Taglio dei parlamentari, il referendum mette in gioco il 40 per cento degli eletti in Fvg
foto da Quotidiani locali
UDINE. L’Italia e il Friuli Venezia Giulia si presentano nuovamente al voto, domenica 20 settembre (dalle 7 alle 23) e lunedì 21 (dalle 7 alle 15), per un referendum costituzionale a distanza di oltre tre anni e mezzo dall’ultimo tentativo di modificare la Carta, naufragato sotto i colpi dei no, che costò, tra l’altro, il ruolo di premier a Matteo Renzi.
Questa volta la proposta di modifica, vero e proprio cavallo di battaglia del M5s, è in tono decisamente minore, perché riguarda soltanto tre articoli della Costituzione, ma resta comunque particolarmente impattante visto che, in caso di vittoria dei sì, il Paese dirà addio al 36,5% dei seggi parlamentari.
Dagli attuali 630 deputati e 315 senatori, nel dettaglio, si passerebbe a 400 parlamentari a Montecitorio e a 200 a palazzo Madama con, tra l’altro, al massimo cinque senatori a vita complessivi e non più cinque che possono essere nominati da ogni singolo presidente della Repubblica.
Complessivamente, quindi, il taglio riguarderebbe 345 parlamentari, con il Friuli Venezia Giulia che sarebbe, tra l’altro, una delle regioni più penalizzate, numericamente, dalla sforbiciata. Nel caso di conferma della legge, infatti, in regione si passerebbe dagli attuali 13 deputati eletti a Roma a 8 e dai 7 senatori a 4.
Il Paese è chiamato al voto nella sua interezza, e non soltanto nelle aree interessate da Comunali, Regionali e suppletive, perché la legge di riforma costituzionale che taglia i parlamentari non è stata approvata, in ultima lettura, con i due terzi dei voti validi al Senato consentendo così, come prevede la Carta, a 71 eletti a palazzo Madama – di quasi tutti gli schieramenti – di raccogliere le firme necessarie all’indizione, appunto, di un referendum confermativo.
Attenzione, però, perché essendo, appunto, una consultazione confermativa e non abrogativa, questo referendum non ha bisogno di alcun quorum. La legge costituzionale che prevede la riduzione di deputati e senatori, in estrema sintesi, verrà approvata definitivamente se i sì supereranno i no, indipendentemente dal numero di persone che si recheranno alle urne.
I pronostici della vigilia sono tutti, onestamente, a favore del sì a una legge in cui, in corso d’opera, si è materializzato però tutto e il contrario di tutto, anche a livello di posizione dei partiti in Parlamento dove praticamente ogni movimento, tra il Conte I e il Conte II, ha garantito almeno una volta il proprio assenso – soprattutto come pegno all’alleanza con il M5s – salvo poi mutare posizione nel corso dei mesi.
La norma, come detto, è semplice e si compone di appena quattro articoli. Il primo determina la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400, di cui 8, al posto degli attuali 12, eletti nella circoscrizione Estero. Il secondo, invece, porta i senatori da 315 a 200, di cui 4 eletti fuori dai confini nazionali al posto dei 6 previsti fino a oggi.
Nel medesimo articolo, inoltre, si stabilisce che il numero minimo degli eletti a palazzo Madama in ogni regione scenda da 7 a 3 equiparando le Province di Trento e Bolzano alle regioni stesse con il Trentino-Alto Adige nel suo complesso, pertanto, che perderà appena un senatore mandando a Roma 6 rappresentanti.
Il terzo articolo della norma, quindi, stabilisce, come accennato, che il numero massimo dei senatori a vita sia pari a 5, mentre l’ultimo afferma che le disposizioni decorrano dal primo scioglimento, oppure cessazione, delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della norma e come minimo non prima che siano decorsi 60 giorni dalla promulgazione definitiva della norma.
Il tutto, infine, tenendo in considerazione anche come il Pd, in cambio del suo voto favorevole in ultima lettura e all’impegno formale di Nicola Zingaretti per il sì al referendum, abbia ottenuto il primo via libera in Commissione Affari costituzionali alla Camera per una nuova legge elettorale del tutto proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. —
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