finalmente i centri vuoti di Shëngjin e Gjader puntava tutto proprio su un cambio di orientamento giurisprudenziale.

Ma com’è possibile che dei giudici di primo grado si ritrovino a decidere cause in Appello? Il motivo sta nel fatto che il governo, pur scaricando sugli uffici di secondo grado una montagna di nuovi fascicoli, non ha previsto un loro ampliamento di organico. Così nella Capitale, dove i provvedimenti di convalida si aggirano sui settecento l’anno, il presidente della Corte Giovanni Meliadò ha dovuto ordinare un’applicazione distrettuale, cioè un “prestito” di toghe da parte dei Tribunali della regione, in vista dell’entrata in vigore della nuova norma il prossimo 11 gennaio (un mese dopo la pubblicazione della legge in Gazzetta ufficiale). “La Corte d’Appello di Roma, presso la quale attualmente sono pendenti circa 25mila processi civili e oltre 4omila processi penali, è impossibilitata a far fronte, con i suoi attuali organici, a queste nuove competenze, che determinano una vera e propria situazione di emergenza per l’ufficio”, premette il decreto, datato 18 dicembre. Il settore civile, infatti, è già sguarnito di magistrati al 30% (ne mancano 14 su 55): senza nuove forze, scrive Meliadò, occuparsi anche dei trattenimenti significherebbe quindi dover “congelare tutto il contenzioso della sezione persone, famiglia e minori”, a cui spettano i procedimenti in materia di protezione internazionale, “con la compressione, del tutto insostenibile, di diritti di preminente importanza e rilievo“.

Per questo il presidente ha varato un interpello, cioè una richiesta di disponibilità, allo scopo di trovare sei “volontari” disposti a trasferirsi per un anno a dare una mano in Corte d’Appello. Si sono candidati in nove, tra cui quattro giudici appartenenti alla Sezione immigrazione del Tribunale capitolino: Antonella Marrone, Maria Rosaria Ciuffi, Cecilia Cavaceppi e Giuseppe Molfese. E a questi quattro è andata subito la precedenza, in quanto, ricorda Meliadò nel provvedimento, “la vigente circolare in materia di supplenze e applicazioni, ai fini della scelta del magistrato da destinare in applicazione, dà preferenza ai magistrati che esercitano gli stessi compiti che sono chiamati a svolgere presso l’ufficio di destinazione”: chi si occupava già di protezione internazionale, insomma, partiva in vantaggio. Ma pure gli ultimi due posti sono stati assegnati d’ufficio (per sei mesi) a due magistrate dell’immigrazione, Lilla De Nuccio e Maika Marini, le più giovani tra quelli che non si erano offerti: il presidente della Corte, infatti, ha ritenuto giusto attingere soltanto dalla Sezione specializzata, poiché – scrive – quell’ufficio “è stato destinatario di un aumento di organico di ben dieci unità (…) al fine di consentire di far fronte al significativo aumento dei flussi connesso all’incremento dei provvedimenti di trattenimento dei richiedenti asilo e, in prospettiva, all’attuazione del protocollo Italia-Albania“. Tutte competenze che ora il governo ha spostato in Appello, per ragioni puramente ideologiche. E non servirà nemmeno a evitarsi le “toghe rosse”.

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