I primi Millennials (i nati nel 1981) erano appena adolescenti quando Friends appariva sugli schermi televisivi nel 1994. Un anno dopo, la sigla della serie, I’ll Be There For You dei The Rembrandts, è stata in cima alle classifiche di tutto il mondo per settimane, con l’indimenticabile attacco “So no one told you life was gonna be this way/ Your job's a joke, you're broke/ Your love life's D.O.A” (“Quindi nessuno ti ha detto che la vita sarebbe andata così / il tuo lavoro è uno scherzo / la tua vita amorosa è clinicamente morta”). Sia la canzone che la serie offrivano un antidoto semi perfetto a queste inevitabili difficoltà: un gruppo di amici che si ritrovano ogni giorno per ridere e piangere insieme della vita.

Il cast di Friends

The Cast Of Friends 1999 2000 Season From L R: David Schwimmer Jennifer Aniston Courteney Cox Ar

Il cast di Friends
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Allora, com’è possibile che quella cresciuta con questa sitcom - da cui abbiamo imparato che gli amici sono la nostra ancora di sopravvivenza - sia diventata oggi la più solitaria delle generazioni? Secondo una ricerca di YouGov pubblicata in luglio (su un campione di 1.254 adulti americani dai 18 anni in su), il 30 per cento dei Millennials ha dichiarato di essere spesso o sempre solo, contro il 20 per cento della generazione X e il 15 per cento dei Baby Boomer. Il 27 per cento dei Millennials intervistati ha dichiarato di non avere amicizie strette (anche se il 70 per cento ha dichiarato di avere almeno un migliore amico/a). Ancora più sorprendente, il 22 per cento ha detto di non avere nessun amico/a.

I social media sono i responsabili di questa solitudine?
«Queste statistiche non mi sorprendono e non sono molto diverse da quelle delle generazioni precedenti», dice a Vogue Aminatou Sow, una delle due conduttrici del podcast Call Your Girlfriend e coautrice (insieme ad Ann Friedman) di Big Friendship (che uscirà per Simon & Schuster nel 2020). «Non è che gli americani siano più soli, ma c’è un vero gap tra il numero di amici che abbiamo e i legami che percepiamo. Sospetto che, sebbene non sia la tecnologia a creare la solitudine, sicuramente la esasperi».

Fleabag a sinistra Phoebe Waller-Bridge, a destra Andrew Scott

FLEABAG, from left: Phoebe Waller-Bridge, Andrew Scott, (Season 2, ep. 202, aired May 17, 2019). photo: ©Amazon / courtesy Everett Collection

Fleabag a sinistra Phoebe Waller-Bridge, a destra Andrew Scott
Everett Collection Inc/Alamy Stock Photo

Grazie a Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat, oggi abbiamo molti più "amici", ma questi amici non sono lì, seduti sul nostro divano a lamentarsi delle loro relazioni, bensì ci stanno taggando in qualche meme e stanno commentando i nostri post. I social media hanno sicuramente allargato il nostro circolo di amicizie, ma l’hanno anche drasticamente diluito. Delle centinaia e centinaia di "amici" che abbiamo, quelli che mettono like o commentano regolarmente le nostre foto non sono necessariamente le persone alle quali ci rivolgeremmo in un momento di crisi.

Allora, di quanti amici abbiamo davvero bisogno?
Secondo Robin Dunbar, antropologo evoluzionista e autore di How Many Friends Does One Person Need? (Faber) non saremmo in grado di avere relazioni rilevanti con un tale numero di persone (quellle che chiamiamo "amici" sui social) neanche se lo volessimo. Basandosi sulla comparazione della grandezza del cervello umano con quello di mammiferi più grandi, Dunbar ipotizza che ci sia un numero finito di amici che possiamo gestire, che l'esperto organizza in "strati" a seconda della profondità emozionale. Stima che nel nostro strato più intimo, ad esempio, c’è spazio per un numero massimo di cinque amici, quelli che chiameremmo in caso di bisogno. Nello strato successivo, c’è spazio per altri 10. Nel terzo strato, ce n’è per 35 e in quello finale abbiamo spazio per altri 100, il che significa che l’estensione massima della nostra rete arriva a 150 persone (l’ha chiamato il numero di Dunbar).

A causa della predominanza dei social media nelle nostre vite, in effetti, è possibile che occupiamo più tempo a nutrire queste relazioni superficiali - i 35 nel terzo strato, o i 100 e più nell’ultimo strato - piuttosto che quelle con gli individui preziosi del primo strato. Nonostante ci impegniamo con una rete di contatti più ampia, se il primo strato viene a mancare, è facile che ci sentiamo soli.

Sex and the City

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Nel 2015, Taylor Swift ha sbandierato il suo esclusivo primo strato, cha ha chiamato la sua "squad", un gruppo di amici celebri che erano visibilmente presenti l’uno per l’altro. Quattro anni dopo, in un pezzo intitolato "30 cose che ho imparato prima di compiere 30 anni" per Elle, la leader della squad ha ammesso che i gruppi di amici che sembravano così solidi nei suoi 20 anni si erano allontanati: «È triste, ma a volte, quando crescete, certi rapporti finiscono».

Martha Hunt, Kendall Jenner, Serena Williams, Taylor Swift, Karlie Kloss, Gigi Hadid and Cara Delevingne onstage nel 2015 durante il The 1989 World Tour a Hyde Park

Taylor Swift The 1989 World Tour Live In London

Martha Hunt, Kendall Jenner, Serena Williams, Taylor Swift, Karlie Kloss, Gigi Hadid and Cara Delevingne onstage nel 2015 durante il The 1989 World Tour a Hyde Park
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Stiamo mettendo noi stessi prima dei nostri amici?
La studiosa comportamentista Sarah Hopwood propone un altro punto di vista. Secondo lei, non necessariamente abbandoniamo le nostre relazioni, ma scegliamo di dare la priorità alla nostra crescita individuale piuttosto che alla nostra relazione con gli altri. «In questa società capitalista e neoliberista, abbiamo creato una cultura estremamente individualista in cui il successo e la riuscita sono percepiti come il risultato di azioni o comportamenti individuali. La realizzazione e il benessere personali sono posti su un piedistallo, al di sopra del nostro ruolo interpersonale nella società e dei nostri legami con gli altri. Da qui, la crescita della cultura del wellness»

Al contrario della "squad" da sogno di Swift, la maggioranza delle immagini che vediamo sui social media sono di persone sole, che si fanno selfie in palestra, provano nuovi make-up nella loro stanza da letto, o lavorano freneticamente. Sotto questo regime di self-improvement, può darsi che ci aspettiamo troppo poco dai nostri amici e troppo da noi stessi. «Ci guardiamo intorno e tutti sembrano fantastici: occupati e sempre di corsa verso le attività o gli impegni successivi», continua Hopwood «quindi non sentiamo che possiamo rivolgerci alle persone e ci comportiamo nello stesso modo, riempiendo la nostra vita di distrazioni, ma perdendo i legami stretti. Nella nostra cultura, il malessere è visto come una debolezza invece che come una normale parte della natura umana».

Come appare l’amicizia dei Millennials?
Nonostante i Millennials siano cresciuti negli Anni ’90 con sitcom come Friends e Sex and the City, che vendevano la fantasia di una famiglia urbana sostanzialmente sicura
, gli show televisivi che questa generazione ha prodotto narrano una storia molto più in linea con le statistiche di YouGov. Nell’ultima stagione di Girls di Lena Dunham, il gruppo si è sfaldato, lasciando solo Marnie e Hannah attaccate ai resti della loro amicizia in una scomoda lotta per il potere. Fleabag, di Phoebe Waller-Bridge, per molti è stato la più fedele descrizione dell’esperienza dei Millennials di trent’anni e qualcosa e la sua protagonista si descrive, ed è descritta dalla sua psicoterapista, come «Una ragazza senza amici e dal cuore vuoto». Fleabag sarebbe tra il 22 per cento che non ha neanche un amico, eppure è l’anti-eroina della generazione dei Millennials.

Lena Dunham (Hannah) e Alison Williams (Marnie) in Girls

Girls

Lena Dunham (Hannah) e Alison Williams (Marnie) in Girls
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Perché gli amici intimi sono importanti per un futuro felice?
Nel 2017 una articolo accademico sulle relazioni ha comparato due studi - il primo ha coinvolto più di 270.000 persone da più di 100 paesi; il secondo 7.500 persone più anziane, in età di pensionamento, nei soli Stati Uniti. William Chopik, autore, ricercatore in psicologia e direttore del Close Relationships Lab alla Michigan State University, ha scoperto che avere amici intimi è un fattore ancora più importante della famiglia nella vita adulta, per quanto riguarda la felicità e il benessere. «Avete mantenuto queste persone vicine perché vi hanno reso felici, o almeno hanno contribuito in qualche modo al vostro benessere», ha dichiarato al Time magazine

«Nel corso delle nostre vite, lasciamo estinguere le nostre amicizie più superficiali, mentre quelle che restano sono le più influenti».

Alla luce degli studi di Chopik, i numeri recenti di YouGov costituiscono una preoccupazione - è chiaro che, per puntare alla felicità a lungo termine, le priorità dei Millennials devono cambiare. Allora, la prossima volta che state uscendo per un caffè, magari lasciate lo strato superficiale dei vostri amici nel telefono, e chiamate la vostra cerchia più intima, passando qualche ora sul divano a parlare di come migliorare il mondo.