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Август
2020

La mail della moglie tradita è una vendetta postuma sul Viale dei Glicini

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La mail della moglie tradita è una vendetta postuma sul Viale dei Glicini

Aspettava il Natale con tanta ansia per andare in Sicilia, nel posto dove si erano conosciuti e Francesco ebbe la sua crisi da feste in famiglia felici

TRIESTE Da un po’ di tempo la sua vita si era assopita. Non ne capiva le ragioni e non sapeva quindi reagire. O forse non voleva. C’era un gusto in quel sapore piatto dei giorni immobili che entravano ed uscivano senza fare rumore. Un gusto strano, forse di attesa, forse di arrivo al punto prima di una svolta. Non c’erano dolori in quella primavera prepotente, piuttosto un silenzio a cui si lasciava volentieri andare. Fuggiva le voci, ancora di più le proposte, che le pareva avrebbero potuto distrarla. Da cosa, non le era chiaro. Aveva la pelle sciupata, questo sì, perché evitava l’aria. L’unica cosa che l’attraeva irrimediabilmente erano le mail. Le controllava ossessivamente (più tardi si sarebbe detta “per un intuito quasi magico”), molte volte al giorno e fino a un attimo prima di affrontare il sonno, sempre tardissimo, un’ultima birra in corpo per scivolare in quelle piccole notti che la lasciavano sfinita. Le parole che avrebbero cambiato tutto arrivarono così. E nel buio pioveva.



“Mi sono chiesta a lungo se darti del tu o del lei. Poi mi sono detta che stavo ingannando il tempo soltanto per non mandare queste parole. Ma adesso non posso più aspettare. Tu, dunque, probabilmente non ti ricordi di me. Ci siamo conosciute solo per un attimo, in un altro tempo e in un’altra città. Caso, amici comuni, una serata qualsiasi. Tu, dunque, sola, tesa e ridente. Bella, lo pensai subito, di una bellezza che non aveva a che fare con il tuo volto. Addosso un nome strano, di cui non ho voluto chiederti. Io, invece, insieme a quello che è stato il mio amore fin da quando avevo diciotto anni. Un amore buono, fino alla fine. Un uomo buono, quasi fino alla fine. Francesco se n’è andato, così mi dicono, così si dice, in qualche mese. La malattia aveva già fatto quasi tutto, quando ce ne siamo accorti. Restavano cose da sistemare, dolore da alleviare, parole da dirsi. Purtroppo. Perché quando ormai eravamo così sfiniti da desiderare che finisse mi ha detto quelle terribili parole: Faresti qualsiasi cosa per me? Certo amore, qualsiasi cosa. E allora mi ha parlato di te, una storia che io non ero stata nemmeno capace di annusare. Pochi mesi mi ha detto, ma io ero stata comunque il suo grande amore, sempre, comunque. Mi ha chiesto, quando se ne fosse andato, di scriverti solo questo: che ti era grato, che eri stata importante. E che non aveva mai dimenticato il Viale dei glicini. Con questa mail tengo fede alla mia promessa. Il resto non ti riguarda. Rispondimi solo per farmi sapere se ti ho veramente trovata. Anna”.



Nia chiuse immediatamente il computer e non sapeva più se camminare, sdraiarsi, aprire tutte le finestre. Pioveva tanto nel vento, quella notte, si sarebbe inzuppata. Chiuse dunque subito, con un po’ di violenza, il computer, ma le parole rimasero lì dentro e non avrebbe comunque potuto cancellarle. Poi provò rabbia. Che bisogno aveva avuto Francesco… si erano nascosti così bene, in quella primavera di dieci anni prima. E poi lo sapevano entrambi, se l’erano detti tenendosi per mano, che non bisogna parlare delle storie finite, che bisogna lasciarle in pace se si vuole che mantengano per sempre una qualche verità. Poi, solo dopo, pensò che era morto. Ma per lei non esisteva già da tanto. Non era una donna di nostalgie. Non le venivano bene neanche i sogni e le speranze. Se ne stava con i piedi piantati nelle piccole cose e coltivava allegrie tutte sue, che non aveva il bisogno di condividere. Pensò ad Anna, ma anche se in quei mesi era stata lì, da qualche parte tra loro, non la ricordava. E per la prima volta si sentì un poco in colpa con lei. Cercò qualcosa che potesse distrarla, provò a leggere, a disegnare, pensò ad un bagno, ad un’altra birra. Poi accettò che quel tempo, la notte, forse i prossimi giorni, se li prendessero i ricordi. Devo farlo, si disse, e dopo sarò libera. Perché sapeva che l’unico modo di affrontare il dolore era tuffarsi, lasciare che ti sommergesse per poi lasciarlo andare.

Di Francesco aveva subito notato le borse sotto gli occhi. Le piacevano. Facevano di lui un uomo stanco e impegnato in entusiasmi trascinanti. Avevano chiacchierato, lui soprattutto, parlava molto e con tutti. Gli aveva dato il numero di telefono perché era in un periodo dei “perché no”, e poi non ci aveva pensato più. Pochi giorni dopo si era trasferita in un’altra città e anche questo faceva parte dei “perché no?”. Lui l’aveva chiamata una mattina prestissimo di quasi un mese dopo. “Sono nella tua città. Ho bisogno di vederti”.

A quell’ora Piazza Unità era quasi deserta. La luce incominciava a sollevarsi, e sì, con dita rosate. Si erano abbracciati stretti, come se avessero aspettato troppo a lungo di ritrovarsi.

“Ma questo è un amore?” chiedeva lui ogni tanto.

“Dipende. Hai mai fatto o detto con me cose che non hai mai fatto e detto con qualcun altro? Se la tua risposta, che non voglio sentire, è un sì, puoi anche chiamarlo amore.”

Francesco rideva per non parlare e lei si sentiva leggera, padrona di quella storia fatta di piccoli incontri, solo una volta in un paesino di cui le piaceva il nome e tutte le altre in quella città che amava profondamente. Lo aveva portato in tutti i luoghi in cui era stata bambina, stretti davanti alla vecchia alta casa in cui era cresciuta, sui prati del Carso di notte, mille volte vicino al mare quando non avrebbero potuto incontrare nessuno. E lungo il loro Viale dei Glicini, che nel grande Parco di Miramare era quasi sempre deserto.

Lì lo aveva portato dopo che avevano consumato un’ansia di stare assieme che li aveva sorpresi. E lì, più tardi, avevano capito che non esisteva più il loro tempo. Nia aveva voluto mostrargli quel meraviglioso acciottolato fatto di minuscoli sassi che la ipnotizzava da sempre. “Chissà da quale fiume vengono, chissà se Massimiliano li ha scelti uno ad uno per rendere l’andare della sua Carlotta più dolce. Chissà chi ha li ha sistemati così, uno accanto all’altro ma come se non si conoscessero. Ore ed ore di lavoro… uno solo o più uomini? Due penso, e che non parlavano la stessa lingua.” Francesco ascoltava la sua mente giocare, ogni tanto le toccava i capelli e diceva “Ancora”. “Guarda, tra i ciottoli c’è un unico pezzetto di ceramica azzurra. Scommetto che è un pezzo di una tazza di Carlotta. Forse l’ha fatta cadere in un momento di tristezza, oppure perché la cattiva invidiosa dama di compagnia le aveva fatto sapere all’improvviso che Massimiliano si preparava a partire. E forse il posatore di ciottoli, innamorato segretamente di lei, l’aveva raccolta e messa lì per lasciare un segno eterno del suo amore”. “Inventi tutto” diceva Francesco. “Certo, qualche volta invento anche noi”. “E come siamo quando ci inventi?” “Siamo” rispondeva Nia “che nei nostri giorni non ci sono interruzioni, che tu non te ne vai dalla tua donna e io non ritrovo più la libertà di essere sola. All’inizio siamo felici, come adesso e qui, e poi piano piano qualcosa si rompe, come tra te e la tua donna, e allora dobbiamo di nuovo andare a cercare, forse tu, forse io, non so, ma comunque siamo di nuovo perduti”. “Allora” sussurrava Francesco scrivendole con le dita parole sulla schiena “preferisci così?” “Che importanza ha” rispondeva Nia. “noi abbiamo solo questo, e non è male”.

Una volta, una volta soltanto e allora i glicini erano in fiore e la bellezza di quel luogo estenuava, avevano fatto bene a creare curve, angoli di pietra, la pacatezza del laghetto delle ninfee, qualche squarcio verso al Castello per ricordare che la realtà c’era, solo una volta le aveva detto “Lascio tutto e vengo a vivere con te”. “No, grazie” aveva risposto Nia “non è così che deve andare”. Soffriva di non averlo tutto per sé? Solo qualche volta, ma di rado. Per lo più si sentiva felice. Anche quando non c’era. Quella storia, forse avrebbe potuto dire quell’amore, stava bene nella sua vita.

Che cosa le piaceva di Francesco, si chiedeva ora, dieci anni dopo e senza che avesse altra importanza che quella di onorare la sua morte. Non certo che fosse piuttosto basso e sempre agitato, non che fosse uno dei tanti uomini che tradivano la propria donna. Anzi questo, proprio lei, la complice, lo detestava. Quando qualcosa non la convinceva Nia se ne andava via veloce e senza guardarsi indietro.

E così aveva forse perso alcune cose. Mai se stessa. E poi lei era una fedele, forse troppo e anche nell’amicizia. Le piaceva invece che Francesco fosse così curioso di lei, anche se sapeva che non sarebbe durato per sempre. Le piaceva quando le chiedeva. “Raccontami” e poi rideva e diceva “Mi sa che la storia non è proprio così”. “Ma io della storia posso fare quello che voglio, che importa se Carlotta non ha mai rotto una tazza, che importa se il ciottolaio amava invece lo straniero che posava i ciottoli con lui? E se quella donna con l’aria indignata che stava seduta al tavolo vicino al nostro ieri al ristorante non era profondamente offesa con la nuora che le aveva dato della pitocca perché non le aveva prestato un paio di scarpe, aveva invece male ai piedi proprio per quelle scarpe lì, che tra parentesi erano oggettivamente troppo strette e hai visto come la carne sfogava da quelle punte acuminate? Ma si può dire ‘acuminata’ per la punta di una scarpa?” E Francesco rideva, le storie, i giorni, le albe dalle dita rosate erano solo loro. Per quanto tempo? Allora non importava.
 
Poi, in zona Natale, lui ebbe la sua crisi da feste in famiglia felici. Andarono ancora una volta al Viale dei glicini, e non c’era un fiore. La sua Anna, le disse, aspettava questo Natale con tanta ansia, sarebbero partiti per la Sicilia e avevano scelto proprio il posto in cui si erano conosciuti tanti anni prima e lui non poteva, non se la sentiva…
Lei gli chiese soltanto di sedersi e di lasciarla andar via da sola.
 
E così Nia ricordava, e il ritmo del suo tempo era cambiato, e il suo tempo aveva preso un ritmo che ancora non le apparteneva, ma aveva fiato. Pensò di fare un viaggio, di inseguire il Caravaggio di cui si era innamorata guardando la bellissima serie di Tomaso Montanari. Ad Anna aveva risposto soltanto: “Mi dispiace. Grazie. Nia”. Ma arrivò un’altra mail.
 
“E invece sono vivo. Confuso, arrabbiato, decisamente più vecchio, ma vivo. Negli ultimi mesi della nostra lunga storia ad Anna è successo qualcosa di cui non mi sono reso conto. Mi pareva, anzi, che tutto andasse bene. Non magnificamente, mi spiego, ma non pensavo che dopo trent’anni insieme le cose potessero andare magnificamente. Pensavo anch’io, come tutti, che fossimo una coppia di successo, solida, professionalmente soddisfatta, mediamente feiice, con un bel bagaglio di ricordi. Invece in Anna qualcosa si era rotto e quel qualcosa è esploso un paio di giorni fa in un modo inatteso, formidabile, straziante. Sai come tutto incomincia con una solita banalità e poi diventa un mostro fatto di urla, pianti, frasi definitive o frasi che sembrano definitive e sperano di non esserlo. Ti ricordi che sei anni fa mi hai mandato una cartolina del Viale dei Glicini su cui avevi scritto soltanto: “Io vengo spesso qui. Adesso senza di te. Nia”? Lo so che avrei dovuto distruggerla, o almeno nasconderla meglio, ma c’è un tempo, che viene prima di quello in cui nulla ha più importanza, in cui alcune cose sembrano, no, è meglio dire sono, estremamente preziose. O magari mi sono semplicemente distratto, o forse, prima che di quella cartolina mi dimenticassi, mi piaceva inconsciamente che ci fosse in giro una bomba pronta ad esplodere. Non dico che io ed Anna ci siamo lasciati perché ha scoperto di noi. Erano ben altri i suoi dolori e me li ha urlati in faccia solo due giorni fa. Naturalmente non te ne parlerò. Ma l’idea che la donna con cui avevo vissuto trent’anni avesse potuto immaginare di scriverti quella mail, l’ha trasformata ai miei occhi in qualcuno che non conosco. Però sono vivo Nia. E ho bisogno di vederti. Francesco”
 
Lei si dice che non può farsene nulla di uno che entra di nuovo così, senza chiedere permesso, senza chiedere come stai, c’è qualcuno vicino a te? Ma è vivo, ma sono passati dieci anni, ma questa sua urgenza delle cose le è infondo sempre piaciuta. Però adesso è più matura, lo pensa e sorride, e la sua fase dei “perché no?” è passata da un pezzo. E’ affezionata alla sua solitudine, anche se con un po’ di risentimento. Poi le viene in mente suo padre che le diceva che l’unica cosa che migliora se riscaldata più volte è il goulash… e non si può riscaldare un amore, non si può si dice Nia. Sempre che sia stato un amore quella parentesi piena di spazi in cui si sono riconosciuti per un po’. E poi sono passati dieci anni. Sarà ancora più basso, avrà ancora qualche capello? La pancia magari e un odore diverso? Amerà ancora le cose che gli piacevano con quell’agitazione intensa, sempre pronta a sorprendersi, a provare cose nuove? Sarà… come sarà? Ma lei, lei ha bisogno di vederlo o si sta solo, come troppe altre volte, lasciando andare ai bisogno altrui? E poi dove dovrebbero incontrarsi? All’alba in Piazza Unità? Sarebbe patetico. E sul Viale dei Glicini hanno annegato i ciottoli in un mare di cemento. Nel laghetto non ci sono più le ninfee. Nel parco, però, pensa Nia, ci sono ancora degli angoli bellissimi. E dentro di lei, per fortuna o per ostinazione, ci sono ancora cose che nessuno ha scoperto. Nella sua vita ci sono ancora desideri, emozioni, la vorticosa curiosità di tutto, la passione per ogni più piccola scoperta. Infondo cosa può succederle? Ha sofferto da allora ancora qualche volta, sempre un po’ meglio, sempre un po’meno, ma non ha perso il suo allegro gusto per la vita. Non è ingrassata, non ha rinunciato a pensarsi con ferocia per non lasciarsi andare. Ha un lavoro che ama, amici buoni, una casa, adesso, che le assomiglia. C’è spazio per un altro? C’è sempre spazio per un altro si dice. “Vieni Francesco. Proveremo ad inventarci qualcosa”.
 
Questa volta lui arriva di notte. Si abbracciano stretti, perché forse si sono ritrovati. C’è molto vento nel buio. E la bora l’ha fatta sempre ridere. 
 
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