"Se mi dite che il burqa è oppressivo, sono d'accordo con voi andrei oltre dicendo che è assolutamente ridicolo che delle persone debbano scegliere di andare in giro sembrando delle cassette per le lettere". Pensiero di Boris Johnson sul Telegraph di lunedì a commento del bando danese sul burqa. "Se una studentessa arriva a scuola o a una lezione universitaria sembrando una rapinatrice di banca" allora si dovrebbe poterle chiedere di toglierlo.Un intervento, quello dell'ex ministro degli Esteri inglese, che ha inevitabilmente innescato un mare di polemiche. Da parte del labour che per bocca del ministro ombra per le pari opportunità, la deputata Naseem Shah, ha parlato di commenti "non solo offensivi ma islamofobici", chiedendo che venga avviata un'indagine indipendente sull'islamofobia nel partito conservatore. Da parte degli stessi compagni di partito di Johnson, molti dei quali a partire dal presidente Brandon Lewis ne hanno preso le distanze chiedendogli di ritrattare. Da parte del governo stesso che dopo qualche ora di silenzio (causa di critiche anche verso Downing Street) ha chiesto a Johnson di scusarsi. Un passo indietro che l'ex sindaco di Londra, al momento in cui questo giornale andava in stampa, si è rifiutato di fare.La querelle non ha solo degli importanti risvolti sociali e di ordine pubblico. Ma deve essere decifrata anche con una lente d'ingrandimento politica. Non si potrebbe altrimenti comprendere perché Johnson, politico consumato e giornalista esperto (dopo le dimissioni dal governo May il Telegraph ne ospita una rubrica settimanale) abbia deciso di scrivere un articolo che, e ne era consapevole, gli avrebbe attirato le critiche dell'intero arco politico. Ma che gli avrebbe anche garantito la pubblicità delle prime pagine dei giornali in queste settimane di calma apparente della politica inglese, con il parlamento chiuso e molti politici in ferie.Che succederà, infatti, al rientro dalle vacanze? Il premier May ha dimostrato una notevole resilienza alle enormi difficoltà imposte dal negoziato per la Brexit. E lo scorrere dei giorni gioca a suo favore: un nuovo primo ministro avrebbe troppo poco tempo per condurre in porto le trattative con Bruxelles. Tuttavia c'è chi ritiene che a settembre si farà avanti chi vorrà defenestrare May e impostare dei negoziati molto più duri con l'Ue. E fra chi non ha mai nascosto le proprie ambizioni politiche c'è proprio Boris Johnson.Figura divisiva come poche altre nell'ambito del panorama politico inglese, sbeffeggiato o incensato ma mai anodino, la mossa di Johnson mira a intercettare l'elettorato del defunto Ukip, il partito che fece del referendum per la Brexit la sua causa di vita e che dopo la vittoria del giugno 2016 implose. Ma qualcosa sta cambiando: da quando May ha svelato a Chequers il suo piano per la Brexit, criticato soprattutto dagli antieuropeisti, i sondaggi danno l'Ukip in recupero, accreditandolo dell'8% delle intenzioni di voto. Lontano dai successi del 2016 ma pur sempre determinante per vincere la corsa alla leadership dei Tory. E la gara con il Labour alle prossime elezioni.
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