Siamo impreparati alla seconda ondata
- EMERGENZA COVID\1 - Fra l'incertezza sul rientro a scuola, la confusione sulle norme di sicurezza, il caos nei trasporti pubblici, la medicina del territorio trascurata, i contagi che importiamo e il Pil in picchiata, a sommergerci sarà l'incapacità di far fronte a tutte le incognite in arrivo.
- EMERGENZA COVID\2 Tra il 60 e il 70 per cento dei nuovi casi di coronavirus in Italia si registra in chi arriva da Paesi dov'è diffusa l'epidemia. Turisti, vacanzieri, badanti che rientrano da Romania e Bulgaria, più molti migranti.
Una cosa è sicura: il prossimo autunno sarà ancora con la mascherina, con il distanziamento, e una nuova stretta su quella che tutti chiamano la movida: lo sport nazionale ora è quello di colpevolizzare i giovani - in effetti ora cominciano a essere loro i bersagli preferiti dal virus, con il rischio di diffondere il contagio - che cercano spiragli di socialità.
La verità è che le linee guida prossime venture sono ancora molto confuse. Basta ricordarsi di che cosa è capitato con i treni. Prima il distanziamento azzerato dalla ministra dei Trasporti Paola De Micheli, poi il ministro della Salute Roberto Speranza che blocca tutto: potete vendere un posto sì e un posto no. Risultato: Italo sbarca 8 mila passeggeri, caos totale e ancora oggi sulle ferrovie si viaggia meno. Con l'assurdità che sui treni regionali il distanziamento non viene rispettato. E poi ci sono le comiche degli autobus con il distanziamento verticale: dovete guardare tutti fuori dal finestrino. Che di solito è sporco. Non va meglio nel trasporto aereo. L'incertezza è «pandemica», ma per stare dalla parte del sicuro l'Oms ha istituito per l'Europa una super commissione per «ripensare le priorità relative alle politiche da attuare alla luce della pandemia».
La presiede Mario Monti, la sfera di cristallo è affidata a ex capi di governo, scienziati, economisti. Roberto Speranza intanto ha fatto predisporre un piano da colossal cinematografico: dal ritorno dello Yeti al ritorno del coronavirus. Lo hanno elaborato l'Istituto superiore di sanità e il ministero della Salute; e Speranza, il più pessimista di tutti, continua a dire che la seconda ondata è probabile, che saranno i giovani a provocarla e che bisogna stare all'erta.
Il piano per il temuto prossimo tsunami si articola in quattro livelli, a seconda del tasso di Rt nazionale (l'indice di contagio in un territorio) e prevede diverse modalità d'intervento. C'è il tema spinoso del coordinamento con le Regioni, non del tutto risolto, che nel perimetro delle istruzioni anti-Covid mette insieme scuola, trasporti pubblici, medicina territoriale (gli ospedali hanno aumentato i posti di terapia intensiva, ma i medici di base, trascurati nella prima fase dell'epidemia, lo saranno probabilmente anche nella seconda) e la possibilità di chiudere confini o singole zone.
Il disaccordo è praticamente su tutto anche se Stefano Bonaccini (presidente dell'Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni) prova a contenere i dissensi. Il cuore degli interventi resta però l'ospedalizzazione. Stai a vedere che le «astronavi nel deserto» di Guido Bertolaso a Milano Fiera e a Civitanova Marche, tanto contestate, finiranno per tornare utili.
Ma ci sono tre domande, fondamentali, a cui questo piano non risponde: la seconda ondata ci sarà davvero? E se sì, che cosa provocherà? Siamo pronti ad affrontarla, e in che modo? I virologi si dividono come hanno fatto dall'inizio della pandemia. Il viceministro alla Salute Paolo Sileri, medico in quota pentastellata, è ottimista: «Il virus c'è, circola, dobbiamo tenere alta la guardia, ma immaginare una seconda ondata è difficile».
Ciò che conta sono le misure pratiche che verranno messe in atto, e una parola di verità l'ha detta il dottor Matteo Bassetti del San Martino di Genova: «La seconda ondata sarà quella di tutti coloro che, accusando sintomi influenzali, siccome sono sottoposti a un bombardamento continuo di previsioni sul ritorno del virus intaseranno i Pronto soccorso con 37,2 di febbre; in quel momento il sistema ospedaliero rischierà di esplodere».
Mentre Vladimir Putin annuncia di avere sottoposto la figlia al vaccino russo, il primo a essere stato registrato (anche se l'Oms è scettica), i cinesi proclamano di essere vicini al loro, quello anglo-italiano è in fase avanzata, l'ospedale Spallanzani ha ricevuto oltre quattromila adesioni di volontari per la sperimentazione del nostro vaccino, il governo si divide tra Matteo Renzi che vuole l'obbligo di immunizzazione per tutti e i grillini che sono per quella facoltativa. Nel frattempo, un vaccino che non si vede all'orizzonte è quello anti-influenzale. Consentirebbe di distinguere tra la diagnosi di Covid e quella di normale influenza quando i due virus viaggeranno paralleli. Ma, secondo i medici, le Regioni lo riceveranno con (almeno) due o tre settimane di ritardo rispetto alla data prevista di inizio ottobre.
Incognite, del resto, ce ne sono molte altre. La prima riguarda la scuola. Tra annunci di assunzioni di 50 mila docenti e poi di 20 mila bidelli - o meglio, collaboratori scolastici -, acquisti (impossibili) di milioni di banchi, la ministra Lucia Azzolina ripete che il rientro in aula ci sarà. I presidi non la pensano così. Ci sono le linee guida, ma ancora non si è capito se e come saranno fatti i test sierologici sui docenti, che cosa succederà se in una classe ci dovesse essere un contagio, se i ragazzi devono entrare scaglionati o in fila indiana. In più mancano 20 mila aule.
Si ricomincia così con le ipotesi fantasiose: dalle lezioni nei bed & breakfast alle tendopoli. Per la scuola, insomma, è già seconda ondata. Altro problema enorme è quello degli scuolabus. Le linee guida dicono che se il percorso dura meno di 15 minuti si può evitare il distanziamento, ma le Regioni non ci stanno.
Chi, di certo, rischia di restare a piedi sono le aziende. Il ministro per l'Economia Roberto Gualtieri dovrà predisporre la legge di Bilancio. Annuncia un grande piano di rilancio, una revisione del fisco che prevede l'azzeramento di quasi tutte le agevolazioni e all'orizzonte c'è il Mes. Potrebbe essere questo il «regalo» d'autunno. E se la situazione sanitaria si dovesse aggravare, il ricorso al «salva Stati» dedicato alla salute verrebbe invocato come unica strada.
Una via d'uscita dalla crisi la cercano anche bar, ristoranti, alberghi. La stima di Confcommercio è che l'onda lunga delle chiusure metterà a rischio un terzo dei 330 mila esercizi di ristorazione, che il prolungamento dello smart working per i dipendenti pubblici creerà sempre più difficoltà ai bar e «senza un'accelerazione della ripresa, il rischio di una grave caduta occupazionale è reale». A cominciare da 84 mila contratti a tempo determinato che ci sono nel commercio.
Fosche le previsioni dell'Ue, che si attende una caduta del Pil italiano attorno all'11,4 per cento. Secondo la Cna (artigiani) il 55 per cento delle imprese non investirà, solo il 4,6 per cento pensa che avrà più ordini in autunno, mentre il 61 per cento si aspetta un ulteriore calo dei fatturati.
L'Istat non è stata più tenera: «Il 38,8 per cento delle imprese italiane (pari al 28,8 per cento dell'occupazione, circa 3,6 milioni di addetti, e al 22,5 per cento del valore aggiunto, circa 165 miliardi di euro) ha denunciato l'esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell'anno. Il pericolo di chiudere l'attività è più elevato tra le microimprese (40,6 per cento, 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5 per cento, 1,1 milioni di occupati), ma assume intensità significative anche tra le medie (22,4 per cento, 450 mila addetti) e le grandi (18,8 per cento, 600 mila addetti)».
Per questo il governo ha prenotato 28 miliardi del Sure, il fondo europeo per sostenere l'occupazione, anche perché a fine anno scade la cassa integrazione. Non si vive di soli bonus. Quello super per l'edilizia è in stallo causa smart working della pubblica amministrazione, il bonus vacanze è per ora rimasto al palo: lo hanno chiesto un milione di italiani, lo hanno usato solo in 140 mila.
Il bilancio del turismo resta fortemente deficitario: abbiamo perso 24 miliardi, a fine anno saranno almeno 50. Anche perché «io resto in Italia» non ha funzionato sui giovani. Molti hanno scelto vacanze in Francia, Spagna, Grecia, Croazia. Così abbiamo di nuovo importato il virus. Al netto del grave problema dei focolai tra i migranti. Perché attorno all'Italia ora c'è una cintura dove i contagi sono in ripresa. Così, da chiusi in casa a chiusi in patria potrebbe essere lo slogan della seconda ondata. Per un Paese che vive di export non è una prospettiva allettante.
Tutti i contagi da importazione
A dirlo sono i medici: tra il 60 e il 70 per cento dei nuovi casi di coronavirus in Italia si registra in chi arriva da Paesi dov'è diffusa l'epidemia. Turisti, vacanzieri, badanti che rientrano da Romania e Bulgaria, più molti migranti. Che spesso fuggono da hotspot ormai ai limiti della capienza. E diventati pericolosi focolai.
di Francesca RonchinVinnitsa - Roma - Napoli. Il pullman in arrivo dell'Ucraina è il sesto della giornata. Il blocco della Polizia all'uscita del casello lo dirotta verso il punto Covid allestito accanto alla stazione di servizio Roma Nord. L'ultimo Dpcm governativo chiede massima attenzione sulle rotte dai Balcani dove la diffusione del virus procede a ritmi di mille nuovi casi al giorno. Per chi arriva da Romania e Bulgaria le porte restano aperte ma a condizione che, subito dopo aver messo piede in Italia, si sottoponga a isolamento fiduciario e sorveglianza sanitaria.
«Noi prendiamo le generalità e un indirizzo dove trascorreranno la quarantena» spiega il personale sanitario. «Ma quando sono negativi è difficile che osservino il periodo di profilassi. Figuriamoci poi chi non viene nemmeno identificato».
In assenza di veri filtri la gestione degli arrivi è affidata alle Regioni e quest'angolo di autostrada sembra lontano anni luce dalla movida che affolla le serate romane, nonostante ogni raccomandazione sul distanziamento sociale. Molte sono badanti, alcuni vengono a fare visita ai parenti, qualcun altro arriva per turismo.
«A oggi non abbiamo trovato positivi» spiega Mauro Mocci, il medico che gestisce l'unità Covid della Asl 4. «Il monitoraggio però è durato solo alcuni giorni e durante l'esodo per le vacanze è stato sospeso». Complice il weekend da bollino nero, la prefettura non vuole ingorghi al traffico. Sul crinale decisivo tra mancanza e attuazione di controlli, in una continua oscillazione tra apparenza di normalità e paranoia, la partita viene giocata dall'imponderabile. «È agosto anche per noi» lamenta Pier Luigi Bartoletti, coordinatore dell'Unità Covid della Regione Lazio, «il personale è dimezzato, non possiamo essere ovunque ma facciamo il possibile».
Secondo i medici ormai non ci sono dubbi, i casi d'importazione sono il vero problema e rappresentano tra il 60 e il 70 per cento degli attuali contagi. Un balzo in avanti rispetto al limitato 6 per cento di prima della riapertura delle frontiere interne e internazionali. Pochi passi da qui, l'agriturismo Francalancia di Castelnuovo di Porto, convenzionato con la Protezione civile, si prepara a nuovi arrivi. I 69 bengalesi arrivati da Dacca con l'ultimo aereo prima della sospensione dei voli dal Bangladesh, se ne sono ormai andati.
Sul volo atterrato a Fiumicino lo scorso 6 luglio, era positivo il 30 per cento dei passeggeri, una percentuale ben più alta di quello 0,15 per cento registrato dalle autorità del Bangladesh. Un campione non sufficiente ma una spia eloquente di come i numeri ufficiali di Paesi con sistemi sanitari ed economie meno sviluppati di quelli europei potrebbero essere molto inferiori rispetto a quelli reali.
La scarsità dei laboratori di analisi in Africa, per esempio, incide sui numeri ufficiali, anche qui incredibilmente bassi da mesi. Forse non è un caso se su un milione di contagi, la metà riguardi il solo Sudafrica, la nazione più avanzata del continente e forse in grado di effettuare controlli maggiori rispetto ai Paesi da cui proviene buona parte dei 15 mila migranti sbarcati in Italia.
Per l'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, non è il caso di allarmarsi. Una correlazione tra sbarchi e impennata dei nuovi casi non si può dimostrare e dopotutto, «solo» l'1,5 per cento degli arrivi è positivo.
In realtà, la percentuale dei contagi non è così bassa. Se consideriamo che gli italiani attualmente positivi sono circa 13 mila, lo 0,02 per cento del totale, il tasso di positività di chi arriva via mare è di ben 75 volte più alto. Se poi consideriamo il totale degli arrivi, 22 mila tra regolari e irregolari nel periodo maggio-luglio, con mille casi positivi (fonte Amsi, associazione dei medici di origine straniera in Italia) e dunque un tasso di positività del 4,5 per cento, il rischio del contagio da importazione si alza ancora di più.
Chi arriva in modo autonomo a Lampedusa, sottoposto a tamponi sistematici e accolto in centri dove la quarantena può essere monitorata, teoricamente presenta un rischio minore rispetto a chi arriva in maniera regolare. Lo screening però deve essere costante specialmente a Lampedusa dove l'hotspot, che con una capienza di 192 posti è arrivato in queste settimane ad avere fino a mille ospiti, rischia di fare da propagatore del contagio.
Dei 156 migranti trasferiti nel Torinese nei giorni scorsi, 19 sono già risultati positivi. Positivi anche 12 dei 55 arrivati a Latina sempre da Lampedusa. All'hotspot di Pozzallo i casi sono saliti a 73, e dopo decine di tentativi di fuga sono stati inviati 90 militari. Un nuovo focolaio è appena scoppiato al centro accoglienza «Mondo Migliore» di Rocca di Papa, in provincia di Roma, con 19 migranti positivi. Tensione anche in Friuli e dopo la Caserma Cavarzerani, è zona rossa anche il Seminario di Castellerio di Pagnacco dove 143 tra bengalesi e pachistani sono in quarantena.
«Ormai tutti i giorni siamo alle prese con nuovi focolai d'importazione ma oltre agli arrivi irregolari, il rischio lo moltiplica anche chi torna dalle vacanze» aggiunge Mocci. Più di 50 nuovi positivi sono italiani rientrati da Malta, Grecia e Ibiza. «L'aspetto preoccupante è che questi ceppi presentano una positività a tre geni, non a uno solo come ormai accadeva da maggio, di pari passo con l'indebolimento della curva».
Sulla necessità di misure immediate, il personale medico è unanime. «Dopo aver vinto la prima battaglia, l'Italia ora sta sbagliando una mossa dopo l'altra» sospira Foad Aodi, il presidente dell'Amsi. «Da Paesi con contagio in fase acuta si deve arrivare solo a fronte di tampone negativo effettuato nelle ultime 72 ore. Dal Marocco a Cipro, sempre più Paesi lo chiedono agli italiani, non si capisce perché non lo possa chiedere anche l'Italia a chi arriva qui».
Con migliaia di operatori sanitari in Italia e rappresentanti in 72 Paesi, l'Amsi ha cercato più volte di contattare il ministero della Salute senza avere mai risposta. «Forse il Comitato tecnico scientifico è in balìa dei litigi tra virologi» abbozza Aodi. Di certo la gestione delle frontiere è tema che divide e l'impasse in atto riflette le contraddizioni interne alla stessa querelle politica. La maggioranza da un lato sostiene lo stato di emergenza ma dall'altro si affretta a zittire chi, come l'esponente Pd Marco Minniti, ha fatto presente che la correlazione tra immigrazione e Covid è evidente.
A chi lavora sul campo non resta che attendere un protocollo sanitario nazionale. «Anziché imporre le quarantene che non è possibile controllare, servono test pre-ingresso o tamponi rapidi all'arrivo. Il 100 per cento non si potrà mai raggiungere, ma individuandone almeno il 50 per cento si sarà già fatto tanto».