Modena, tentano di ucciderlo a colpi di machete: padre e figli arrestati dopo l’agguato
La polizia ricostruisce il complesso caso e contesta anche l’aggravante razziale: «Tornatene a casa tua, negro»
MODENA. La svolta è stata non fermarsi alle apparenze, ma andare in profondità, provando ad affiancare tutti i tasselli per ottenere un quadro probatorio tale da convincere il gip ad emettere tre ordinanze di custodia in carcere. E dopo tre mesi di indagini serrate la Polizia di Stato ha chiuso il cerchio intorno ad un padre e due figli ora rinchiusi al Sant’Anna di Modena con l’accusa di tentato omicidio in concorso, aggravato dalla discriminazione e odio razziale. La vittima è un 22enne del Burkina Faso, che ha rischiato di essere ucciso a colpi di machete e bastonate per una serie di sfortunate casualità.
I PROTAGONISTI
La famiglia è di quelle conosciute in città. Il padre ha 53 anni e i figli rispettivamente 30 e 24. Sono di origine nomade, ma vivono da sempre a Modena nella zona delle case popolari di via Tignale del Garda.
Hanno un curriculum criminale di spessore per reati connessi alla droga, contro le persone e il patrimonio. «Parliamo di soggetti noti e caratterizzati da violenza e aggressività anche in passato: non esitavano ad avere armi a portata di mano», spiegano il vice questore e capo della Squadra Mobile, Mario Paternoster e il commissario capo della Mobile, Brunella Marziani.
Il 22enne del Brurkina Faso è invece un giovane migrante in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno. Ha delle frequentazioni non esaltanti e difatti ha rischiato di essere ammazzato per colpe non sue. Partecipa a giri poco raccomandabili, ma il giorno del tentato omicidio è nei pressi del garage di alcuni conoscenti dove dovrebbero incidere musica rap. Venti giorni dopo l’aggressione (5 agosto) sarà però arrestato dai poliziotti della Questura a Rubiera con addosso 180 grammi di marijuana.
I fatti
È il pomeriggio del 15 luglio quando dall’ospedale di Baggiovara la polizia viene avvertita: c’è un 22enne trasportato in ambulanza con gravi ferite al braccio sinistro, provocate da armi da taglio. Il ragazzo viene operato d’urgenza e a tutt’oggi ha ancora difficoltà nell’uso dell’arto a causa delle lesioni riportate quel giorno.
Inizia così il complesso lavoro della Squadra Mobile con ricerca di indizi e riscontri. La vittima fornisce dettagli importanti ma serve molto di più per avere un quadro completo della vicenda. Un prospetto che richiede grande apertura mentale ed evita agli investigatori di concentrarsi soltanto sul mondo della droga proprio in seguito all’arresto del giovane africano a Rubiera.
Esce invece una panoramica inquietante, caratterizzata da una violenza inaudita così come la raccontano gli amici del 22enne che lo hanno soccorso.
Parlano infatti di tre persone arrivate in auto, che avevano salutato il burkinabé e poi, senza particolari motivi se non uno sguardo prolungato, lo avevano aggredito. Quello che poi sarà identificato nel padre lo aveva spinto, un fratello lo aveva percosso con un bastone alla testa e l’altro aveva impugnato un machete - recuperato dalla loro vettura - e sferrato due fendenti potenzialmente mortali se la vittima non si fosse riparato con il braccio sinistro. Il tutto mentre i tre offendevano l’antagonista: «Tornatene al tuo Paese” e “Vai a prendere il machete che insegniamo a questo negro chi comanda” sono le frasi udite nei concitati frangenti del 15 luglio.
Le coincidenze
Ma la polizia scopre molto altro: ad esempio apprende che l’11 luglio un marocchino, amico del ferito, aveva denunciato la famiglia nomade per rapina.
E il 15 luglio, un’ora prima del tentato omicidio, era stato un fratello a recarsi dai carabinieri di San Damaso per controdenunciare il magrebino con le medesime accuse. Evidentemente la rabbia è tanta per quella denuncia che i nomadi scelgono di farsi giustizia da soli e organizzano la spedizione punitiva verso via Tignale del Garda. In auto ripongono il machete e il bastone, recuperano il padre a domicilio e si mettono a girare nella zona frequentata dal magrebino e dagli amici. Appena vedono il burkinabé, ipotizzano gli investigatori, entrano in azione e scatta la mattanza, l’unico modo per dare una lezione e segnare la supremazia sul territorio. —