Svizzera: operazione toghe pulite
La magistratura elvetica è scossa da uno scandalo che ha portato alle dimissioni del capo della Procura federale Michael Lauber. Incapace, secondo le accuse, di contrastare le gravi infiltrazioni della 'ndrangheta nel Paese e coinvolto con Gianni Infantino nel «Fifa Gate».
Un terremoto sta scuotendo la magistratura svizzera. Michael Lauber, capo della Procura federale, la massima carica dei togati elvetici, ha dovuto dare le dimissioni. È la prima volta che succede e la causa è tanto nelle inefficienze nel contrasto alle infiltrazioni mafiose ('ndrangheta in primis) quanto nella gestione della procura da parte del suo più alto esponente. Secondo il procuratore federale Sergio Mastroianni «la Svizzera offre terreno fertile alla criminalità ed è un canale privilegiato per la fornitura di armi». E poiché la penetrazione 'ndranghetista è ritenuta un fenomeno recente e in ascesa, ecco che l'accusa ha finito per coinvolgere le toghe, che non riescono ad arrestare il fenomeno, mettendo in difficoltà il Parlamento che controlla la procura e nomina il suo vertice.
I risultati più scarsi di Lauber - la cui prima nomina parlamentare era stata un plebiscito (203 voti su 206) - sarebbero proprio quelli rivolti alla lotta contro le mafie in Svizzera. «La lotta alla criminalità organizzata nel nostro Paese? Siamo in grande ritardo e si è fatto molto poco per contrastare il fenomeno» riferisce a Panorama il Consigliere nazionale Fabio Regazzi del Ppd, il Partito popolare democratico, che, alla domanda sul pericolo che le cosche possano entrare negli appalti pubblici, afferma: «Ci sono già entrati e il rischio è che la 'ndrangheta possa aggiudicarsi commesse milionarie».
Eppure, sono state numerose le operazioni antimafia disposte dalle autorità italiane, che hanno coinvolto a vario titolo la procura elvetica: dalla società di Lugano destinataria di quello che le autorità hanno definito il più grande sequestro di droghe sintetiche del mondo (cui va il record di 14 tonnellate di anfetamine bloccate nel porto di Napoli lo scorso luglio), all'operazione «Freccia» che ha portato dietro le sbarre 22 membri della 'ndrangheta che si spostavano con frequenza attraverso le Alpi, con l'intento di comprare esercizi pubblici per riciclare denaro.
Ciò nonostante, il traffico di stupefacenti, di armi, la protezione dei ricercati fuggiti dall'Italia, il riciclaggio e molte altre attività (come la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale) sono tutti reati in aumento. Secondo l'Ufficio federale di Polizia elvetica, gli 'ndranghetisti sono già presenti «in tutti i cantoni della Svizzera, in particolare nel Canton Vallese e nel Canton Ticino, senza dimenticare le aree urbane come Basilea e Zurigo». Sarebbero almeno 20 le cellule mafiose attive nella Confederazione, cui fanno capo circa 400 persone.
Eppure, le operazioni per contrastarli sono state a dire il vero molto blande: la Procura federale, che ha il potere del perseguimento penale in Svizzera, nel 2017 non era riuscita a confiscare un solo franco, nonostante un budget di 62 milioni di franchi e 237 inchieste penali avviate. Il problema è che in Svizzera non c'è una vera e propria politica antimafia e attualmente la magistratura dispone di un solo procuratore per questo tipo di inchieste.
Lauber non lascia dunque il più importante e potente organo investigativo del Paese per anzianità, ma per la spirale di polemiche che non si arresta e che lo costringerà a un passo indietro (a partire dal 2021). Il procuratore capo viene percepito come incapace di governare tanto il contrasto alle mafie quanto il caos che si è scatenato all'interno delle procure durante la sua gestione. In effetti, vari testimoni hanno confessato ai media di vivere un clima di lavoro fatto di prepotenze, liti, porte sbattute e pubbliche umiliazioni da parte dei vertici.
Inoltre, Lauber ha ragione di temere un'azione legale contro di lui. Da tempo si parla di favoritismi e vessazioni, di incarichi attribuiti per simpatia e del controllo sistematico dell'attività informatiche, un fatto che configurerebbe anche reati come la violazione della privacy. Anche questo è un pezzo dell'eredità che Lauber lascia a chi verrà dopo di lui. Ma soprattutto sarebbe coinvolto in possibili illeciti, e da qui la scelta di un passo indietro. Lo scorso maggio, infatti, una commissione parlamentare ha annunciato l'avvio di una procedura per rimuoverlo dall'incarico e a giugno è stato nominato un procuratore straordinario per indagare sul suo operato. Lauber è subito ricorso contro la decisione, ma il Tribunale amministrativo federale lo ha rigettato, e così Lauber non ha avuto altra scelta che dimettersi.
Ma su cosa ha mentito? La questione coinvolge la Federazione internazionale del calcio, la Fifa, e alcuni viaggi a Mosca. Secondo il procuratore federale straordinario Stefan Keller, che ha avviato «un procedimento penale a carico del presidente della Fifa Gianni Infantino e del primo pubblico ministero dell'Alto Vallese Rinaldo Arnold», lo stesso Infantino e Lauber si sarebbero inopportunamente incontrati in quella trafesrta moscovita, dove si sarebbero configurati i reati di abuso di autorità, violazione del segreto d'ufficio e ostruzione dell'azione criminale. Quegli incontri, definiti da Lauber «informali», indicherebbero una collusione tra la Fifa e la giustizia svizzera. Così come i viaggi per incontrare i colleghi procuratori russi, ritenuti quantomeno inopportuni e mai spiegati dal procuratore capo.
Le relazioni pericolose tra Infantino e Lauber emergono nel maggio del 2018, quando l'hacker portoghese Rui Pinto rende noti - attraverso i «Football Leaks» - alcuni documenti che confermerebbero come Lauber e Infantino si fossero incontrati due volte, mentre già la Procura federale stava indagando su diversi casi nei quali era coinvolta proprio la Fifa. Il procuratore generale in un primo momento non aveva confermato le circostanze, salvo poi dover ammettere gli incontri con Infantino, avvenuti nel marzo e nell'aprile 2016, entrambi non registrati e quindi vietati dalla legge elvetica. A sua difesa, Lauber ha dichiarato che i due colloqui si erano resi «necessari per chiarire le questioni riguardanti il dossier Fifa». È poi emerso anche un terzo incontro, nel 2017.
A insospettire gli inquirenti, tuttavia, è stato l'appuntamento del 22 aprile 2016, concomitante con la circostanza di due settimane prima, quando la Procura federale aveva appena aperto un'indagine penale su contratti televisivi «sospetti» con l'Uefa. Lauber ha dichiarato di non ricordare l'incontro, precisando in ogni caso che tali incontri per lui sarebbero «normali». Le dimissioni sono dunque il finale amaro per un procuratore generale che da un anno è diventato oggetto di attacchi e divisioni, anche nei partiti che lo hanno eletto per ben due volte e sempre sostenuto: l'Unione democratica di centro (Udc), il Partito socialista (Ps) e il Partito liberale radicale (Plr).
Dopo qualche iniziale successo, una serie di errori - dovuti secondo alcuni alla personalità accentratrice dell'uomo - gli hanno progressivamente alienato le simpatie di molti esponenti politici. Uno su tutti il Consigliere nazionale Marco Romano (Ppd), che oggi afferma: «Personalmente in occasione della rielezione del mese di dicembre scorso, avevo auspicato pubblicamente che si ritirasse. I vari scandali nei quali si è trovato, o che talvolta ha lui stesso generato, hanno leso l'immagine del Ministero pubblico della Confederazione (di cui è responsabile il procuratore generale, ndr), e di conseguenza delle istituzioni nel loro complesso».
Dopo le attese dimissioni di Lauber, già oggi ampi settori della politica elvetica si sono dati un obiettivo: mettere mano a una riforma della giustizia che eviti l'accentramento di potere nelle mani di un solo procuratore, com'è accaduto finora.