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Июль
2019

Vecchioni: «Studiate greco e latino, è un’arma»

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La scuola, e gli esami, sono finiti. C’è chi non studierà più il greco e il latino, con sollievo, e chi insisterà. Chi ha gli esami a settembre e davanti un’estate di ripetizioni. E chi, come Roberto Vecchioni, il 18 luglio sarà al Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza per la prima edizione del Festival dell’Antico (una tre giorni dal 19 al 19 luglio). Qui, accompagnato da Massimo Germini e Lucio Fabbri, potrà raccontare e cantare il suo ultimo album, L’infinito, che contiene il brano Vai, ragazzo, invito rivolto proprio ai più giovani a riscoprire l’attualità dell’«antico» da conoscere attraverso gli studi classici.

Professor Vecchioni, sembra che lei faccia scelte anacronistiche: il suo album è uscito lo scorso ottobre e diventato Disco D’Oro con oltre 25 mila copie vendute in due mesi senza piattaforma streaming e download. Perché non lo ha pubblicato online?
«Non è stata solo una scelta romantica, ma mirata. Questo disco era una cosa unica, un libro, qualcosa da fruire intera. Ogni canzone porta dentro all’altra».
È contro la tecnologia?
«No, assolutamente, Internet lo uso. Ma in questo caso non serviva. Questo album era un vinile e un cd».
Le avranno fatto l’obiezione che online si arriva a più persone.
«L’operazione più popolare che ho fatto nella mia vita è stata andare a Sanremo (ha vinto il Festival nel 2011, con la canzone Chiamami ancora amore, ndr), e non era scontato per uno come me. Lì c’è stato sicuramente uno scatto di popolarità, oltre un milione di contatti, e sono riuscito a portare a un pubblico più grande il mio messaggio, ossia che le cose del mondo si possono leggere anche in un altro modo. Le persone che consumano la musica sulle piattaforme di streaming, guardano foto su Instagram, hanno fretta, lo fanno mentre fanno altro, sono velocissime. La mia invece è una dimensione lenta, non si mangia e digerisce, si deve ruminare. Alcuni dicono che sono retorico, o dell’Ottocento. Con questa gente non c’è dialogo. Io sono per la gente curiosa, in moltissimi mi hanno scritto messaggi contenti che avessi fatto il vinile, perché è una piccola presa di posizione, di chi vuole rimanere con i piedi ancorati nella bellezza. E si tratta di un pubblico in aumento».
Il suo tour primaverile era sold out, chi è il suo pubblico quindi?
«Il 14 luglio, a Omegna, sul Lago d’Orta, c’erano quattromila persone. Gente che viene proprio per quello, per ascoltare, fermarsi a pensare, gioire del bello della vita. È qualcosa che non si può fare in Tv, con la gente che va e viene. È una magia che succede tutte le volte in aula, in una conferenza, a scuola, nei festival, perché solo lì si crea un mondo. Si legge il pianto spaventoso di Fedra per Ippolito, si costruisce il personaggio e si fa capire quanto è vicino alle donne in carne ed ossa che ci sono lì in quel momento. Le persone tornano a sentirsi privilegiate, con in mano un nuovo filtro, che è quello del sapere. Un’arma fortissima, che a volte è una corazza per difendersi, altre è un cannocchiale lunghissimo che ci fa guardare indietro per poter capire il presente».
È per questo che in Vai, ragazzo, invita i ragazzi a riscoprire gli studi classici?
«Trasmettere la passione per i greci e i latini è il tema della mia vita, ho sempre avuto voglia non solo di apprenderle ma anche di ridarle quelle cose, per questo ho insegnato trent’anni lettere classiche. Quello che cerco di far capire che il greco e il latino non sono esercizi da tradurre, ma un mondo da scoprire. La conoscenza fa star bene, è un’arma – segreta – in più. La canzone è un invito a imbracciare quest’arma, e ha anche due strofe in greco. Oggi siamo in un mondo che è tutto greco: sono gli ateniesi che ci hanno insegnato a vedere il mondo come una cosa unica e la voglia di conoscere gli altri. Che la vita è fatta di aggregazione e accettazione del diverso ce lo hanno detto per primi i greci nel quinto secolo avanti Cristo. Insieme al concetto di politica come fatto pubblico, di mare come passaggio per arrivare agli altri, e cognizione del diverso sono idee che sembrano del Novecento e che oggi fanno fatica ad affermarsi».
Lei si è laureato il Lettere Classiche nel 1968 all’Università Cattolica di Milano. Che cosa ricorda di lei studente?
«Ero sommerso dai libri, che erano la sola cosa che esisteva. Andavo in biblioteca e mi documentavo su volumi tedeschi, francesi. All’epoca non c’era molto in italiano sulle lettere classiche».
È nato a Carate Brianza da genitori napoletani. Da chi ha preso la passione per i classici?
«Non da loro, ma dagli insegnanti del liceo. Anche se, quando avevo 11 anni, tutto è nato perché ho scoperto in casa un libretto di greco di mio padre. Lui mi disse: “Lascia stare, è una cosa difficilissima”. Io invece lo tenni, e di notte, sotto le coperte, perché mio fratello non voleva che tenessi la luce accesa, tentavo di capire. Ho imparato così, da autodidatta. Al compleanno dei 12 anni ho chiesto a mio padre come regalo un vocabolario di greco. Per anni ho letto e tradotto da solo, quindi arrivato in quarta ginnasio non avevo bisogno di vocabolario».
Per i suoi insegnanti sarà sembrato un genio.
«Prendevo sempre 9 in greco, a volte 10, ma dissimulavo».
In che senso?
«Non volevo apparire secchione, così anche se finivo prima le versioni, consegnavo con gli altri. Nessuno poteva sapere che traducevo senza vocabolario, e io non lo dicevo».
Passava i compiti ai compagni, aiutava?
«La mia è tutta una vita a passare compiti. Tuttavia lo studio del classico era un gioiello mio, ne ero geloso. Non riuscivo a confrontarmi con i miei compagni. Vedevo il mondo a modo mio, e lo scrivevo. Ho scritto una quantità enorme di commenti su quello che leggevo e mi si apriva la conoscenza del mondo. Ero molto timido anche a vent’anni».
Quanti libri ha in casa, adesso?
«Non saprei dire. Sono sepolto vivo dai libri. A parte alcuni saggi di 50, 60 anni fa, che conservo gelosamente e che non permetto a nessuno di toccare, periodicamente me ne disfo, perché non ho spazio. Con il tempo mi sono organizzato regalandoli a un paio di associazioni che hanno la loro biblioteca. Bisogna anche considerare che sono nella giuria del Campiello, e ogni anno ricevo qualcosa come 400 libri da leggere».
Altre collezioni?
«Soprattutto vinili e cd, ho un’ottima collezione di musica antica, arie, dal medioevo fino al barocco».
Oggi è nonno, come trasmette la passione per la conoscenza alle sue nipoti?
«Anche se sono stato un padre abbastanza assente, perché ero sempre in giro, cerco di fare con le mie nipoti come ho fatto con i miei figli, quindi provo a lasciare delle briciole di curiosità. Con i miei figli ho dato tantissimo nei colloqui, nelle discussioni, con le mie nipoti regalo favole, che sono importantissime, e loro hanno una straordinaria propensione per la lettura. Gli ho già raccontato l’Iliade e l’Odissea. Guardano anche la televisione, certo, però ci sono dei momenti magici anche con loro, che sembrano usciti da un mondo antico, appunto».
Ad esempio?
«La sera, dopo mangiato, quando siamo in campagna, mi dicono “nonno, vorremmo sentire una storia”. Una nuova, o magari una di quelle che hanno già sentito, e che vogliono risapere. Come il mito di Narciso, il loro preferito, che si specchia nell’acqua e ci cade, la ninfa Eco lo ama ma perde pian piano la voce… Storie insomma in cui c’è un amore che non riesce a realizzarsi, e che finisce con una punta di dolore e della malinconia. O meglio: a volte cambio i finali per loro, e gli dico che resteranno per sempre insieme».

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