Tumori al seno: nella Marca otto donne al giorno in sala operatoria per smaltire le liste
Il lavoro dell’unità operativa dell’Usl 2 dopo lo stop da Covid: ritmi sostenuti per fissare tutti gli appuntamenti saltati
TREVISO. Dopo il blocco c’è stata la corsa. Perché ogni giorno è prezioso e, anche se gli interventi urgenti non si sono mai fermati, bisognava colmare il ritardo. Con la ripresa dell’attività clinica, dopo il 5 di maggio, i cinque chirurghi senologi che fanno capo alla Breast Unit dell’Usl 2 si sono chiusi in sala operatoria con turni anche di 12 ore al giorno. «Sulle pazienti oncologiche avevamo un ritardo di una decina di giorni, abbiamo operato una media di otto pazienti al giorno per recuperare» spiega il primario Paolo Burelli, dirigente dell’unità complessa del Ca’ Foncello, uno dei cinque centri Hub del Veneto specializzati nel trattamento del tumore mammario e delle patologie del seno.
Per quasi tre mesi il centro senologico del Ca’ Foncello con l’area diagnostica al piano terra, gli ambulatori al primo piano e le sale operatorie con il reparto di degenza (15 posti letto e altri 5 per il day surgery) al terzo piano, in attesa del trasferimento nella nuova Cittadella della Salute in costruzione, hanno accolto solo le pazienti urgenti: quelle con in mano una diagnosi di tumore.
«Le urgenze non si sono mai fermate» aggiunge «dal 16 marzo al 4 maggio abbiamo seguito 89 pazienti in priorità e abbiamo eseguito 158 medicazioni». Dal raffronto tra il primo semestre 2019 e quello del 2020 risultano 145 visite senologiche e 15 interventi chirurgici in meno. «Stiamo recuperando le visite senologiche sospese ampliando gli orari degli ambulatori» spiega il primario «l’unità di radiologia senologica che non si è mai fermata, ad esempio, fa ambulatorio fino alle 20 per quattro giorni su cinque alla settimana. La nostra segreteria sta chiamando al telefono tutte le donne, circa 150, per fissare a ciascuna di loro un nuovo appuntamento e chiudere così la fase di recupero».
Il rallentamento dell’attività clinica a causa del coronavirus non coincide, purtroppo, con il rallentamento della malattia che colpisce migliaia di donne, soprattutto nella fascia d’età 45-70 anni, senza risparmiare le giovani. «La paziente positiva allo screening» spiega il dottor Burelli «viene al centro senologico per fare l’agobiopsia che viene letta in anatomia patologica. Se c’è il tumore viene convocata da me con il radiologo e la “case manager”. Si fa un colloquio e si forniscono le indicazioni per gli approfondimenti diagnostici, poi si fissa la data dell’intervento». Dietro ai numeri (scheda a destra) ogni caso è una storia, un dramma personale. Il dottor Burelli si commuove al ricordo di alcune pazienti. La mamma nigeriana morta dopo aver scelto di non sottoporsi alle cure per far nascere il bimbo che portava in grembo.
Oppure quella paziente che anni fa era arrivata con un tumore allo stadio avanzato a entrambi i seni. «Aveva 34 anni e due figli piccoli: voleva vederli crescere, ha fatto 13 anni di chemioterapia e quando il più piccolo ha compiuto 18 anni è morta. Ha resistito fino a quando sono diventati grandi». Il lato umano della scienza, che è anche rispetto per le malate, ha fatto fare passi da gigante alla senologia. Il primario lo sottolinea ricordando i suoi 23 anni trascorsi all’ospedale di Conegliano e quelli con Veronesi all’Ieo.
«Negli anni ’90 l’Ieo era l’unica realtà che seguiva i criteri che ora applichiamo con la Breast Unit. Di fronte a un tumore o si praticava la mastectomia (asportazione della mammella, ndr) oppure c’era il quadrante (intervento conservativo che interviene solo sull’area interessata dal tumore, ndr). Adesso la paziente prima del trattamento chirurgico viene trattata dal radiologo per ridurre le dimensioni del tumore. E gli interventi di mastectomia sono conservativi. Ci capita di operare pazienti molto giovani: siamo intervenuti su una ragazza di 30 anni che ha subito la mastecomia di entrambi i seni, il risultato finale dopo la plastica è stato straordinario».