Una storia di migrazione che si conclude in modo inusuale quella che ha visto protagonista un 19enne ghanese di nome Amoako Kwadwo, il quale dopo due anni ha deciso di far ritorno a casa lasciando Padova."Qui non era come mi aspettavo, e allora tanto vale tornare dalla mia famiglia e provare a costruirmi un futuro in Africa", avrebbe detto il giovane, che è rimasto deluso ed amareggiato per quanto trovato nel nostro Paese, molto diverso rispetto alle sue aspettative, come riportato dal quotidiano il Messaggero. Quelle aspettative che lo avevano portato a compiere un viaggio durato circa 2 anni attraverso il deserto, il carcere libico, l"approdo a Lampedusa ed infine lo smistamento a Padova. Qui era stato collocato nell"hub di Bagnoli, noto per essere uno dei centri d"accoglienza più sovraffollati, ed aveva prestato il suo lavoro come raccoglitore di patate per due differenti aziende agricole. "Era un lavoro duro, per otto ore al giorno. I soldi che ho visto sono stati ben pochi: nel primo caso non sono stato pagato, nel secondo ho ricevuto 240 euro per un mese", ha raccontato Amoako.Una scelta, quella di tornare indietro, che non pare una novità, stando alle parole del presidente della onlus patavina don Luca Favarin. "Noi lo abbiamo accompagnato in questa sua scelta, come abbiamo fatto con altri ragazzi", riferisce il prete, "Negli ultimi due anni abbiamo supportato almeno cinque ragazzi che hanno fatto scelte di questo genere. Avevano tra i 20 e i 24 anni".Numerosi africani arrivano con false speranze, alimentate anche da chi lucra sul loro sbarco nel nostro Paese; in molti decidono di restare, qualcuno, come Amoako, preferisce fare dietrofront e tornare in patria.Per poter fare questo, il ghanese ha aderito al programma di rientro volontario assistito del ministero dell"Interno, che usufruisce di fondi europei creati ad hoc. Una volta coperte le spese di viaggio, per lui è arrivato anche un contributo di 1400 euro, col quale ha deciso di provvedere all"acquisto di 5 mucche per dare avvio a un allevamento nel suo villaggio. "Questo significa davvero aiutarli a casa loro. È la dimostrazione che c'è un percorso da fare a monte, nei Paesi d'origine di questi giovani, per evitare che vogliano emigrare", ha osservato don Luca Favarin.