Murano, sei mesi per cercare di salvare l'antica arte del vetro
MURANO. «Un anno storto non può distruggere la cultura e la potenza di fuoco di una tradizione millenaria come il vetro di Murano. Lancio un appello a tutte le forze politiche: servono incentivi e aiuti quanto prima». Sembra un bollettino di guerra, sono i numeri di un settore che è un marchio di fabbrica nel mondo. E che oggi, come spiega il segretario della Confartigianato di Venezia Gianni De Checchi, è in ginocchio.
L’Acqua Granda di novembre prima, il lockdown poi. E un orizzonte temporale che, secondo chi con il vetro ha a che fare tutti i giorni, va da qui ai prossimi sei mesi: al termine dei quali o il settore rinasce o rischia di sbriciolarsi. «Murano oggi ha all’attivo 600 addetti nel mondo del vetro», snocciola i dati De Checchi, «negli anni ’90 erano 1.287: più che dimezzati. A Venezia resta l’unica realtà produttiva, e oggi è a forte rischio».
Su 150 aziende ancora oggi attive (tra chi la materia prima la crea e chi la lavora), oggi per Confartigianato l’85 per cento del totale è in cassa integrazione. Trentacinque ditte iscritte alla categoria prorogherà la richiesta del fondo salariale integrativo per i propri 160 dipendenti da qui alle prossime settimane. «È crollato il mercato locale e quello internazionale», aggiunge il segretario, «le aziende familiari fanno segnare anche il -100% rispetto a un anno fa. Oggi lavora chi ha saputo unire la qualità a clienti affezionati».
Di qui, l’accorato e trasversale appello: incentivi e aiuti. «Il governo ha già fatto molto ma ora bisogna trovare il modo di infilare risorse direttamente nelle tasche delle imprese», la ricetta di De Checchi, perché facciano fronte a minori introiti altrimenti a settembre sarà dura. E poi far ripartire il volano degli acquisti. Il 2021 è dietro l’angolo». Ed è quello, fin d’ora, l’orizzonte di speranza cui guarda una tradizione che vuole restare viva.
EFFETTO COVID
Che il mondo dopo la pandemia non sia più quello di prima, e l’isola di Murano con lui, lo si capisce passeggiando in una mattina in mezzo alle settimana di inizio agosto lungo fondamenta dei Vetrai. Ma anche al Navagero, o intorno al duomo di San Donato. Lì dove, in tempi normali, il brulicare di gente nei negozi e la maestria dei vetrai nelle fornaci scandivano la giornata.
E dove oggi l’aria che si respira è di attesa e angoscia, in mezzo a saracinesche abbassate e desolazione. La stessa di novembre, dopo la devastazione della marea eccezionale. Ma al tempo stesso diversa, perché stavolta arriva come un colpo basso ad un corpo già fiaccato. Ci voleva una pandemia a incrinare una tradizione millenaria come il vetro di Murano. Fino alle sua fondamenta: la lavorazione.
I forni, innanzitutto. Sono costruiti per restare accesi 24 ore su 24, e una volta spenti impiegano 15 giorni prima di rimettersi in moto e per raggiungere la temperatura adatta, tra costi aggiuntivi e crogioli interni da rimpiazzare.
«A marzo, quando è iniziato il lockdown, eravamo in piena produzione», spiega Andrea Della Valentina, rappresentante di categoria, «noi dipendiamo dai forni e in tanti si sono trovati a scegliere se spegnerli o lasciarli accesi a costo di spendere inutilmente in bollette. Alla fine, la chiusura è durata quasi due mesi, i commercianti si sono spaventati e non hanno fatto ordini. Nemmeno i grandi committenti».
Chi non ha spento il forno è, ad esempio, il maestro vetraio Simone Cenedese: ha preferito pagare 2.500 euro al mese di metano, pur con la produzione costretta a fermarsi. «Ma questo mi ha permesso di ripartire più velocemente», spiega. Già, ma come? Il virus circola, e ogni settore ha i suoi protocolli: vetro compreso. Per soffiare nei boccagli, ad esempio, è stato necessario crearne di personalizzati; e poi mascherine nelle fornaci, spogliatoi a capienza dimezzata.
«E la produzione che ne risente», aggiunge il maestro, «sono regole sacrosante, ma certo hanno complicato la situazione». A ciò vanno aggiunti altri “costi Covid” che le aziende hanno dovuto sobbarcarsi in questo periodo. Ci sono aziende che hanno organizzato navette per trasportare i dipendenti dalla terraferma a Murano, chi ha preso a noleggio garage a piazzale Roma per evitare per quanto possibile l’uso di mezzi pubblici. Tutto in ottica anti-contagio: limitare il più possibile il rischio di positivi in azienda. Sì perché mandare in quarantena i dipendenti e chiudere per due settimane, in questa fase così delicata, sarebbe il colpo di grazia. «Abbiamo ricominciato a lavorare a metà maggio», aggiunge Cenedese, «avevamo commesse interrotte da portare a termine, ora siamo al 50% in meno rispetto a un anno fa, lavoriamo con l’estero: Dubai e Iran, ad esempio. Ma il nostro punto vendita andrà in perdita del 90%».
Fare il vetro è lavoro sartoriale, su misura. Non si produce per fare magazzino. E ora è l’autunno, l’incubo dei vetrai. «Murano attende di capire cosa succederà tra settembre e ottobre, al momendo ha riaperto il 60% delle attività», spiega Della Valentina, a nome della categoria, «siamo in attesa di capire cosa succederà nel mondo. A giugno, con le riaperture, c’era stato un rimbalzo: ma ora l’entusiasmo è già scemato. E così, alla lunga, rischiamo di dover contare i morti».
Covid e acqua alta, ma non solo. Cassa integrazione in ritardo di mesi, pensionamenti di maestri poi non rimpiazzati («e con loro se ne va un pezzo della nostra storia»), fino ai problemi cronici di micro-imprese familiari che fanno fatica ad accedere al credito e infine la lotta alla contraffazione («siamo al 75%, un danno economico e d’immagine»). Ecco allora da dove nasce il grido d’allarme, l’urgenza di interventi richiesta dal mondo del vetro.
Eppure, chi ora si affaccia alla nuova stagione non si arrende. Nonostante tutto. E anzi rilancia, per quanto può. Vale l’esempio di Renata Ferrari, che con la sua azienda attiva nella seconda lavorazione del vetro, tutta al femminile (7 dipendenti in tutto), ha sfruttato la pandemia «per riflettere sui nostri punti deboli». «La tecnologia ci è stata utilissima», racconta Ferrari, «sono saltati fiere e convegni, e così abbiamo deciso di dialogare con i nostri clienti online. Senza farsi abbattere dalla paura, ma lasciandoci trascinare dalla passione».
PUNTA CONTERIE
«Di lavoro in questi mesi ce n’è pochissimo, inutile nasconderlo. E così riaprire è stata una reazione d’orgoglio rispetto alla situazione. Ora però bisogna programmare per il futuro, basta rincorrere i numeri. Questa pandemia dev’essere colta come un’opportunità». Alessandro Vecchiato non si nasconde dietro la gioia di aver riaperto Punta Conterie nelle scorse settimane. Il vero banco di prova, dice, sarà a settembre. E la partita vera si giocherà dal prossimo autunno alla primavera 2021.
Ma l’ambizione della sua galleria, ristorante, bistrot (aperto nel 2019 assieme all’imprenditore Dario Campa) è di cogliere un’opportunità nella pandemia. Stop alla rincorsa dei grandi numeri del turismo mordi e fuggi, a beneficio di un turismo di qualità in grado di risollevare le sorti dell’isola, vetrerie incluse.
Quello che il cofondatore dell’azienda di design Foscarini proverà a fare negli 800 metri quadri divisi in due piani, ricavati nella porzione estrema di una vecchia fabbrica dismessa da ormai quarant’anni.
Come vede l’isola di Murano, in questo periodo di emergenza?
«L’isola sta soffrendo. Nel corso degli anni si è sviluppata molto la parte recettiva dell’isola, mentre la componente industriale si sta lentamente spegnendo come dicono i numeri».
A Punta Conterie qual è la situazione, al momento?
«Siamo al 20% di clientela, concentrata soprattutto nel weekend e soprattutto italiana. Inevitabile, vista l’incertezza del momento e con musei e gallerie ancora chiuse. Viviamo di turismo straniero, ma i numeri sono destinati a restare quelli di oggi finché non riprenderanno i voli da Stati Uniti e Giappone».
Già, i numeri. Per tornare alla mole di turismo pre-Covid ci vorrà del tempo. E nel frattempo come farà Venezia a riprendersi?
«Chi ha le spalle larghe, sopravviverà. Le aziende più piccole, e parlo di negozi, alberghi, attività commerciali o gallerie, rischia di saltare. Ma attenzione, è qui che si gioca la sfida del futuro».
Si spieghi.
«Murano deve puntare su un turismo più elevato, tutta l’isola ne trarrebbe beneficio. Il turismo di massa porta ben poco, quello mordi e fuggi non vive in città: ci passa solo attraverso. È una sfida impegnativa cambiare questo paradigma».
Secondo lei vale anche su larga scala per l’intera città di Venezia?
«Assolutamente sì, ed è una sfida da raggiungere nel lungo periodo. È questo il momento adatto per gettare i primi semi. Venezia non può più sopportare milioni di turisti, non ha strutture ricettive adatte né mezzi pubblici e servizi in grado di sobbarcarsi una tale mole di numeri. Vale per la città così come per Murano: senza snaturarsi, occorre puntare su una clientela selezionata, colta. Tornare alla situazione che c’era fino a sei mesi fa sarebbe una sconfitta per tutti. Ora vedremo se e come il mondo ripartirà. Ma sta di fatto che dovremo farci trovare pronti».
I TOPONIMI
La Giunta comunale ha approvato la delibera con cui sono stati assegnati una denominazione propria all’area Ex – Conterie, spazio occupato dall’antica industria di perle nata nel 1898 dalla fusione di 14 aziende locali che fondarono la Società Veneziana per l’Industria delle Conterie e situata nel cuore di Murano, nei pressi del Museo del Vetro e della Basilica di San Donato, valorizzando le numerose figure femminili che un tempo operavano nelle Conterie.
Ecco l’elenco dei 14 nuovi toponimi per l’area delle “Ex-Conterie a Murano: Campo Marietta Barovier, artista, decoratrice, designer e vetraia italiana figlia del più noto Angelo, nata, molto probabilmente, a Murano nella prima metà del XV secolo, nota per essere l’inventrice e la creatrice di una particolare “murrina” chiamata “perla rosetta” ); calle dei Millefiori, canna formata da strati concentrici di vetro di colori diversi; calle de l’Avventurina, particolare lavorazione del vetro inventata nell’isola di Murano nella prima metà del XVII secolo; calle de la Murrina; calle de la Palmetta, ventaglio di aghi tenuto in mano dalla “impiraressa”; campo de le Impiraresse, infilatrici di perle; campo de le Perlere, coloro che realizzavano in casa con la tecnica a lume le perle di vetro; sotoportego de la Gada, ventaglio di aghi riempito di conterie; calle dei Maestri Vetrai; calle del Rigadin, effetto applicato al vetro soffiato; campo Pino Signoretto, morto nel 2017 e tra i più celebri maestri vetrai.