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Dal “lodo Moro” ad Almasri: le amnesie della sinistra, il governo Meloni e l’interesse nazionale

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“Poiché il passato non rischiara più l’avvenire, lo Spirito avanza nelle tenebre” (Alexis de Tocqueville, La democrazia in America).

Parliamo chiaro: nel “caso Almasri” la bussola del governo Meloni è stato l’interesse nazionale che si può chiudere in un trittico verbale: sicurezza dei cittadini. Ma é una bussola antica che ha orientato sempre il cammino della Repubblica, con tutti i governi. E, in passato, con la leale collaborazione della Magistratura. In nome della “salus rei publicae”. In passato. Ma per capire e fare capire, in un tempo in cui sembra persa la memoria comune e smarrito il senso dello Stato, dobbiamo fare qualche passo indietro. 5 settembre 1973. Siamo ad Ostia: i servizi segreti italiani, imbeccati dal Mossad – a Palazzo Chigi c’è Mariano Rumor subentrato a Giulio Andreotti, al Quirinale c’è Giovanni Leone – sventano un attentato clamoroso. Un gruppo di terroristi palestinesi, dotato di un missile terra-aria, aveva progettato – secondo una delle versioni – di colpire addirittura l’aereo sul quale viaggiava la premier israeliana Golda Meir in visita a Roma. Vengono arrestati in cinque, legati a Settembre Nero e al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina: due di questi con passaporto libico vengono rilasciati pochi giorni dopo e accompagnati – “esfiltrati”, si dice in gergo – da quattro ufficiali del Sid, il nostro servizio segreto del tempo, direttamente nella Libia di Gheddafi, a bordo di un aereo militare – in codice Argo 16 (del velivolo parleremo un’altra volta) – a disposizione dei nostri 007.

Il “Lodo Moro” e il terrorismo palestinese

Gli imputati vengono quindi condannati a cinque anni e due mesi di reclusione. Ma anche i tre terroristi reclusi sono scarcerati: l’allora ministro degli Esteri Aldo Moro – rivelerà tanti anni dopo Francesco Cossiga – fece personalmente pressione sul presidente del tribunale e fece concedere ai terroristi la libertà provvisoria, su cauzione di 20 milioni di lire cadauno: le somme furono sborsate dal Sid. Insomma, lo Stato “pagò” lo Stato. I tre furono, quindi, fatti allontanare verso i propri Paesi. Scriverà Aldo Moro, in una lettera dal carcere delle BR (29 aprile 1978), inviata a Flaminio Piccoli: ”Dunque, non una, ma più volte furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti ed anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero state poste in essere, se fosse continuata la detenzione”. Era la verità; era la sintesi del cosiddetto “Lodo Moro”: la famosa intesa, promossa dallo statista democristiano, tra l’Italia e le “forze combattenti arabo-palestinesi” allora guidate da Yasser Arafat e George Abbash, per proteggere il nostro territorio da attacchi terroristici.

La riprova ? Il primo giorno del processo per i fatti di Ostia – fissato per il 17 dicembre 1973 – quando ancora tre dei cinque terroristi erano in carcere, si verifica un fatto molto più grave: la strage di Fiumicino. Un commando di altri cinque palestinesi, giunti con in volo di linea dalla Spagna, compie un vero e proprio atto di guerra nell’aeroporto della Capitale facendo 32 vittime di diversa nazionalità, tra le quali cinque italiani: una famiglia di tre persone, un funzionario dell’Alitalia e un giovane finanziere appena ventenne. I terroristi, compiuta la strage, sequestrano un aereo della Lufthansa, fanno salire alcuni ostaggi e atterrano ad Atene: qui, durante le trattative uccidono un ostaggio italiano, un lavoratore del trasporto bagagli, il cui corpo lasciano sulla pista; poi ripartono e dopo un lungo giro, atterrano a Kuwait City. Vittime dimenticate.
Le autorità dello Stato arabo li arrestano, ma Roma non insiste nella richiesta di estradizione degli attentatori: poco dopo, come abbiamo visto, vengono liberati i tre terroristi arrestati ad Ostia che lasciano il territorio italiano. Il governo di allora (e pure l’autorità giudiziaria) scelse la via dell’interesse nazionale coincidente con la necessità di impedire altri attentati su suolo italiano. Non risultano cenni di dissenso da parte della magistratura. Una Ragion di Stato teorizzata e praticata da Aldo Moro.

L’affaire Sigonella: Craxi, Andreotti, il Pci e la “fuga” di Abu Abbas

Facciamo, adesso un salto in avanti di 12 anni, all’episodio del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro, con l’uccisione di un passeggero americano e l’episodio di Sigonella (1985): accadimenti legati alla storia politica e personale di Bettino Craxi, che tuttora ravvivano non sopite passioni. Qui vado subito al punto perché i fatti sono ben ricordati, grazie anche alla saggistica e al cinema. Suscitando un conflitto politico-diplomatico senza precedenti tra Italia e Usa, Abu Abbas, fatto passare per mero mediatore inviato da Arafat, in realtà capo del FLP a cui aderivano i dirottatori, viene fatto fuggire a Belgrado su ordine del premier Craxi e di Andreotti allora alla Farnesina, col plauso “antiamericanista” del PCI, per liberare il nostro Paese di un personaggio pericoloso e scongiurare prevedibili e cruente conseguenze. Segue la condanna, platonica e di facciata, all’ergastolo in contumacia, condanna mai eseguita naturalmente. Abu Abbas, libero per lungo tempo, morirà molti anni dopo (2004) in un carcere Usa presso l’aeroporto di Baghdad dove era stato rinchiuso in seguito all’occupazione dell’Irak. Il “Lodo Moro” era sopravvissuto alla scomparsa drammatica del suo ideatore assassinato dalle Brigate Rosse (1978).

Abu Omar, la CIA e gli agenti Usa graziati da Napolitano e Mattarella

Rapimento Abu Omar (2003). Anche questo evento é molto noto perché ritenuto a livello internazionale uno dei casi più clamorosi di illegale extraordinary rendition compiuti dalla CIA. Vado subito al punto: su pressione di Barack Obama, prima il presidente Napolitano (2013), poi il suo successore Sergio Mattarella (2015), concedono la grazia agli agenti segreti americani condannati in via definitiva dalla magistratura italiana. Per la medesima ragion di Stato motivata dalle relazioni Italia-Usa. Hanno fatto bene ? Io credo di sì. Ma non ricordo veementi proteste dal mondo politico progressista. Solo mugugni – molto argomentati, in verità – di qualche illustre costituzionalista. Tanti silenzi e silenziati. E diffuse amnesie. Andiamo avanti.

Il caso Sala-Abedini: nessuno si è stracciato le vesti

Venne il tempo dello “scambio” – così la vicenda é stata letta dai media di tutto il mondo – tra la giornalista italiana Cecilia Sala arrestata e poi scarcerata a Teheran e l’ingegnere iraniano Mohammed Abedini Najafabadi, l’”uomo dei droni” arrestato dalla Procura di Milano su richiesta motivata degli Usa e poi “liberato” dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio e fatto rimpatriare nella Repubblica islamica. Nel mezzo una missione-lampo della Meloni negli Stati Uniti e un incontro col presidente eletto Donald Trump. Ragion di Stato ? Certo, ma anche rispetto del valore etico della persona umana da parte della destra contemporanea, come ho avuto modo di fare notare. Sono fatti dei nostri giorni. Che, però, non hanno fatto registrare vesti stracciate sui banchi dell’opposizione, iniziative giudiziarie, denunce mirate, attacchi mediatici e polemiche dell’ANM: la Meloni é stata lodata e ringraziata da tutti. Ipocrisia e malcelato rosicare per la brillante operazione portata a termine dalla premier.

Gentiloni, Minniti, Conte e i libici: ecco perché Vespa ha ragione

Ma “timeo Danaos et dona ferentes”: sono trascorse poche settimane e siamo al “caso Almasri”. Sul quale faccio tre osservazioni, saltando a piedi pari il moltissimo che è stato scritto. La prima: il governo – che ha fatto benissimo a espellere il generale libico – legittimamente potrebbe apporre il segreto di Stato per le implicazioni internazionali della questione; ne ricorrerebbero tutte le condizioni. Ma questa é una scelta che spetta alla presidente del Consiglio, unica titolata a farlo. Conosco la materia in modo sufficiente. Ma pure la weberiana “etica della responsabilità” e ansia di trasparenza a cui si ispira la prima premier della destra. E l’equilibrio dell’Autorità delegata, il sottosegretario Alfredo Mantovano. Non mi permetto. La seconda è un memorandum del Memorandum Italia-Libia: fu stipulato da Gentiloni e Minniti nel 2017, fu rinnovato da Giuseppe Conte a capo dell’esecutivo giallo-rosso nel 2020, è stato confermato dal governo Meloni nel 2023. Certo che chi legge lo sa, però a me serve per concludere con la terza osservazione: ma la sinistra italiana da quale anno, mese, giorno e – se possibile – ora esatta, é a conoscenza di torture e torturatori nei centri di detenzione libici ? Schlein, Bonelli, Fratoianni, Renzi (persino) non sapevano – magari via Gentiloni o Minniti o dal sempiterno Franceschini – se e cosa accadeva a Tripoli ? Non conoscevano il generale Osama Almasri Njeem in campo da una decina di anni? No, davvero ? Avevano bisogno della obliqua e discussa iniziativa della CPI ?  Suvvia.

Ps: con Bruno Vespa, diciamo cosi, non ho molta confidenza, anzi; ma sulla Ragion di Stato, ha ragione: pienamente ragione

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