Con la convention Trump porta i repubblicani più vicini alla working class
Il presidente ha mostrato le strategie su cui puntare in vista delle presidenziali di novembre. Dalle critiche alle alte sfere di Washington fino alle sue politiche pro vita. Non sono certo mancati gli attacchi al candidato dem Joe Biden.
La Convention nazionale del Partito Repubblicano, conclusasi ieri, ha mostrato su quali strategie Donald Trump vuole puntare in vista delle presidenziali di novembre. In tal senso, l'evento si è mosso su piani differenti, per quanto collegati da un unico collante: la valorizzazione dell'orgoglio nazionale.
In primo luogo, il presidente ha cercato di armonizzare due toni diversi. Da una parte, la Convention si è rivolta all'ala più movimentista e motivata dell'elettorato di Trump: un elemento testimoniato dai discorsi battaglieri di Donald Trump jr e della sua fidanzata Kimberly Guilfoyle. Lo stesso presidente, durante il discorso di accettazione della nomination, ha rinverdito alcune sue classiche critiche nei confronti delle alte sfere di Washington e del professionismo politico. Dall'altra parte, non è tuttavia mancato un tono più istituzionale e – a tratti – pacato. Un tono esemplificato dai discorsi dell'ex ambasciatrice americana all'Onu, Nikki Haley, e della first lady, Melania Trump. È chiaro che, sotto questo punto di vista, il partito abbia puntato a convincere gli elettori indipendenti, cercando di allargare il potenziale sostegno al di là della sola base repubblicana. È quindi in questo altalenare tra componente antisistema e componente istituzionale che si è dipanata l'intera Convention.
In secondo luogo, con questo evento Trump ha cercato di presentare il Partito Repubblicano come una compagine vicina alle esigenze della working class, additando i democratici come una forza politica elitaria e distante dalla gente comune. È in questo senso che vanno per esempio letti gli interventi, nel corso dell'evento, di alcuni piccoli imprenditori del Wisconsin e di un pescatore di aragoste del Maine. Tutto questo, senza dimenticare il discorso della senatrice Joni Ernst, chiaramente volto ad attrarre il sostegno degli agricoltori dell'Iowa. È anche nell'ambito di questo quadro che la Convention ha battuto molto sul tasto dell'ordine pubblico, riprendendo e rafforzando un acceso messaggio «law and order». Un messaggio risuonato nei discorsi del vicepresidente, Mike Pence, e in quello dell'ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, oltre che in quello dello stesso Trump. I repubblicani hanno accusato Biden di essere stato troppo evasivo sulla questione dei disordini scoppiati in varie città americane, additando per questo l'asinello come il partito del caos e dell'estremismo.
E veniamo qui a un ulteriore leitmotiv della Convention. Il presidente ha tacciato Biden di essere un candidato debole, preda della sinistra radicale, denunciando inoltre le incongruenze della sua carriera politica. Come nel 2016, Trump ha insistito sui due antitetici modelli di America che si stanno fronteggiando, rispolverando così la strategia che Richard Nixon adottò nel 1972, ai tempi del suo duello con l'allora candidato democratico, George McGovern. «Queste elezioni decideranno se salvare il sogno americano o se permettere a un'agenda socialista di demolire il nostro amato destino», ha non a caso dichiarato il presidente durante il discorso di accettazione della nomination.
Un altro fronte che la Convention ha trattato è stato quello della politica estera, adottando – anche in questo caso – toni differenti per raggiungere quote elettorali variegate. Da una parte, «falchi», come il segretario di Stato Mike Pompeo e lo stesso Pence, hanno elogiato la strategia internazionale dell'attuale inquilino della Casa Bianca, soprattutto in riferimento al Medio Oriente. Dall'altra parte, una «colomba», come il senatore Rand Paul, ha sottolineato con soddisfazione che, nel corso del suo mandato, il presidente abbia mantenuto la promessa di non avviare nuovi conflitti in giro per il mondo. Non dimentichiamo che l'opposizione alle cosiddette «guerre senza fine» fu uno dei cavalli di battaglia di Trump nel corso della campagna elettorale del 2016.
Ulteriore tema fortemente presidiato è stato quello antiabortista. È in tal senso che si è per esempio espressa, nel suo intervento, suor Deirdre Byrne, che ha definito Trump «il presidente più pro-life che questa nazione abbia mai avuto», bollando invece il ticket democratico Biden-Harris come «il più anti-vita». Si tratta di un aspetto interessante. L'endorsement di una suora cattolica non garantisce soltanto a Trump il sostegno delle varie galassie antiabortiste, ma – più nello specifico – gli consente di parlare con maggiore efficacia proprio all'elettorato cattolico: un elettorato che, dalle presidenziali del 2004, risulta dirimente per conquistare la Casa Bianca. Il presidente vuole, sotto questo aspetto, erodere la base di Biden che, pur essendo cattolico, ha sposato l'anno scorso posizioni non poco favorevoli all'interruzione di gravidanza, scegliendo – tra l'altro – una vice a sua volta fieramente abortista. Elementi che certo a molti cattolici americani non devono fare troppo piacere. Tra l'altro, l'intervento di suor Deirdre Byrne potrebbe celare anche una strategia più sottile, visto che – in passato – Biden si è spesso vantato di poter contare sull'appoggio politico proprio delle suore.
La Convention repubblicana ha poi strizzato l'occhio alla Florida: Stato di cui Trump ha estremo bisogno, se vuole essere riconfermato il prossimo 3 novembre (è dal 1924 che un candidato repubblicano non riesce infatti a vincere la presidenza senza espugnare il cosiddetto Sunshine State). In tal senso, nel corso dell'evento, sono risuonate aspre critiche al castrismo da parte di cubani americani, come l'uomo d'affari, Maximo Alvarez, e la vicegovernatrice della Florida, Jeanette Núñez.
Più in generale, Trump ha mostrato di volersi rivolgere agli elettori indipendenti, attraverso vari fronti. In primo luogo, lo abbiamo visto, presentandosi come campione della working class. In secondo luogo, un tema su cui il presidente ha battuto è stato quello della previdenza sociale e della sanità, mostrando di sostenere alcune posizioni che potrebbero garantirgli l'appoggio di elettori non necessariamente legati alla sua base (si pensi alla tutela dei pazienti con condizioni preesistenti o alla promessa di ridurre i costi delle polizze assicurative). Inoltre Trump ha evidenziato di volersi rivolgere agli esponenti delle minoranze etniche, come testimoniato dal discorso del senatore afroamericano, Tim Scott, che ha respinto la tesi democratica, secondo cui negli Stati Uniti vigerebbe un "razzismo sistemico". La stessa questione dell'ordine pubblico non è affatto detto si rivelerà – come spesso si crede – un tema esclusivamente repubblicano. Non dimentichiamo infatti che, negli ultimi mesi, i disordini più gravi si siano verificati in città amministrate da sindaci del Partito Democratico (si pensi soltanto a Seattle, Portland e Chicago). L'esasperazione dei residenti non ha colore politico e potrebbe avere delle ripercussioni notevoli sul voto novembrino. In tutto questo, pur rivendicando la linea dura contro l'immigrazione clandestina, il presidente non ha comunque mostrato ostilità nei confronti di quella regolare: nel corso della Convention è stata non a caso mandata in onda una cerimonia di naturalizzazione di alcuni nuovi cittadini americani. Senza poi considerare che anche l'opposizione alle "guerre senza fine" risulti un tema trasversale, che già nel 2016 aiutò l'allora candidato repubblicano con gli elettori indipendenti.
Con questa Convention, Trump ha puntato a ribaltare la narrazione spesso cucitagli addosso dai suoi avversari: una narrazione che lo dipinge come un presidente umorale, autoritario e dalle ventature razziste. Accuse a cui l'evento ha cercato ribattere punto su punto, non rinunciando a duri attacchi nei confronti del campo democratico. Pur a fronte di una forse eccessiva presenza di parenti del presidente, la Convention ha comunque raggiunto alcuni importanti obiettivi. E' stato in grado di modulare toni differenti, affrontare argomenti eterogenei e rivolgersi a quote elettorali trasversali: dalla base repubblicana ai trumpisti della prima ora, dagli elettori indipendenti ai democratici delusi. Il tutto, sconfessando alcuni comodi luoghi comuni (soprattutto sul fronte delle minoranze etniche). Una differenza non da poco, rispetto all'ultima Convention democratica, caratterizzatasi invece per un'anima un po' troppo monotematica. Un'anima dedita pressoché totalmente alla causa dell'anti-trumpismo. Una strategia anche legittima. Ma c'è da chiedersi quanti elettori, il prossimo novembre, potranno permettersi di votare esclusivamente in funzione della mera opposizione a Trump.