Se una panca conta più di Michelangelo
Per la vendita di alcuni arredi del Castello Sforzesco, uno storico dell'arte proclama la sua indignazione. Ma lo scandalo vero sta in certi allestimenti di capolavori. E negli scempi fatti nelle zone più belle d'Italia.
Per sua natura il paesaggio è unico. Così come unica è un'architettura e unico l'allestimento di un museo. Sono viceversa multipli i prodotti di design e, se non identiche, ripetitive le opere di artisti contemporanei che cercano, come Franco Fontana, Alberto Burri o Fernando Botero, una cifra per essere riconoscibili (tagli, sacchi o combustioni, figure grasse).
Ci si chiede dunque come possa costituire sfregio al patrimonio artistico la vendita di un oggetto di design che esiste in un numero indefinito (anche altissimo) di esemplari, o la tentata vendita del dipinto di un pittore che si riconosce sul mercato internazionale (dove si è affermato) grazie alla ripetitività.
E mi chiedo come alcuni si possano baloccare, con il piacere di fare i fenomeni e con lo spirito dei delatori, nell'incriminare una personalità straordinaria e tra le più meritorie nel mondo artistico internazionale, com'è stata Giulia Maria Crespi, per la legittima e autorizzata vendita di un dipinto, pressoché seriale, di Burri. Vendita poi non avvenuta, nonostante la mortificazione di Giulia Maria Crespi, per la quale non ha speso una parola per difenderla, fra gli altri, l'amatissimo Salvatore Settis.
Sulla falsariga dell'insensata denuncia per la vendita di un bene privato, l'indignato speciale, volto a cause inutili, Tomaso Montanari, oggi vaniloquia su un quotidiano di vendita di opere del Castello Sforzesco di Milano, giudicate «inalienabili» e identificate dal redattore dei titoli del giornale come «disegni». Si tratta invece di una semplice panca progettata dallo studio di architettura BBPR nel 1963, e di un grande lampadario, difficilmente riciclabile, prodotto da Arte Luce, sempre su disegno BBPR, cioè degli architetti Gian Luigi Banfi, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers.
Essi sono gli autori della Torre Velasca, e a loro «si devono alcuni tra gli edifici e tra gli interni più alti del nostro Novecento». Proprio così.
E per accertare che quel lampadario non sia più nel luogo originario sarebbe bastato, invece che almanaccare, andare a verificare nella sala del Tesoro della Torre castellana nella Rocchetta del Castello Sforzesco. Augurandosi che non sia passato l'architetto iconoclasta Michele De Lucchi, al quale tutto è permesso, con l'ossequio delle Soprintendenze.
Se il grande lampadario non ci fosse non ci sarebbe da stupirsene, perché è consuetudine, quando si rinnovano gli allestimenti o si sostituiscono i mobili, com'è accaduto al ministero degli Esteri e all'Ismeo, l'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, eliminare quelli in disuso e, a quel punto, non vendere ma cedere gratuitamente, alla Croce Rossa, beni dello Stato, in particolare arredi. La legge 254 del 2002, che riprende i decreti luogotenenziali del 1944, assegna alla Croce Rossa tutti i beni dismessi o dichiarati inservibili dell'Amministrazione dello Stato e anche degli enti controllati da esso. Come evidentemente ignora il velleitario sprovveduto, per farsi riconoscere come il primo della classe.
Ed è la Croce rossa a cedere materialmente quei beni, in cambio di un contributo contrattualmente concordato attraverso una convenzione, peraltro stabilita con regole precise, a concessionari, fra i quali Soluzione srl di Castelnuovo in Val di Cecina, che ha avuto a disposizione beni più notevoli che gli oggetti di design, con perfetta legittimità.
Lo scandalizzato critico, se preoccupato per le panche, può rivolgersi alle procure per chiarirsi quello che non sa. Falso è infatti che il patrimonio degli enti pubblici non sia alienabile (e addirittura eliminabile) con il rinnovamento di arredi e ambienti (si pensi al destino di computer obsoleti, di banchi di scuola, di sedie e scrivanie e lampade, di vetrine di musei, da nessuno vincolati, tutti prodotti industriali), «se non attraverso una complicata procedura che, per pezzi da manuale (sic!) come questi, non avrebbe mai superato il vaglio dell'amministrazione dei Beni culturali». Bugie. Come che si tratti di «una situazione inaudita e incresciosa». Comunissima, invece.
Io personalmente per il Comune di Sutri ho acquistato i tavoli dismessi del ministero degli Esteri, presumibilmente degli anni Cinquanta, anche in condizioni da buttare. Montanari non sa quello che dice. Ma sopratutto, dopo aver giustamente lodato gli architetti di «alcuni degli interni più alti del nostro Novecento», i BBPR, non si è mai preoccupato di denunciare l'unico vero scempio contro di loro, da me segnalato inutilmente al ministero, alla Soprintendenza, al Comune di Milano e ai relativi sindaci, assessori e soprintendenti: l'immondo smontaggio non di una sedia, ma di uno dei capolavori dell'umanità, la Pietà Rondanini, dall'allestimento mirabile e celebratissimo, fin da quando ero studente, dei BBPR, con le paratie di pietra grigia, per rimontarla, di spalle, nel patetico e volgare allestimento di Michele De Lucchi nella sala dell'Ospedale spagnolo, separando il gruppo scultoreo dalla sua base romana, con la modica spesa di 4 milioni e 300 mila euro!
Nessuna pietà per i BBPR, nessuna pietà per Michelangelo, nessuna pietà con la totale adesione e le autorizzazioni delle istituzioni. Il progetto, infatti, è stato realizzato dal Comune di Milano insieme alle Soprintendenze, al ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, all'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (ISCR) e al Politecnico di Milano - Centro beni culturali per le attività di diagnostica, monitoraggio e ingegneria. Fondamentale è stato naturalmente il contributo della Fondazione Cariplo, partner istituzionale del Castello Sforzesco nel progetto di restauro architettonico e di rinnovamento museografico. Altroché tutela dei BBPR, dei loro mirabili interni e allestimenti!
Montanari ignora tutto questo, non ne ha mai parlato, e si preoccupa solo di panche e lampadari, sui quali, a suo dire, la Soprintendenza avrebbe dovuto essere irremovibile. Ma quando mai? E perché tanto amore per i mobili e l'assoluto disinteresse per un meraviglioso (e irrimediabilmente sconvolto) allestimento? Si tratta, d'altra parte, di antinomie inspiegabili, e di totale mancanza di senso delle proporzioni. Attaccare Giulia Maria Crespi e ignorare lo sconvolgimento del paesaggio, tutelato dall'articolo 9 della Costituzione, sempre inutilmente invocato, è il metodo prediletto da questi personaggi.
«La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Sia il facinoroso Montanari sia il suo illustre tutore Settis hanno di conseguenza taciuto sulla mafia dell'eolico che ha sfregiato irrimediabilmente il paesaggio siciliano, pugliese, campano, in una parola italiano, celebrato da Cesare Brandi. Un'azione criminale e sistematica contro la quale non hanno emesso nemmeno un gemito. Non un lamento.
Le pale eoliche hanno travolto anche il paesaggio del lago di Garda, ad Affi, le terre intorno a Montalcino, tutto il Molise. Silenzio assoluto degli imperturbabili difensori della Costituzione. Vuoi mettere una collina con una panchina?
L'Istituto centrale del restauro non deve restaurare il Caravaggio di Siracusa, la Crespi non deve vendere Burri, si prescrive la massima vigilanza per le panche del Castello Sforzesco, ma migliaia di ettari di fotovoltaico possono devastare le nostre campagne; le pale eoliche possono circondare la città di Troia e tutta la provincia di Foggia. Ottocento pale, la metà ferme, sulla strada più bella del mondo (secondo Brandi), tra Palermo e Mozia, umiliano colline e campi coltivati, sostituiscono la vite e l'ulivo. Come una metastasi. Assoluto silenzio. Meglio indignarsi per i lampadari. E così sia.