I prodotti Ikea che fanno del bene
Quel momento a un certo punto arriva. Per quanto tu faccia, per quanto gli affari vadano bene, per quanto i tuoi prodotti siano belli, hai bisogno di incidere di più, di cambiare davvero le cose, di far sì che il mondo diventi un posto migliore. E così grandissime realtà che macinano profitti da capogiro si stanno sempre più impegnando nell’imprenditoria sociale. Un esmepio su tutti Ikea, che ormai da anni coinvolge artigiani local, spesso intrappolati in piccole comunità economicamente traballanti, per dar loro occasioni di sviluppo. Ed è evidente che se una multinazionale si muove lo fa con un peso importante, capace di cambiare davvero il corso delle cose.
Nascono allora collezioni che, dietro a una bella estetica, hanno anche appassionanti storie che, quando le si scopre, danno un valore diverso, decuplicando il senso dell’acquisto.
Un esempio ne è Tilltalande, una collezione di tessuti preziosi fatti a mano, progettati per creare integrazione attraverso il lavoro (nella foto). Tahani Al Khatib, un’artigiana palestinese, ha collaborato con Ikea e con la Jordan River Foundation per aiutare un gruppo di donne rifugiate in Giordania. Oggi sono più di 100 le artigiane che fanno parte dell’iniziativa, un numero che raddoppierà durante il 2019 e che dovrebbe raggiungere le 400 unità entro la fine del 2020. Sono loro che hanno co-creato prodotti speciali, collezioni in edizione limitata disponibili nei negozi Ikea.
«Avviato nel 2012, il programma Social Entreprenurship initiative», spiega Vaishali Misra, Business Leader Social Enterpreneurs di Ikea, «conta ora diverse partnership con organizzazioni sociali, che impiegano artigiani locali in comunità vulnerabili di tutto il mondo, dalla Thailandia all’India, Italia compresa. Ogni Paese ha le sue emergenze e noi vorremmo riuscire a dare una mano concretamente. Non vuole essere beneficenza, ma vero business: alle persone del posto facciamo dei training per meglio ottimizzare i loro processi produttivi, insegnamo loro la gestione economica e diamo loro degli strumenti per la distribuzione. Il nostro scopo è che le donne trovino una loro posizione sociale e per questo facciamo mentoring e, dopo un supporto iniziale, seguiamo i vari passaggi, facendo sempre i garanti verso l’estaerno. Non li lasciamo mai soli e nei nostri negozi continuiamo a vendere i loro manufatti. Spesso abbiamo delle partnership con ong locali, che ben conosconoi gruppi emarginati e le comunità più vulnerabili delle diverse aeree del mondo».
Tra queste collaborazioni la più recente è quella stretta con Ashoka, un’organizzazione che supporta le imprese sociali da oltre 35 anni, e che ora promette grandi cose. Già ben avviata invece quella con Industree, con cui in India Ikea ha supportato un vero business usando la fibra di banana: «Meno di un anno fa», racconta Kavitha Nagaraj, tessitrice di cesti e oggi controllore di Industree, «non avevo mai tessuto nulla, figuriamoci un cesto di corteccia di banana. In questi 12 mesi ha imparato tutte le parti del processo di tessitura e ora sono responsabile del controllo qualità presso l’hub di produzione Industree di Madurai. Guadagnare un reddito regolare rende la vita di tutti i giorni decisamente meno stressante e ci dà la possibilità di mandare i nostri due figli in una buona scuola». Fino ad ora da questa cooperazione sono nate sette collezioni e più di mille artigiani hanno preso parte alla produzione. «Per noi di Ikea sfidare noi stessi e i nostri metodi consolidati di lavoro per un progetto così appassionante è una forza trainante importante», conclude Vaishali Misra, «Collaborare con le imprese sociali ci dà la possibilità non solo di contribuire all’uguaglianza, all’inclusione e ai mezzi di sussistenza decenti per queste persone, ma ci offre l’opportunità di imparare molte cose, creando un vero business più circolare e sostenibile».
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