Il docudramma di Netflix The Social Dilemma offre un ritratto distopico dei social media, sostenendo che la dilagante tecnologia della Silicon Valley sia diventata una minaccia esistenziale per l’umanità. Avendo trascorso l’ultimo decennio a mettere a punto i loro intelligentissimi algoritmi, i cervelli dietro Facebook, Instagram, Tik Tok e altre tra le piattaforme più utilizzate, ci hanno creato una dipendenza. Con l’adulto medio a livello globale che trascorre due ore al giorno sui social e l’adolescente americano medio che ne trascorre fino a nove al giorno, le ricerche stimano che la dipendenza da social oggi riguardi quasi mezzo miliardo di persone nel mondo. Ma quanto nuocciono i social alla nostra salute mentale?
Secondo il film, i social media inducono assuefazione, sono creati sulla base di un ‘modello di estrazione dell’attenzione’ con l’intento manipolatorio di controllare il nostro comportamento, farci continuare a scrollare e invogliarci a restare connessi. Nel farlo, sfruttano il nostro desiderio di contatti sociali e il bisogno di essere accettati dagli altri, gratificandoci con una dose di dopamina ogni volta che riceviamo un like o un commento, senza mai davvero soddisfare i nostri bisogni umani profondi. Questo può condurre, come sostiene il documentario, a tutta una serie di emozioni negative che ci spingono a rivolgerci nuovamente ai social media per ricevere velocemente quella piccola dose.
In questo senso i social diventano una sorta di succhiotto digitale, una strategia di risposta disadattiva a cui ricorriamo ogni volta che ci sentiamo soli, tristi o a disagio. Come dichiarato dal protagonista del film Tristan Harris, ex design ethicist di Google e fondatore del Centre for Humane Technology, questo costituisce un enorme pericolo per il nostro benessere mentale, un pericolo che non farà che aumentare a causa della mancanza di una regolamentazione specifica per queste piattaforme.
Paura dell’ignoto
Anche se la cornice amplificata del documentario è coinvolgente, la paura delle nuove tecnologie non è nulla di nuovo. “È naturale preoccuparsi delle nuove tecnologie che raggiungono determinati livelli di popolarità nella società, e quindi anche preoccuparsi dei social media,” dice a Vogue Amy Orben, ricercatrice all’Emmanuel College dell’Università di Cambridge. Ma le nostre preoccupazioni sono malriposte?
I tassi di malattia mentale nei paesi ad alto reddito sono in salita, e questo è in correlazione con l’aumentato uso dei social media – ma la correlazione non equivale necessariamente a un rapporto di causalità. “La correlazione esistente tra social media e salute mentale sembra all’incirca la stessa di quella tra consumo di patate e salute mentale: minima e debole,” afferma Paul Marsden, psicologo esperto di cyberpsicologia della British Psychological Society.
Orben propone un’interpretazione più sfumata, sostenendo che la relazione tra la salute mentale e i social media è “complessa, bidirezionale e individuale. È altamente influenzata da come li usiamo e dal motivo per cui li usiamo, non solo dal tempo che trascorriamo su di essi.” Questa seconda interpretazione spiega perché le ricerche sull’argomento siano così contrastanti. Laddove alcuni studi hanno individuato casi in cui l’uso dei social può contribuire alla malattia mentale, altri hanno scoperto non provocare alcun effetto, mentre altri ancora hanno persino raccolto prove a sostegno dell’idea che esso possa migliorare la salute mentale, verosimilmente riducendo la solitudine e migliorando l’autostima.
Dipendenza digitale
Le critiche contenute in The Social Dilemma arrivano in un momento interessante, quando tanti di noi - e mai come ora vista la situazione che stiamo vivendo in tempo di pandemia - sono dipendenti da modalità di connessione digitali. “I social possono minare la nostra sicurezza, ma possono anche farci sentire meno soli e più connessi,” spiega Tabitha Goldstaub, presidente dell’AI Council istituito dal governo del Regno Unito e autrice di How To Talk to Robots: A Girls’ Guide To A Future Dominated By AI [Come parlare ai robot: guida per ragazze a un futuro dominato dall’intelligenza artificiale] (Harper Collins). Con molti di noi costretti al distanziamento sociale, la capacità dei social di mantenerci in contatto con i nostri cari è diventata un’ancora di salvezza. In assenza d’interazioni fisiche, abbiamo imparato nuovi linguaggi virtuali – scambi di testi, meme ed emoji – da usare con amici, famigliari e colleghi, che non possono che migliorare la nostra salute mentale collettiva.
Covid-19 a parte, i social sono stati importantissimi nel mettere in contatto persone che la pensano allo stesso modo e hanno giocato un ruolo fondamentale in varie forme di attivismo di base – Black Lives Matter o il movimento #MeToo – che hanno prodotto alcuni dei cambiamenti sociali più significativi che si siano visti da alcuni anni a questa parte.
Allo stesso modo, la crescita in rete di comunità con interessi specifici ha avuto un impatto positivo sul benessere di alcune persone. Per esempio, diverse ricerche mostrano che i social media possono aiutare gli adolescenti emarginati – come quelli con neurodiversità o quelli che si identificano con la comunità LGBTQ+ - a stabilire nuovi contatti sociali. “Ci fanno sentire parte di una ristretta comunità globale con cui non sei mai riuscito a stabilire un simile legame prima dei social media,” dice Goldstaub. “Il fatto che persone in ogni parte del mondo possano trovare qualcuno con cui legare è piuttosto magico.”
Indubbiamente occorrono altre ricerche sull’argomento, ma l’opinione generale di molti psicologi è che non siano necessariamente le piattaforme social in se stesse ad avere l’impatto maggiore sulla nostra salute mentale, quanto i contenuti che consumiamo. “Dobbiamo stare attenti a certi tipi di contenuti e a certe persone o momenti della nostra vita in cui siamo più suscettibili alle influenze negative dei social media,” spiega Orben. Certamente dobbiamo essere più critici quando generalizziamo sull’uso dei social, chiarendo che venti minuti di chiacchiere con gli amici su Facebook via Messenger non sono uguali a venti minuti trascorsi guardando contenuti sconvolgenti.
Natura contro educazione
Uno degli effetti più preoccupanti dei social media, come riportato in The Social Dilemma, è la loro influenza negativa sull'immagine che abbiamo del nostro corpo. Le ricerche sono relativamente concordi nel rilevare una correlazione tra quest’ultima e i social, specialmente quando si consumano e si interagisce con contenuti incentrati sull’aspetto fisico che promuovono standard di bellezza ben precisi. Nel documentario, lo psicologo sociale Jonathan Haidt sottolinea una forte correlazione tra la salute mentale negativa delle adolescenti e l’adozione degli smartphone.
Come tuttavia sostiene la ricercatrice del CAR (Centre for Appearance Research) Nadia Craddock, “la relazione in realtà dipende dal contenuto con cui ci relazioniamo e da come vediamo il nostro corpo prima di utilizzare i social.” Il che significa che se sei già predisposto a preoccuparti del tuo aspetto fisico – fatto che dipende da fattori generici e socio-ambientali – guardare immagini di te stesso e paragonarle a quelle dei feed degli influencer è destinato a esacerbare queste ansie.
Inoltre, data la natura degli algoritmi, più guardi questi feed, più le piattaforme ti proporranno contenuti simili. Questo conduce a un effetto camera dell’eco, in cui ci paragoniamo costantemente ai nostri news feed o agli influencer filtrati, pensando che tutti nel mondo abbiano questo aspetto quando in realtà siamo solo prigionieri di un algoritmo progettato per proporci quello a cui ritiene saremo interessati, e senza alcuna regolamentazione che glielo impedisca.
In questo senso, The Social Dilemma presenta una generalizzazione eccessiva e sensazionalistica dell’impatto negativo dei social media, quando il loro rapporto con la salute mentale è in realtà più sfumato. In un mondo sempre più digitalizzato, e particolarmente adesso durante il distanziamento sociale, i social sono diventati essenziali per restare in contatto con gli altri ed è probabile che il loro uso aumenterà nel futuro.
Detto questo, anche se non possono essere ritenuti gli unici responsabili della cattiva salute mentale in generale, queste piattaforme possono indubbiamente avere un impatto negativo su chi presenta fragilità pre-esistenti, e in particolare su coloro che hanno un disturbo dell’immagine corporea. Quindi come possiamo proteggere noi stessi e i più vulnerabili dall’impatto negativo di queste piattaforme?
Mantenere il controllo
“Ricordate che siete voi responsabili di come usate i social, di quanto tempo ci passate e di quello che consumate e con cui vi relazionate,” dice Craddock. Ampliare la nostra alfabetizzazione mediatica, aumentare la consapevolezza di come usiamo i social e di come funzionano, e scegliere contenuti positivi nei nostri feed sono tutte strategie che possiamo adottare per proteggere il nostro benessere mentale. “Se siete consapevoli che ognuno di noi accede a una versione dei social che è stata arrangiata in modo da indurci a compiere determinate azioni, potete scombussolare questi algoritmi cercando attivamente fonti di notizie alternative, o seguendo persone e brand che di solito non seguireste,” spiega Goldstaub. “Avete molto più potere di quello che pensate sugli algoritmi – non lasciatevi definire dalla vostra bolla.”
Fondamentalmente, occorre prendere dei provvedimenti a livello legislativo. In questo senso la richiesta di un cambiamento avanzata da The Social Dilemma è giusta. Come nota Harris verso la fine del film, attualmente le piattaforme social credono di poter risolvere i problemi che hanno creato con più dati e algoritmi. Ma quello di cui queste società hanno davvero bisogno è una maggiore regolamentazione e leggi da rispettare su come usano la loro tecnologia, in modo che operino più eticamente, favorendo comportamenti positivi rispetto a quelli negativi e benessere mentale.
Allo stesso tempo, dovremmo diffidare di allarmismi e articoli acchiappaclick su come i social media stanno nuocendo alla nostra salute mentale (che state probabilmente leggendo dopo che qualcuno li ha condivisi sui social). Questo perché seminando il panico e concentrandosi unicamente sui social come la causa ultima della malattia mentale, essi stanno, come sostiene Marsden, “sviando la nostra attenzione dalla lunga lista di cause alla base della salute e della malattia mentale, come per esempio gravi circostanze avverse, violenza, conflitti, povertà, disuguaglianza, mancanza di opportunità e abuso di sostanze.”
E finché non affrontiamo quelle cause, gli effetti dei social media sulla nostra salute mentale sono molto meno significativi. Conclude Marsden: “Forse i social sono in realtà uno specchio che riflette il buono e il cattivo della società. Non confondiamo lo specchio con la causa.”