Le squadre leggenda mantovane: gli exploit della Don Bosco Bassi
«Noi ancora in piedi con lo spirito di Orlandini»
MANTOVA. Una favola di quella provincia immersa nella pianura bagnata dal fiume Oglio, a pochi passi dal confine col Cremonese. La Don Bosco di Marcaria è una di quelle realtà calcistiche di cui ci sarebbe molto da raccontare. Ma, come al solito, a parlare sono i risultati: la società fondata da Carlo Orlandini, che passò dal calcio amatoriale a quello targato Figc, a cavallo tra fine anni Novanta e inizio Duemila arrivò a sfiorare addirittura il salto in Promozione, giocandosela con squadre che, a pochi chilometri da lei, rappresentavano piazze ben più quotate come Asola o Castellucchio. Per avere qualche ricordo di quel periodo non c’è narratore migliore di mister Giancarlo Bassi, il Ferguson della Don Bosco, visto che l’ha guidata per almeno vent’anni. «E all’inizio ne avevo vestito la maglia anche da calciatore – ricorda – militavamo nel Csi e, su idea di Orlandini, si decise di tentare l’avventura in Terza. Il primo anno fu di acclimatamento al nuovo torneo, ma già al secondo centrammo l’obiettivo di salire in Seconda: ricordo bene lo spareggio con il Redondesco, allora guidato da Omero Rossetti. Non ci accontentammo e riuscimmo poi a compiere un altro salto che ci proiettò in Prima: in quel caso la sfida decisiva la giocammo contro l’Asola di Bianchera.
Fu una grande soddisfazione per una realtà piccola come la nostra. Ma d’altronde eravamo una squadra tosta, che cresceva schierando solo giocatori della zona. E signori giocatori: Martini, Rosignoli, Gamba, De Antoni o un portiere di valore come Fretta, ex Mantova e Carpi. Insomma i valori c’erano, tant’è che arrivammo a qualificarci ai playoff per salire in Promozione, ma perdemmo la finale contro i bresciani del Pavone Mella». Le domeniche in cui la Don Bosco giocava in casa era una festa per Marcaria, un appuntamento immancabile. «Nel vecchio campo arrivavano sempre, come minimo, 300 spettatori – ricorda il tecnico – furono 15 anni stupendi dove, oltre al campionato, ci togliemmo soddisfazioni in altri trofei. Arrivammo a giocare una semifinale di Coppa Lombardia a Bellagio, nel Comasco, perdendo solo ai rigori».
Poi, pian piano, la Don Bosco fu costretta a ridimensionarsi. Anche se la tradizione prosegue con la dirigenza del patron Marco Culatina. «Diciamo che il calcio dilettantistico cambiò – ricorda Bassi – la Prima categoria divenne sempre più impegnativa, per competere occorreva cercare giocatori da fuori zona e l’aspetto economico iniziò a pesare. La cosa importante è che la squadra sia ancora viva e vegeta e conservi ancora lo spirito di una volta».