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“Il mio rapporto con Mediaset era di fatto il mio rapporto con Pier Silvio Berlusconi, ci sentiamo ancora. Ora in Rai faccio un programma che mi piace. Il rapporto con la mia ex? Ho capito che vuol dire sbattere il mostro in prima pagina”: parla Chiambretti

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“C’è stato un qui pro quo e la barca era rimasta momentaneamente nel porto. Dopo la presentazione dei palinsesti, grazie ai dirigenti, hanno pensato bene di dargli il varo. Secondo me meritava una seconda edizione”, racconta Piero Chiambretti a FqMagazine. Lunedì 6 ottobre alle 20.15 “Fin che la barca va” tornerà in onda nell’access prime time di Rai3, reduce dal buon 5% di share della prima edizione e con un passaggio sotto Rai Cultura.

Cosa dobbiamo aspettarci?
“Il programma avrà pochissime novità, è andato in onda solo venticinque puntate, non ha bisogno di grandi variazioni. Al di là di piccoli ritocchi alla grafica, alla musica e al percorso, la differenza la fanno le domande e le risposte. Navigheremo sull’attualità del giorno e della notte, adattandoci alle situazioni cupe, gotiche, medievali e tragicomiche che viviamo tutti i giorni, ormai da anni, con le guerre in corso”.

In tv ci sono interviste dalla mattina alla notte, non teme l’effetto fotocopia?
“Ognuno ha il proprio X Factor, un modo di fare fortunatamente diverso. Il nostro genere è il tour show ma soprattutto l’infotainment. La scenografia non è di cartone ma è Roma di notte, c’è l’imprevedibilità delle domande e anche quella del meteo. Siamo fuori dallo studio, tornando alla Rai che ho navigato in tempi gloriosi”.

Che fine ha fatto la Rai3 dei tempi d’oro?
“Non è cambiata solo la tv, è cambiato il mondo. Guglielmi diceva che avevamo avuto la grande fortuna di fare una ‘televisione verità’ a cavallo di due secoli dove era successo di tutto. Erano caduti i partiti, il muro di Berlino, sembrava possibile la pace tra israeliani e palestinesi. Era una tv che lavorava sulla cresta dell’onda”.

Oggi le notizie non mancano.
“Ma la situazione nel mondo è totalmente diversa e la nostra tv corre dietro al delitto di Garlasco con una morbosità feroce. Una storia certamente rilevante, che potrebbe anche avere errori giudiziari, ma che viene utilizzata dalla televisione come dopante. Ovunque metti Garlasco gli ascolti crescono. È un bene per chi cerca i numeri e il consenso ma non è il modo migliore di fare tv perché bisogna parlarne quando e come è giusto farlo”.

Ha superato l’ansia del bollettino auditel delle dieci?
“Contro di noi ci sono tre telegiornali e sette ponti, quelli che attraversiamo durante la puntata. Credo nella tendenza del dato, sui numeri auditel oggi è diventato tutto meccanico e freddo, i calcoli vengono fatti scorporando le anteprime, i saluti, i baci (ride, ndr). Il dato delle dieci va preso per quello che è ma poi va dimenticato altrimenti vai solo alla rincorsa del consenso e quello non ti porta a fare cose di qualità”.

Ha detto che sognava Mattarella come ospite, lo ha invitato?
“Non ancora ma è chiaro che tutti vorrebbero avere figure come Mattarella o il Papa. Un Papa non l’ho mai avuto ma l’ho incontrato di persona: era Wojtyla. Era un incontro privato con altre persone ma avere a dieci centimetri il portavoce di Dio fu qualcosa di fortissimo, eccitante, inedito. Un Presidente della Repubblica l’ho incontrato: era Cossiga. Fu un incontro al buio alla Casina Valadier, un’intervista di trenta minuti senza esserci mai né visti, né sentiti, senza aver concordato nulla. Per me è stata un’intervista importante”.

Ci saranno i politici?
“Staremo sull’attualità, non è un programma politico ma che parla anche di politica con persone che vengono dal mondo della politica, ma anche osservatori esterni, giornalisti, editorialisti, psicologi, scrittori e anche artisti. Vogliamo semplicemente fare un programma, un tempo si diceva controcorrente, oggi sarebbe una parola troppo grossa. Noi abbiamo invitato tutti i leader della politica italiana di destra, di centro e di sinistra”.

Si parla tanto di TeleMeloni, com’è vista dall’interno?
“Sono tornato in Rai dopo quasi vent’anni e ci lavoro facendo un programma che mi piace, che non ha delle riserve di censura. Non sono certamente né un iscritto al centro-destra, né un iscritto al centro-sinistra, non ho una famiglia importante, non ho un Cardinale tra gli zii. La televisione come sempre è fortemente influenzata dai governi che l’hanno gestita, non è la prima volta, c’è sempre stata. L’importante è cercare persone competenti, il problema è quello. Lo diceva già qualcuno più importante di me, che nei tempi della lottizzazione classica: Rai 1 aveva la democrazia cristiana, Rai 2 aveva i socialisti e Rai 3 aveva i comunisti. C’erano molti raccomandati, ma la percentuale di persone brave e raccomandate era alta. Adesso è un po’ più bassa. Questa è la differenza”.

Lei è stato un innovatore ma da qualche anno la critica, Aldo Grasso in primis, l’accusa di fare sempre lo stesso programma.
“Mi dispiace che molti passaggi di quello che ho fatto non sono stati capiti, se fare dei programmi con delle interviste sono tutti uguali, allora hanno ragione loro, ma se i programmi con interviste sono fatti sistematicamente in modo diverso, dal titolo alla scena passando per temi e durata, allora non è la stessa cosa”.

C’è chi fa lo stesso programma per anni.
“Quando uno si vanta di fare lo stesso programma per trent’anni invece va bene. Il fatto che uno ne faccia tanti diversi ma nello stesso genere televisivo diventa lo stesso programma. È una superficialità che accetto volentieri ma io gioco la mia partita, il marchio è sempre lo stesso. Non devo raccontare quello che ho fatto ma ho fatto cose diverse che sono rimaste nella storia della televisione, alcune ampiamente riciclate da altri programmi e altri protagonisti. Ho portato, nel bene e nel male, nuovi personaggi in tv”.

Ne ha scoperti molti, sono tutti riconoscenti?
“Con me lo sono poi magari quando parlano con un giornale qualcuno lo dimentica. Non sono legato alla riconoscenza, nel nostro mestiere è un optional, è un sentimento lontano. Quando c’è fa piacere ma solo per affetto non perché voglio sentirmi migliore o peggiore di altri”.

“Donne sull’orlo di una crisi di nervi” è andato in onda in prime time su Rai3, lo considera un esperimento riuscito?
“Stava crescendo bene, arrivavo da quindici anni di Mediaset con un pubblico diverso. Ho dovuto ritrovare i meccanismi e cercare di capire quale fosse il pubblico nuovo di Rai3 che intanto si è trasformata. Ho lavorato su Italia1, Rete 4, Canale 5 e dove, a differenza di qualcuno, sono uscito per scelta mantenendo un rapporto ottimo e credo anche l’eventualità di avere una porta aperta per tornarci. Ma amo la Rai e spero di restarci”.

Quando è andato via da Mediaset ha comprato una pagina sui giornali per ringraziare l’azienda e Pier Silvio Berlusconi.
“L’ho fatto perché l’ho sentito come un piacere e un dovere. Il mio rapporto con Mediaset era di fatto il mio rapporto con Pier Silvio che qualcuno inquadrava ‘lavora in quanto suo amico’. Credo Pier Silvio abbia pochi amici, non so se posso ritenermi tale, ma io lavoravo e non per amicizia. Il piacere eventuale ce lo facevamo entrambi, ho curato quella parte di trasmissioni che non faceva nessun altro. Io ho ringraziato per il tanto lavoro e la tanta attenzione che lui ha avuto nei miei confronti”.

I rapporti sono rimasti ottimi anche dopo il passaggio in Rai?
“Sì, ci sentiamo sempre all’inizio delle mie avventure televisive. È sempre il primo a mandarmi un in bocca al lupo e io seguo con piacere i suoi successi. Quando sono andato via ho sentito proprio il bisogno di fare quello che avrei fatto con un amico, quindi ho preso una pagina del Corriere della Sera e l’ho ringraziato”.

Si parla spesso di una sua discesa in campo. Da “quasi amici” glielo consiglia o sconsiglia?
“Io sconsiglio a tutti di entrare in politica, è come entrare in un meccanismo infernale, un girone dantesco. Visto che di fondo è sicuramente una persona tenera, sensibile e attenta ai dettagli, non so quanto questo possa aiutare in politica. Porta un cognome ingombrante che potrebbe essere un vantaggio ma anche uno svantaggio. Se se la sente fa bene a farlo, se non se la sente lo faccia sua sorella (ride, ndr)”.

“Donne sull’orlo di una crisi di nervi” avrà una nuova stagione?
“E’ domanda alla quale non posso rispondere perché il mio contratto sulla carta si chiude con la fine della seconda edizione di Fin che la barca va. Bisognerà rincontrarsi con i dirigenti per verificare se Pierino Porcospino possa essere ancora utile alla televisione di Stato per la stagione 2026. Se fossi confermato la mia priorità resterebbe il programma in barca ma anche l’idea di una prima serata, come Donne sull’orlo di una crisi di nervi, o alcuni speciali che farei volentieri”.

È più sull’orlo di una crisi di nervi Giorgia Meloni o Elly Schlein?
“Io credo abbiano problemi entrambe. La Meloni può dormire sonni tranquilli perché non ha una vera rivale. Schlein è l’outsider con la frustrazione di questo ruolo, stare all’opposizione è più semplice ma si è frustrati proprio perché si sta all’opposizione”.

Le piacerebbe tornare a Sanremo, magari alla conduzione del DopoFestival?
“È una proposta che ho già fatto lo scorso anno e che ho sottoposto anche quest’anno parlando con qualche dirigente. Rispetto agli anni cui l’ho fatto io sono macchine chiuse, pacchetti chiusi nei quali viene definito tutto con molto anticipo. Penso sia stato già deciso il nome del conduttore del DopoFestival e non solo, quindi non credo sia stato accolto questo mio desiderio. Mi piacerebbe il DopoFestival più del Festival stesso che ormai deve andare avanti con questa impostazione di successo, con una costruzione più scientifica che creativa”.

Si è pentito di aver rifiutato la conduzione di Affari Tuoi?
“Assolutamente no, non per snobismo. Semplicemente perché non credo di essere il tipo giusto per fare dei quiz o dei giochi dove alla fine è più importante il gioco del conduttore, che serve per creare fidelizzazione. Ma i giochi sono protagonisti, invece io tendo, mio malgrado, a essere il protagonista”.

Ha detto “Dire che De Martino è un fenomeno è troppo”. Definirlo il nuovo erede di Arbore, Fiorello, Baudo lo ha danneggiato?
“Non esiste un altro Baudo, un altro Arbore e un altro Fiorello. Non esiste nemmeno un altro Marzullo (ride, ndr). Ognuno ha un suo stile, piace o non piace, ma sono etichette assolutamente fuori luogo per tutti, non solo per De Martino. De Martino è De Martino e quando non ci sarà De Martino ci sarà un altro, ma non sarà il nuovo De Martino. Ognuno fa la sua strada. L’ultima cosa democratica che c’è nel mondo è la televisione, dove possono lavorare tutti”.

La Ruota della Fortuna è il fenomeno della stagione, un titolo che ha quasi quarant’anni. Nuovo e vecchio sono categorie superate?
“È vero è un programma vecchissimo ma l’imprinting che è stato dato al programma lo rende contemporaneo. A partire dalla scena, elegante e moderna, da prima serata. Assicura leggerezza dopo le brutte notizie dei telegiornali, è la ruota della fortuna di Pier Silvio e di conseguenza anche di Gerry che ha creduto nell’operazione”.

L’anno prossimo compie 70 anni, cosa c’è in lei oggi di quel Pierino la peste?
“La curiosità, la voglia di rischiare e sperimentare è uguale. C’è una disillusione sulla su quello che un tempo era la priorità primaria di chi fa la televisione: l’operazione meritoria. La meritocrazia non è più al primo posto nella scelta credo di nessun lavoro possibile quindi mi sento più fragile, non avendo altro penso che molte volte quello che si fa non basta mai”.

A Fabio Fazio non ha risparmiato frecciatine, se la invitasse per festeggiare i 70 anni ci andrebbe?
“Non festeggio i compleanni e vorrei dire il giorno dei 70 che ne compio 100, così almeno qualcuno dice ‘te li porti bene’. È una domanda alla quale non riesco a rispondere. Probabilmente, proprio perché è una situazione assolutamente improbabile, mi verrebbe voglia di dire sì. Però mi astengo, diciamo che mi astengo”.

Lei è tifosissimo del Torino, la squadra non vive un momento semplice. Si aggiunge alla lista di chi chiede a Urbano Cairo di vendere?
“Sono d’accordo ma ci vuole qualcuno che compri. C’è un problema grosso e una frattura violenta, ma la domanda resta: vendere a chi?”.

Le battute sulla sua altezza le ha sempre vissute bene o ci ha sofferto?
“Sono il primo a farle per esorcizzare quelle degli altri. Le ho subite e patite solo a scuola, dove il nome Piero richiamava il famoso Pierino, al cinema, alle barzellette. Quello forse sublimava la battuta sull’altezza. Alla fine essere piccolo e dire delle cose grandi molte volte aiuta, perché se invece fossi stato grande e avessi detto cose grosse o provocatorie sarei stato menato. Invece così Pierino la peste…”.

Come ha cambiato la sua vita sua figlia Margherita?
“La mia vita è cambiata totalmente. Non avevo previsto una figlia e quando è arrivata è stata una sorpresa, oltretutto in età già avanzata. Non avendo avuto un padre, sapevo dentro di me tutto quello che mi mancava della figura paterna. Mettendo una specie di pilota automatico ho cercato di fare bene. Non si nasce padri, si nasce figli e io ho imparato rapidamente a fare, a dire, a comportarmi con mia figlia come avrei voluto mio padre si comportasse con me. Anche sentirmi sgridare da un padre che non ho visto e non ho conosciuto. Sono stato fortunato a diventare padre e sono diventato una persona migliore”.

Ha più volte raccontato il legame con sua mamma Felicita e il dolore per la sua perdita. Quali valori le ha lasciato in eredità?
“Beh, ci vorrebbe un’altra intervista per elencarli tutti. Direi la libertà di pensiero, l’indipendenza e poi l’ingenuità”.

Sono passati cinque anni, è riuscito a fare i conti con la sua assenza?
“Sinceramente no. Fortunatamente è arrivata Margherita che ha preso ovviamente il testimone. Si convive col dolore, non è vero che passa col tempo ma ti abitui al dolore. Non c’è giorno che in un momento di sovrappensiero dico ‘adesso devo chiamare mia madre per dire quella cosa’. E certe volte faccio anche il numero ma non risponde nessuno. C’è stato un giorno veramente tragicomico, faccio il numero e squilla il telefono. Peccato che il suo telefono fosse nella mia scrivania”.

Cosa la fa arrabbiare?
“L’ignoranza, la superficialità e il pressapochismo”.

Ha detto “Sono un brutto che piace”. La barca Chiambretti è ancora affollata?
“È ridotta anche perché essendo piccola affonda (ride, ndr)”.

Con la sua ex compagna Federica Laviosa, mamma di Margherita, è nato uno scontro finito in tribunale e sui giornali. Ha sofferto per la mediaticità del suo privato?
“È stata una cosa dolorosissima perché non lo meritavo ma più di me non lo meritava mia figlia. Un giorno cliccando su una qualunque pagina web potrebbe ritrovare quelle notizie che peraltro non corrispondevano nel modo più assoluto a come sono andate le cose. Quindi diciamo cornuto e mazziato. La cosa è stata superata ma ho sofferto tantissimo e ho capito cosa vuol significa sbattere il mostro in prima pagina. È stato un momento bruttissimo della mia vita in cui i giornali si sono comportati in modo scadente, resta il dolore se penso che mia figlia possa leggere tutto questo”.

C’è una cosa che le manca?
“No, sono fortunato. Il fatto che a quasi settant’anni mi posso alzare, posso fare delle cose, posso vedere mia figlia, posso addirittura lavorare in televisione, facendo quello che mi piace, senza preoccuparmi di cosa dire, cosa non dire, cosa posso chiedere di più? Solo la salute. Quello che si può chiedere è morire sani. Solo questo”.

L'articolo “Il mio rapporto con Mediaset era di fatto il mio rapporto con Pier Silvio Berlusconi, ci sentiamo ancora. Ora in Rai faccio un programma che mi piace. Il rapporto con la mia ex? Ho capito che vuol dire sbattere il mostro in prima pagina”: parla Chiambretti proviene da Il Fatto Quotidiano.




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