Poiché si sa che alla fine di un viaggio c’è sempre un viaggio da ricominciare, con questo numero inizia un nuovo capitolo nella storia di Vogue Italia. Il mondo cambia sempre più in fretta e così deve fare un giornale come il nostro, che ha l’innovazione ben scritta nel proprio Dna. Lavorando con il nuovo direttore creativo Ferdinando Verderi a questo progetto, abbiamo pensato ai vari piani che compongono il nostro edificio, a come renderli più accoglienti e funzionali.

Il primo piano e più importante, come sempre, è quello della moda, con la sua capacità di commentare l’attualità, e della fotografia, linguaggio universale che questo giornale ha sempre scelto per raccontarla – avvalendosi della visione dei migliori fotografi e stylist. Ad essa, oltre gli spazi consueti (nessuno dedica ai servizi di moda, in percentuale, lo stesso numero di pagine), sono ispirate due nuove rubriche: Vince Aletti ogni mese racconterà un’immagine che ha influenzato la moda “dall’esterno”; Giovanni Montanaro scriverà un racconto liberamente ispirato a uno scatto scelto tra i lavori dei ragazzi di Photo Vogue.

Il secondo piano è la qualità di scrittura. Avere testi di alto valore richiede tempo, spazi, competenze ed energie (anche economiche): per questo ora più che mai siamo convinti facciano la differenza, come e forse persino più delle grandi foto. È un percorso intrapreso due anni fa, che oggi raggiunge un nuovo livello di consapevolezza. Un esempio per tutti il testo scritto per Vogue Italia da Bret Easton Ellis: vent’anni dopo il suo best seller Glamorama, Ellis torna nel mondo della moda per raccontarne vizi e ipocrisie ai tempi di social media, millennials, inclusivity, diversity. Non farà piacere sentirselo dire, ma è utile, perché solleva alcune questioni, piccole e grandi, che non possono essere liquidate: sicuri che democratizzare la moda non significhi spegnerne il sogno? Sicuri che la prossimità che suggerisce Instagram non sia in fondo un truffa, e un antidoto al desiderio? Che accoglienza riceverebbe oggi un vero disruptor come il giovane Alexander McQueen, con le sue provocazioni di sesso e sangue?

Il terzo piano è una nuova veste grafica. Tre le parole guida. Rispetto: delle immagini e assieme dei testi; gerarchie: non tutti gli elementi in pagina hanno la stessa importanza; flessibilità: non esistono schemi fissi, le foto possono essere piccole o molto grandi, i testi lunghi oppure minimi, perché il contenuto deve determinare lo spazio. Poiché tutti noi siamo ormai abituati alla lettura su schermo, Verderi ha immaginato un layout che ne riproduce alcuni meccanismi: le pagine a inizio giornale, e quelle della sezione Beauty, sono infatti concatenate tra loro come se fosse possibile fare uno scroll tra di esse (orizzontale come nei tablet, verticale come negli smartphone) – c’è infatti sempre un elemento, di testo o di immagine, che “lega” alla pagina successiva, creando così un flusso di senso ininterrotto. Forte di un ecosistema digitale in continua espansione, il nostro giornale oggi ribadisce tutto il suo orgoglio cartaceo. Con una serie di interventi fatti a mano (come le lettere in copertina, ma persino i simboli della pagina dell’oroscopo sono piccole sculture prodotte ad hoc!). Con esperienze di lettura che ricordano quelle di un libro (vedere i racconti nelle ultime pagine). E con un carattere tipografico creato per il giornale che si deforma in modo sempre differente, cosicché la stessa parola sia diversa, ogni volta che viene scritta.

Il quarto piano sono i contenuti digitali, sempre più destinati a essere intrecciati a quelli cartacei: non si pensano in un secondo momento per promuovere il giornale, ma nascono contemporaneamente, o addirittura prima. Ne vedrete presto ulteriori esempi. Intanto, #vogueitaliapodcast per ascoltare i contenuti di questo numero, anche nelle versioni originali in inglese.

Il quinto è il fatto che (spesso ma non sempre) il giornale avrà un filo conduttore: in questo numero, il Dna. Un dibattito, con le sue implicazioni etiche ed estetiche, rilevante per la moda (ci sono marchi che assecondano le proprie origini, altri che le reinventano), ma in generale per tutti, come dimostra il fenomeno pop dei test che con pochi dollari permettono di tracciare la propria mappa genetica – si tratta in fondo di capire quale parte del nostro destino era già scritta, quale invece possiamo ancora determinare.

Alla fine, come sempre, come tutti i giornali, anche Vogue Italia vale per le storie che sa raccontare (con parole e immagini), per la qualità del suo giornalismo. E di storie è ricco questo numero. C’è quella di una profezia da cui parte un viaggio alla ricerca dei luoghi dove gli uomini, con la scienza, la filosofia, la fede o il coraggio, sfidano la morte. C’è una modella che scopre le bizzarre rotte del suo patrimonio genetico e un’altra che ha sempre saputo qual è casa. C’è un ritratto di famiglia in un paese di terra e vento, il matrimonio di una principessa davanti a 48 teste coronate. E c’è l’incredibile parabola di una ragazzina che guardava le stelle nella sua casa in mezzo al nulla, e poi sarebbe diventata una famosa modella, e infine sarebbe stata davvero felice solo dopo aver cambiato sesso, tornando a sfilare sulle passerelle stavolta maschili. Ha imparato, spiega, che il mondo in fondo è ciò che ciascuno di noi decide di farne.