Usare l'oro della Banca d'Italia per scongiurare gli aumenti Iva previsti dalle clausole di salvaguardia? E magari anche una eventuale manovra bis se i conti, causa recessione tecnica nella quale è sprofondata l'Italia, non dovessero tornare dopo l'accordo lungamente negoziato con Bruxelles per varare la manovra economica. È una voce che circola in questi anni di stagnazione italiana e che è tornata alla ribalta sulla scia di una proposta di legge di matrice governativa che intende innanzitutto ribadire che il proprietario delle riserve auree è lo Stato italiano mentre la Banca d'Italia ne ha solo la detenzione fisica e gestione.

Sipario a ritroso, anno 2014: la deputata Carla Ruocco (M5s) chiede al governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco: «Dov'è finito l'oro della Banca d'Italia». E il governatore Visco: «È in Banca d'Italia». Poi, nel settembre 2018, compare un post di Beppe Grillo che, stante la grande riserva aurea della BdI, quarta al mondo dopo quelle della Federal Reserve americana, della Bundesbank tedesca e del Fondo monetario internazionale, si chiede se non si possa prendere in considerazione la eventualità di usarne una parte, magari venderne parte nel contesto del Central Bank Gold Agreement che disciplina la vendita di oro delle banche centrali su base quinquinnale, profittando del prezzo in salita della attuale congiuntura. A fine 2018 è stato il deputato leghista Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio alla Camera, a proporre un testo di legge che chiarisca che «la proprietà dell'oro era ed è dello Stato italiano».

Ma perché, a chi altri appartiene se non agli Stati che lo affidano in gestione alle proprie banche centrali? Nei Paesi che hanno sovranità monetaria la domanda nemmeno si pone; ma la cornice dei trattati e statuti che regolano questa materia nell'Eurosistema della moneta unica, secondo Borghi, «ha finito col rendere la Banca d’Italia un coacervo giuridico» tale che crede necessario «riportare l’esegesi della normativa nazionale, in conformità con quella euro-unitaria, in una situazione di certezza e chiarezza». Nel rispetto degli obblighi internazionali derivanti da trattati, dunque, «la disposizione relativa all’attività di gestione non appare sufficientemente esplicita nel sottolineare la permanenza della proprietà delle riserve auree allo Stato italiano e una specificazione su questo punto si rende necessaria» dal momento che la norma è da interpretarsi nel senso che il diritto di proprietà delle riserve auree appartiene allo Stato mentre la Banca d’Italia è competente solo per gestione e detenzione. La proposta di legge ha iniziato il proprio percorso parlamentare in Commissione Finanze a dicembre ed è attesa ora all'iter di approvazione, relatore è Raphael Raduzzi (M5s).

La Banca d'Italia è il quarto detentore di oro al mondo. Le riserve auree (dati BdI) ammontano a 2452 tonnellate (metriche), delle quali 4,1 sotto forma di moneta (si tratta di 871.713 pezzi di cosiddetto «oro monetato») e tutte le altre sotto forma di lingotti. Per quanto riguarda la dislocazione geografica, in Italia sono custodite, sempre secondo dati BdI, nei caveaux 1100 tonnellate pari al 44,86% del tesoro aureo dello Stato italiano, mentre il restante è custodito negli Usa (per il 43,86%), Svizzera (6,9%) e Gran Bretagna (5,6%). Le riserve auree della Banca d'Italia sono parte integrante delle riserve valutarie ufficiali del Paese. Molti Stati, in ultima istanza i proprietari per conto della collettività nazionale dell'oro affidato alle rispettive banche centrali, conservano parte del patrimonio in oro all'estero per scongiurare il trafugamento in caso di occupazione straniera, rischio corso per esempio proprio da Via Nazionale in seguito all'occupazione tedesca di Roma nell'ultima guerra mondiale. Altre 141 tonnellate d'oro sono state conferite nel 1999 alla Banca centrale europea (Bce) in base all'art.30 dello statuto Sebc (Sistema europeo delle banche centrali e della Bce). Riserve detenute ai sensi del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e del Sebc, che includono la detenzione e la gestione delle riserve valutarie ufficiali tra i compiti dell'Eurosistema. Il D.Lgs n.43/1998 sulla partecipazione della BdI al Sebc dispone che: «La Banca d'Italia provvede in ordine alla gestione delle riserve ufficiali, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 31 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea». Le riserve valutarie ufficiali possono essere detenute e gestite esclusivamente dalle banche centrali dell'Eurosistema.

L’obiettivo della proposta di legge è «assicurare chiarezza interpretativa in quanto la disciplina europea, richiamando esclusivamente la materia della detenzione e della gestione delle riserve ufficiali da parte delle banche centrali nazionali, lascia al diritto nazionale la determinazione della questione della loro proprietà». L'articolato eurocomunitario, continua il testo, non interviene «circa la proprietà e il titolo in forza del quale le banche centrali nazionali detengono le riserve, comprese quelle auree, lasciando così sul campo del diritto domestico la determinazione della questione».

In base alle regole contabili adottate dell'Eurosistema, si valuta l'oro della Banca d'Italia ai prezzi di mercato a fine esercizio iscrivendolo a bilancio della BdI per il suo valore corrente. In caso di aumento del prezzo dell'oro quindi si rivaluta la riserva patrimoniale. Un valore elevato è stato raggiunto a ridosso della crisi del debito, all'indomani del 2008, ovvero nel biennio 2010-2012 quando l'oro ha rappresentato un valido strumento di protezione per il bilancio della Banca d'Italia e una garanzia per il Paese. Al momento il prezzo dell'oro è nuovamente in crescita. Per tutti gli Stati l'oro rappresenta uno strumento per contenere i rischi finanziari e le recenti crisi hanno mostrato questa caratteristica anche in virtù dell'aumento del prezzo in contesti di instabilità e avversione al rischio.

Questo è in effetti uno degli scopi delle riserve auree. In base alle condizioni che attraversa il proprio Paese, le banche centrali accumulano oppure vendono oro per ottenere finanziamenti e liquidità. L'oro italiano è stato accumulato in gran parte dopo la I Guerra Mondiale, le cui spese avevano fortemente gravato sulle casse dello Stato. Tuttavia i cospicui afflussi di valuta estera di cui beneficiò l'Italia nel primo dopoguerra, in gran parte grazie alle esportazioni, usuale punto di forza dell'economia italiana, furono utilizzati per acquistare oro. In una crisi valutaria o di risorse, la banca centrale può usare l'oro per rilanciare la fiducia, o come garanzia per ottenere credito e prestiti o – extrema ratio – venderlo. Già negli anni Settanta l'oro della Banca d'Italia fu effettivamente usato come garanzia per operazioni di credito con la Bundesbank tedesca.